Il futuro è nelle carte degli Illuminati? (articolo in continuo aggiornamento)

Le Carte degli Illuminati (articolo in continuo aggiornamento)

Ultimo aggiornamento: 2022-09-09
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"Terrapiattisti"

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"Terrapiattisti", "Epidemia" e "Italia".

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Il creatore di giochi di ruolo Steve Jackson ha progettato un "gioco" chiamato “Illuminati - Il Nuovo Ordine Mondiale”, o “NWO” in breve. Si tratta di un gioco di carte realizzato dalla Steve Jackson Games (SJG), ispirato al libro del 1975, The Illuminatus! Trilogy, di Robert Anton Wilson e Robert Shea. Il gioco tratta di società segrete minacciose che competono tra loro per controllare il mondo attraverso vari mezzi, legali, illegali e persino mistici. È stato concepito per ridicolizzare le teorie cospirative, benché sia diventato esso stesso oggetto di teorie del complotto. Contiene gruppi chiamati in modo simile alle organizzazioni del mondo reale. La trilogia fu originariamente scritta tra il 1969 e il 1971 mentre Wilson e Shea erano entrambi redattori associati presso la rivista Playboy. I due scrittori focalizzavano spesso la loro attenzione sul tema delle libertà civili. I libri della trilogia Illuminatus! sono stati usati più che altro come "fonte d'ispirazione, piuttosto che come realtà indiscussa". Illuminatus! ha attirato l'attenzione della critica letteraria: se ne parla in diverse pagine di un capitolo del libro "Architects of Fear: Conspiracy Theories and Paranoia in American Politics" di George Johnson (1983). Alla pubblicazione del romanzo, seguirono il gioco di carte collezionabili "Illuminati: New World Order" ed un supplemento per giochi di ruolo "GURPS Illuminati". Le bibliografie dei libretti delle istruzioni lodano il romanzo ed in particolare uno dei due autori (Wilson); in un punto è scritto "la lettura è consigliata ad ogni appassionato delle cospirazioni". Robert Shea ha fornito un'introduzione di quattro paragrafi al regolamento per gli Illuminati Expansion Set 1 (1983), in cui ha scritto: "Forse gli Illuminati sono dietro questo gioco, devono essere-sono, per definizione, dietro tutto". Nonostante il coinvolgimento iniziale manifestato da Wilson, questi, in seguito, ha criticato aspramente alcuni prodotti commerciali che hanno sfruttato la popolarità del romanzo Illuminatus! senza pagare le dovute royalties.

Nel settembre del 1981, Steve Jackson ed il suo artista freelance Dave Martin discussero della loro ammirazione comune per la trilogia l'Illuminatus! e quest'ultimo suggerì di creare un gioco di carte ispirato ad essa. Il designer decise di non adattare un romanzo dalla trama così contorta ad un gioco RPG, date le evidenti difficoltà che si riscontrano nel fare operazioni di questo tipo, ma si ispirò all'idea della cospirazione segreta attorno a cui si svolge l'intera vicenda descritta nella trilogia Illuminatus!. La prima edizione del gioco è stata commercializzata nel mese di luglio del 1982 e può essere giocata da due ad otto giocatori, ma quelli consigliati vanno da quattro a sei. Il tempo d'installazione va da uno a cinque minuti, mentre, a seconda del numero di giocatori, una partita può durare da una a sei ore. Le abilità richieste sono il pensiero strategico, la realizzazione dell'affare ed il bluff.

Jackson ha creato un gioco molto simile al piano degli Illuminati che spinge il mondo verso un nuovo ordine liberale. L'autore ha commercializzato delle carte da gioco che preannunciano eventi che si sono realmente verificati.

Questo gioco è diventato presto un best seller. Nel suo sito Web l'autore dichiara: "Nel 1994, vennero rielaborati i vecchi concetti degli Illuminati per trasportare le loro idee nell’universo delle carte da gioco. NWO (Illuminati: Il Nuovo Ordine Mondiale) è diventato il più grande successo aziendale. Nel 1995 il gioco NWO vinse il premio Origins Award come miglior gioco di carte collezionabili dell’anno".

Ma come ha fatto il game designer americano a prevedere eventi che si sono puntualmente verificati? Tra le varie spiegazioni proposte, la più convincente è che il creatore del gioco, Steve Jackson, abbia ricevuto informazioni riservate da qualcuno che era a conoscenza diretta dei progetti che circolavano nell’ambito del “Nuovo Ordine Mondiale”. È possibile che Jackson sia stato usato come “altoparlante inconsapevole“, a cui vengono passate informazioni da diffondere, in modo apparentemente triviale, con l’intento di rafforzare la percezione pubblica del potere di tale classe dirigente. Oppure l'autore potrebbe appartenere all'ordine liberale euro-atlantico, o ancora può essere una persona che cerca solo di sfruttare commercialmente certe informazioni di cui, in qualche modo, è venuto in possesso. In fondo, la Steve Jackson Games dichiara un reddito lordo annuo superiore ai due milioni e mezzo di dollari.

Il caso di Jackson ricorda quello di certi libri “fortunati”, come ad esempio “Il Candidato Manciuriano”, che hanno saputo descrivere in anticipo vicende che si sono poi concretizzate.

Vi sono anche autori dotati di intuito particolare, che percepiscono in anticipo talune onde di “sentire collettivo”, come ad esempio quello de “Il Nome della Rosa”, oppure quello del “Codice da Vinci”, che sfruttano al meglio il nascente interesse popolare per certi argomenti “occulti”, o comunque occultati. In alcuni casi diventa addirittura difficile capire quanta informazione originale esista fra le righe di un libro e quanta invece sia il riflesso di quel sentire collettivo, introdotto - consciamente o inconsciamente – dallo stesso autore nelle sue pagine.

In realtà, a ben guardare, le carte degli Illuminati non rappresentano nulla di stupefacente, se non l’eventuale conferma che ciò che accade nel mondo sia spesso il risultato di una precisa volontà di un ristretto gruppo di persone.

Vi è anche una possibilità più remota, più difficile però da sostenere in modo analitico: che l’autore non riceva affatto informazioni esterne, ma che sia dotato di particolari “poteri di preveggenza“, che gli permetterebbero di visualizzare in anticipo eventi che poi accadono nella realtà. A sua volta, si potrebbe teorizzare che questo tipo di preveggenza consista nella capacità di accedere ad un insieme di archetipi, che esisterebbero fuori dalla nostra dimensione spazio-temporale, i quali vengono ad assumere le forme specifiche degli eventi che poi accadono nel nostro tempo. In questa ottica si può anche spiegare un fenomeno come quello di Nostradamus, le cui quartine, più che anticipare eventi specifici, sembrano rappresentare archetipi universali, sufficientemente dettagliati però da poterli applicare in seguito a certi fatti realmente avvenuti.

Qui però dobbiamo fermarci, perchè stiamo entrando in un territorio assolutamente ipotetico, che non ci permette di utilizzare il metodo analitico, e ci offre risposte che possono avere al massimo un valore individuale.
Di certo possiamo affermare che, col prosieguo del cammino dell’umanità, scopriamo che è sempre più grande il numero di cose che non conosciamo rispetto a quelle che conosciamo. E questo è già un notevole passo in avanti, che ci può almeno liberare da quell'ignoranza, travestita da falso sapere, che ci offusca costantemente la vista.

Ma chi sono questi burocrati illuminati? La minoranza installata al vertice delle democrazie euro-atlantiche è quella ristretta oligarchia finanziaria basata sull’asse Londra-New York, che si avvale della massoneria speculativa come cinghia di trasmissione in tutto l’Occidente: organizzazioni come il Council on Foreign Relations, Chatman House, Bilderberg, Trilateral, etc. etc., sono alcune manifestazioni di quest’élite, ma non c’è alcun dubbio che ce ne siano altre ancora più ristrette ed influenti, di cui pochi conoscono il nome. Lo speculatore di origini ebraiche George Soros, per esempio, è solo un personaggio di facciata. Il vero potere si cela qualche gradino più in alto. Il gruppo degli Illuminati parrebbe comprendere Adriano Olivetti, “il mago”.

Un altro personaggio capace d'influenzare il corso degli eventi, data la sua indiscussa rilevanza politica e finanziaria, è il marito di Theresa May, Philip May. Philip May è Senior executive della Capital Group di Los Angeles, società relativamente sconosciuta ma uno dei gruppi finanziari più grandi e potenti del mondo, con un patrimonio di 1.4 trilioni di dollari e con un portafoglio che include anche 20 miliardi di dollari di azioni Amazon (società dei Morgan) e Starbucks (alla data del luglio 2016). Possiede anche enormi quote in varie società, compresa la banca d'investimento JP Morgan Chase, il gigante della difesa Lockheed Martin (possiede circa il 10,39% dell'azienda americana), la compagnia di tabacco Philip Morris International, Merck & Co del settore farmaceutico e anche Ryanair. Inoltre, è la maggiore azionista dell’altro produttore di armi, BAE Systems. Il contributo del Regno Unito agli attacchi in Siria, pare sia stato quello di sparare otto missili "Storm-Shadow", ciascuno dei quali costava £ 790.000 (1,13 milioni di dollari) per un totale di £ 6,32 milioni (9 milioni di dollari). Questi missili, sono prodotti dalla BAE Systems. Piccola nota: dopo l’attacco in Siria, le azioni della Lockheed Martin e della BAE Systems, sono aumentate..

I complottisti sono quelli che fanno i complotti, non quelli che si pongono domande. "Giudicate un uomo dalle sue domande, più che dalle sue risposte" diceva Voltaire. Farsi domande è un atto creativo: l'espressione di un atteggiamento che comprende curiosità, pensiero indipendente, apertura mentale, capacità di negoziare con il caos e l'incertezza. Non porsi delle domande significa essere parte del pensiero unico che confonde la verità con il comunemente pensato. La paranoia è una psicosi caratterizzata da un delirio cronico, basato su un sistema di convinzioni, non corrispondenti alla realtà, che quindi non potrà mai essere causa di curiosità. Il mio augurio a tutti è, non smettere mai di domandare. Come dice Baricco, le domande sono come dei paesaggi e "sapere" significa dimorare in questi paesaggi. Potrai così vedere anche ciò che qualcuno ha deciso deliberatamente di nasconderti.

La mancanza di ascolto è una naturale tendenza dell’ego, che per sopravvivere fa resistenza al cambiamento.

Non si ascolta (al massimo si “sente") perché ascoltando in profondità si ha paura di un profondo cambiamento di se stessi. Ma questo porta inevitabilmente a un cambiamento, perché talvolta il riconoscere che l’altro ha ragione può portare da parte nostra a un radicale mutamento di prospettiva.

Il medico che non si informa sulle terapie alternative, quindi, ha paura che da questo comporti la necessità di una radicale revisione del suo metodo di lavoro e dei privilegi e del denaro che ha acquisito faticosamente con gli anni.
Lo studioso che non si informa su studi che riguardano la sua materia ha paura di dover buttare al vento anni di studi che ha fatto e che potrebbero dimostrarsi sbagliati.
L’investigatore che non ascolta piste alternative ha paura di rinunciare a tutto il lavoro fatto e di aprirsi ad ipotesi nuove che dovrebbero rivoluzionare tutto il suo metodo di indagine.

Perché in fondo ascoltare significa questo: stare in silenzio, nel tentativo di capire...

Divagazioni sul gioco

La strategia della globalizzazione è un piano definito da decenni, forse da secoli. Ciò che a molti sembra un incedere casuale della storia è in realtà frutto di potente programmazione da parte di un “gruppo di pazzi illuminati” come notoriamente attestato da uno di essi.

Il traguardo è ricostruire la Torre di Babele ricreando una sola razza di schiavi “microchippati” ubbidiente alla unica elite di padroni. Una sola lingua, l‘inglese “globish” e un’unica economia, con una sola cultura sul modello iperedonista “Madonna e Schwarzenegger”. Inoltre un governo mondiale di stampo nazista sorretto dalla legge marziale, assoluto e incontrovertibile, come quello che ci hanno insegnato a odiare nei filmoni di guerra.

Il progetto in questione è celato, ma capita non di rado che i suoi esponenti esternino la loro inestinguibile superbia, accecante come il desiderio di potere. Il superbo, infatti, è una persona convinta di una superiorità, vera o presunta, che vorrebbe assolutamente fosse riconosciuta dagli altri.

Perciò a qualcuno di loro sfugge qualche “confessione” del piano in atto, verso dei “prescelti” che, per intelletto, possono fare trapelare qualche dato, ma sempre su un piano indiretto, fantastico, ludico affinché la massa non comprenda il vero significato di ciò che viene posto sotto i loro occhi.

Questa gente si nutre di simboli alfanumerici e iconici secondo i canoni della numerologia e dell’occultistica.

I terremoti provocati servono ad uno degli obiettivi rivendicati da una carta fondamentale del gioco, “population reduction”, che si ottiene anche attraverso il controllo delle malattie, creando epidemie catastrofiche (carta “center for disease control”).

Inoltre le “pandemie” fanno crescere i profitti delle società farmaceutiche, un modo per manipolare l’andamento dei mercati azionari (carta “market manipulation”). Per averne conferma, è sufficiente osservare l'andamento statistico dei grafici riferiti all'indice Nasdaq, nel periodo in cui esplose la famosa bolla speculativa sulle “dotcom” di Bernard Madoff, che iniziò a settembre del 1998 e si concluse con i tragici eventi di New York, dopo esattamente tre anni, anni in cui gli speculatori “illuminati” poterono spuntare guadagni ingentissimi lasciando poi il “parco buoi” seppellito sotto le macerie delle “Torri Gemelle”. Penso anche che i due grattacieli, che si stagliavano come un gigantesco numero 11, furono pensati fino dall’inizio per fare la fine che hanno fatto. Idem per il Pentagono, colpito esattamente 60 anni dopo la posa della prima pietra avvenuta l’11 settembre del 1941. La carta “market manipulation” ha pertanto una duplice valenza, dato che si riferisce anche all'assalto speculativo compiuto ai danni della Deutsche Bank il 1 luglio del 2016.

Che altro c'è di interessante tra le carte del gioco?
Una carta del gioco, la carta "Hoax", spiega che una carta è falsa. La carta falsa potrebbe però essere la stessa carta che spiega che una carta è falsa.


“Uccidere per la pace” è la carta che annuncia l'avvento della rivoluzione mondiale.


“Disastri Combinati”, una catena di avvenimenti terroristici inscenati allo scopo di portare avanti l’Agenda, lo sono gli attentati di Londra, Madrid, Bombay e gli attentati nell’ex-colonia britannica di Ceylon, in Sri Lanka. Oltre ad attentati “selettivi” in Iraq, Pakistan e Afghanistan per scatenare l’astio latente tra i popoli o religioni, giustificare l’intervento “conciliatore”, in realtà ulteriormente destabilizzante dei “pacificatori”,


La “political correctness” è quella gabbia senza sbarre di deformazione paranoide della realtà secondo cui non è lecito affermare che i Rom rubano anche se corrisponde a pura verità, oppure secondo cui se un bianco ammazza un negro è un razzista; se avviene il contrario è sempre colpa del bianco che non ha sufficientemente “integrato” quell’altro.
E tutti coloro che si oppongono alla globalizzazione ed alla sua base strutturale, L’IMMIGRAZIONE, vengono inesorabilmente tolti di mezzo. La carta si chiama "Morte A Tutti I Fanatici" (“Death To All Fanatics”).


Tra le vittime risapute si possono menzionare Pim Fortuyn e Joerg Haider, ma nel passato, nei vari Paesi, numerosi intellettuali, politici e pensatori furono uccisi perché avevano intuito nella società multietnica il germe del Nuovo Ordine Mondiale ed i pericoli di destrutturazione che ne derivano. Questi omicidi sempre mascherati da “incidenti”, “iniziative di pazzi isolati”, “suicidi” o “ malattie improvvise”. Invece, per menzionare solo alcuni degli esponenti del panorama politico italiano, Napolitano, Gelli, Levi Montalcini, sono divenuti più che ottuagenari senza patema.


NASA



La carta raffigura il set cinematografico allestito per inscenare un finto allunaggio, presumibilmente compiuto dalla NASA, dato che l'astronauta sventola la bandiera degli Stati Uniti d'America.
Il 24 Luglio 1969 Neil Armstrong,
Michael Collins e Buzz Aldrin fecero ritorno sulla terra dopo la storica missione spaziale che li portò primi uomini sulla luna.

Dopo un anno si licenziarono dalla NASA.
Neil Armstrong si ritirò a vivere in campagna. Smise di rilasciare interviste e non presenziò mai ad alcuna serata celebrativa delle successive missioni Apollo.
Buzz Aldrin cadde in un severo stato depressivo che lo portò a diventare schiavo dell'alcool e della droga.
In un'intervista, disse: "Ci considerano eroi ma la luna ci ha distrutto".
In un'altra intervista mise in guardia i ragazzi che aspiravano a diventare astronauti da delusioni, fallimenti e speranze disattese.

Nel 2004 il regista Bart Sibrel gira il documentario intitolato ASTRONAUTS GONE WILD.
Incontra Armstrong, profondo credente, e gli chiede di GIURARE SULLA BIBBIA di essere stato sulla luna.
Armstrong si rifiuta.
Bart si offre di pagare 5.000 dollari in beneficienza in cambio del giuramento.
Armstrong rifiuta ancora e se ne va.
Anche Aldrin è un credente.
Bart gli chiede la stessa cosa e anche Aldrin rifiuta.
Di fronte alle insistenze di Bart, Aldrin gli sferra un pugno e va via senza giurare.
Con Collins non si riesce nemmeno a formulare la domanda.
Alla vista di Bart e della Bibbia Collins si infila in macchina e scappa.

Questa è Storia.
L'uomo sulla luna, solo fantasia.

Ebbene sì.
Non credo che siamo andati sulla LUNA.
Non ci credo perchè a tutt'oggi non siamo in grado di andarci.
Non ci credo perchè gli astronauti che ci sarebbero andati si sono rifiutati di giurarlo ed uno di loro, il massone Aldrin, ha persino picchiato il giornalista che glielo chiedeva.
Non ci credo perché non esiste un filmato della Terra preso dalla luna.
Non ci credo perchè la NASA ha spacciato un pezzo di legno per roccia lunare ed è stata sgamata.
Non ci credo perchè la NASA dice di aver perso tutti i filmati originali di tutti gli sbarchi.
Non ci credo perchè le foto dell'allunaggio presentano anomalie che fotografi esperti hanno giudicato chiari indizi di falso.
Non ci credo perchè gli astronauti dissero, durante la prima conferenza stampa, di non aver visto nessuna stella e poi in interviste successive hanno dichiarato che le stelle da lassù sono bellissime.
Soprattutto non ci credo perchè dei sette membri dell'equipaggio che sarebbero morti durante l'ultima missione A Pollo! (Quella che ha decretato la fine della farsa) 2 hanno due fratelli gemelli identici e 4 hanno sosia vivi e vegeti con lo stesso nome.
Una bella coincidenza no?


E come ci mentono su questo, ci mentono sui vaccini, sugli attentati terroristici dell'ISIS, su Bin Laden e chi più ne ha, più ne metta, perché la matrice è sempre la stessa.

I debunkatori di Sistema sono fantastici! Sentite Paolo Attivissimo come cerca di giustificare il fatto che una roccia lunare regalata da Armstrong ad un Ministro olandese si è poi rivelata essere un falso: un pezzo di legno. Scrive Attivissimo (incredibilmente senza prendersi per il culo da solo): "Le ipotesi su cosa sia successo esattamente al reperto olandese fasullo sono varie. Una è che si tratti di un malinteso: trattandosi di un dono proveniente dagli astronauti, fu dato per scontato che si trattasse di una roccia lunare". Ah! Un malinteso! Fantastico! E da un astronauta che ti porta una roccia in dono che cazzo ti aspetti che ti abbia portato? Un pezzo di legno del suo caminetto? Attivissimo... Ti voglio bene!


Dovete sapere che, oltre alla roccia lunare dell'Apollo 11, che si rivelò essere un pezzo di legno, c'è anche una roccia lunare dell'Apollo 14 che è stata analizzata e si è rivelata di origine terrestre. Tenetevi forte! Sentite la spiegazione di Focus: "È terrestre ma era davvero sulla luna. Si vede che qualche miliardo di anni fa, un asteroide ha urtato violentemente la Terra e quella roccia è schizzata sulla luna". [135] Ah! Pensate che culo! Non solo è schizzata proprio sulla luna ma gli astronauti dell'Apollo 14 l'hanno ritrovata tra un qualche bilione di rocce. Domande? Niente? Ah già! Noi ci fidiamo della Scienzah!

Ad ogni modo, per l'innata tendenza alla ricerca della comfort zone che è propria di tutti gli esseri umani, sarebbe logico pensare che gli astronauti, una volta sbarcati sulla luna, prima di esplorare il satellite sconosciuto, avrebbero rivolto la loro attenzione alla Terra.
Chiunque avrebbe guardato da lontano il proprio pianeta.
Lo avrebbe filmato.
Ne avrebbe immortalato il movimento.
Lo avrebbe fatto vedere a chi non può vederlo perchè ci sta seduto sopra.
Invece ci sono i filmatini delle corsette in dune buggy e nessuna ripresa della fottuta palla che gira.
Ma andate affanculo, bugiardi!


Terrapiattisti



I dubbi riguardanti la forma del pianeta sul quale viviamo sono emersi sui social network, come al solito negli Stati Uniti, solo a partire dal 2015. Come faceva Steve Jackson a sapere, con vent'anni di anticipo, che sarebbe emerso il tema della Terra piatta? Il titolo della carta è subdolo perché anziché essere "Terra piatta", è "terrapiattisti", a suggerire la semplice presenza di una risoluta minoranza di studiosi che crede che la Terra non sia sferica, piuttosto che confermare la dottrina della Terra piatta. L'immagine è sarcastica perché mostra una barca a vela che precipita da un piano quadrato sospeso nello spazio siderale. La didascalia, sorprendentemente, sembra invece rincuorare i terrapiattisti, dato che recita "la gente ride ma i terrapiattisti sanno qualcosa...". In ogni caso risulta difficile poter affermare che gli oceani curvino. Alcuni studiosi che accettano l'idea di un firmamento di vetro e di una Terra ferma, ritengono sia più plausibile che la Terra sia concava. Per maggiori informazioni si veda la sezione "Organizzazione Internazionale del Clima", che è legata al tema della Terra ferma con il firmamento di vetro.

Questa sezione NON PARLA di TERRA PIATTA e TERRA GLOBO.
Se ne facciano una ragione gli analfabeti funzionali che si dovessero sentire immediatamente scossi nelle loro quattro certezze da poveri cristi e avvertissero irrefrenabile l'impulso all'insulto a scopo protettivo.
A me piace parlare di FATTI, indipercui, qui mi limiterò a parlare di FATTI.
Senza voler dimostrare nulla.
Anche perché nulla potrei dimostrare se non che i fatti che vado ad elencare sono oggettivamente VERI.
Contrariamente a quanto si potrebbe pensare non possediamo centinaia di fotografie della Terra. Ne possediamo solamente UNA (con ogni probabilità falsa) datata 1972. Tutte le altre sono ricostruzioni artificiali realizzate dalla NASA con il Photoshop (per ammissione di uno degli stessi grafici realizzatori). [1]
Evidenze incredibili dovute ad errori macroscopici mostrano come gli astronauti della Nasa pretendono di essere ospiti di una navicella in orbita nello spazio ma in realtà sono in uno studio ben ancorato al suolo dove per mezzo di cavi, di schermi Chroma Key e di elaborazioni post produzione si dà l'illusione di assenza di gravità. [2]
Un astronauta della NASA ha affermato che purtroppo la tecnologia che avevamo nel 1969 e che ci ha permesso di andare sulla luna è stata distrutta (?) e che pertanto non siamo più in grado di andare sulla luna. [3]
Un ingegnere della NASA ha affermato che purtroppo  tutto il DATABASE degli sbarchi sulla luna (40 bobine di film!) è andato perduto. [4]
Le immagini della curvatura terrestre in alcuni video divulgati dalla NASA mostrano una curvatura molto più accentuata a parità di altezza rispetto ad alcune fotografie divulgate dalla NASA stessa. [5]
Non è possibile organizzare alcuna spedizione autonoma in Antartide. Un accordo siglato da più di 50 Stati lo vieta rigorosamente. L'Antartide può essere visitato solo in alcune aree e in modo guidato. Tutto il resto è OFF LIMITS e presidiato.
Nel 1947 l'ammiraglio Byrd scoprì, in Antartide, tra i ghiacci, un'oasi verde a clima mite e vegetazione lussureggiante, grande tre volte la Francia.  [6]
Non esiste una singola foto o un singolo video che immortali un singolo satellite in orbita. Tutte le immagini che abbiamo dei satelliti in orbita sono costruzioni artistiche al photoshop. Nessun satellite è visibile ad occhio nudo nè con i telescopi. [7]
Gli astronauti dell'Apollo 11 regalarono al Primo Ministro Olandese una piccola roccia lunare che si è rivelata essere un FALSO. [8]
Nessuno ha mai realizzato una circumnavigazione del globo da nord a sud o viceversa. Nemmeno per poter avere la soddisfazione di dire sono stato il primo.
Mike Horn, che aveva già circumnavigato la terra da EST a OVEST, (circumnavigazione possibile sia per il modello a terra piatta che per il modello a globo) è partito nel 2016 per realizzare questa impresa con l'intenzione di stare fuori due anni. Si è invece fermato dopo un anno presso la stazione antartica Dumont D'urville.
La legge di GRAVITÀ di Newton è una TEORIA che non è stata mai dimostrata e la cui esistenza è messa fortemente in dubbio anche da alcuni scienziati attendibilissimi. [9], [10]
NEWTON era un massone, Gran Maestro del PRIORATO DI SION.

Tra le altre cose, NASA e MASSONI dimenticano sempre di ricordarsi di spiegare al mondo, oltre al motivo per il quale la luna si vede in tutti e due gli emisferi contemporaneamente, come è possibile che ci mostri sempre la stessa faccia, considerando si che ruoterebbe in sincrono opposto con la rotazione terrestre, ma dimenticandosi, che per suffragare il discorso Superluna, essa percorre un orbita ellittica, con tutto ciò che ne consegue in cambi di velocità nel perielio ed afelio. La realtà semplice è visibile a tutti e non ha bisogno di "dogmi" che la sorreggano.

56 milioni di dollari al giorno di risorse negate all'umanità, utilizzate esclusivamente per ingannarla, creando una realtà fittizia precaria. Nel 1935, in commenti al New York Times, Tesla fu critico nei confronti di Einstein affermando che la sua teoria della relatività era "come un mendicante riccamente vestito, che le persone ignoranti considerano un re". Quando ad Einstein è stato chiesto come si sentisse l'uomo più intelligente della Terra, Einstein ha risposto: "Non lo saprei, chiedi a Nikola Tesla".

Mi hanno accusato di essere un terrapiattista.
Invece io sono semplicemente un terracurioso.
Nel senso che mi piacerebbe poterla vedere la Terra.
Purtroppo la #NASA non è ancora in grado di mostrarmi un dannato filmato che me la lasci ammirare in tutta la sua interezza nonostante un budget di 601.31 bilioni di dollari dal 1958 al 2018.
La NASA dice che siamo stati sulla luna nel 1969.
Dice che abbiamo mandato una sonda su Marte nel 1976.
Come è possibile che non riesca ancora a mostrarmi la Terra intera?
E come è possibile che l'astronauta Don Pettit mi dica che oggi sulla luna non siamo più in grado di andarci perché abbiamo distrutto la tecnologia che avevamo 50 anni fa?
Mi prende per il culo?
Quando si è mai visto la scienza regredire?
La scienza si aggiorna, cambia. Non regredisce mai.
Oggi non costruiamo più vascelli ma navi molto più sofisticate che fanno lo stesso lavoro meglio.
Non voliamo più su rudimentali aerei a elica ma sfrecciamo nei cieli a bordo di boeing e airbus a due piani.
Non abbiamo più cabine telefoniche ma ci portiamo dietro i telefonini.
Una conquista la scienza la mantiene e la migliora.
Non va indietro.
Se fossimo andati sulla luna nel 1969 oggi l'avremmo colonizzata.
E allora che cazzo dice Don Pettit?
Non è un insulto all'intelligenza questo?
E non è un insulto all'intelligenza sentire l'ingegnere della NASA Richard Nafzger dire che tutto il DATABASE degli sbarchi lunari è andato perduto perché è stato cancellato per poter riutilizzare le cassette?
Da bambino mi scazzava cancellare le vecchie canzoni per registrare le nuove sullo stesso nastro e la NASA resetta lo sbarco lunare?
Stiamo scherzando?
Come posso bermi una stronzata simile?
50 anni fa andavamo sulla luna con una tecnologia che era pari a quella di un portatile e oggi non siamo in grado di superare l'orbita bassa?
Non bisogna essere laureati in astrofisica per capire che la nasona ci prende per il culo.
Piatta, tonda, sferica, triangolare, a scroto.
Qualunque sia la forma del nostro bel Pianeta mi sembra evidente che quelli della NASA l'hanno vista solo nella bottiglia di Lambrusco. [11]

Ora ricapitoliamo il frenetico susseguirsi degli eventi dal tempismo quantomeno sospetto:
-1957 morte casuale del contrammiraglio Evelyn Byrd.
-1958 nascita della NASA.
-1959 firmato il Trattato Antartico (senza di esso basterebbe un giorno per scoprire se viviamo su un piano oppure un globo) il quale limita l'accesso alle zone costiere mentre l'interno è off-limits.
Curioso anche il fatto che nel 1947, in concomitanza con il primo viaggio antartico effettuato da Byrd, l'ONU istituì come bandiera la mappa della Terra piana, infatti manca un continente piuttosto grande su quella "mappa del mondo rappresentante una proiezione azimutale equidistante".
Davvero interessante anche il fatto che nel 1956 il motto ufficiale degli USA diventa "in God we trust".

L'enciclopedia Treccani riporta tuttora la scoperta di Byrd, ma chissà, forse anche Treccani è "complottista" e all'ONU davvero sta a cuore la salvaguardia del merluzzo cileno.


Contrariamente a quanto potrebbe sembrare a prima vista, quello che vedete in foto non è un noto virologo ma è il merluzzo cileno.


Per non rompere i coglioni a questo pesce (che comunque ha ugualmente la faccia incazzata), 53 Paesi, da 60 anni, impediscono ai comuni mortali di attraversare liberamente l'Antartide via mare, terra e cielo grazie al cosiddetto Trattato Antartico. Solo un Testimone di Geova pare sia riuscito a suonargli al campanello una domenica mattina. Ma lo hanno beccato subito.

Comunque ragazzi, qualcuno questa cosa me la deve spiegare eh.
Nel 1947 l'ammiraglio Byrd fa questa spedizione High Jump.
Trova quest'oasi in Antartide.
600km quadrati.
Un'area troppo vasta per essere giustificabile da un'azione di origine vulcanica.
Animali, vegetazione, acqua dolce a 30 gradi.
L'oasi di Bunger.
La Treccani la menziona.
Wikipedia la descrive nei dettagli. [101]
Praticamente si passa da ghiaccio a -65 gradi a clima temperato a +25 gradi.
Ma dove cavolo è?
Come mai non ci hanno mai girato un documentario?
Perché non ci lasciano andare a vederla?
Belin, ma ci nascondono un pezzo di mondo e nessuno dice niente?
Poi magari ci incazziamo se ci fottono il telefonino.

In Francia da una distanza di 280 km e un'altezza di 80 metri si riesce a vedere distintamente tutta la catena montuosa che culmina nel monte Canigou alto 2700 metri.
L'immagine non si alza e non sfarfalla.
Non è un miraggio.
Il fenomeno della rifrazione prevede immagini instabili e cangianti visibili solo in particolari condizioni atmosferiche.
In questo caso è da escludere.
Questa è proprio una fottuta catena di monti!
Che c'è di strano?
Di strano c'è che a quella distanza la Curvatura terrestre dovrebbe essere di 3700 metri.
Se la Terra fosse tonda il monte Canigou sarebbe sotto di 1000 metri e potrebbe vederlo soltanto Gasparri.

Con il termine firmamento si era soliti indicare il cielo considerato come una superficie solida, alla quale erano rigidamente collegate le stelle.
Una concezione condivisa da tutti i popoli antichi di tutti i continenti.
La parola deriva dal latino firmamentum, che significa appunto appoggio, sostegno e a sua volta deriva dal latino firmus, che significa solido, stabile.
Detto questo, vi racconto una storia.
Nel 1977 morì Wernher Von Braun, un ingegnere TEDESCO di estrazione aristocratica, appassionato di razzi e viaggi nello spazio.
Von Braun era un uomo di Hitler, membro n. 5,738,692 del Terzo Reich e preziosa risorsa delle SS Naziste.
Terminata la seconda guerra mondiale Von Braun arrivò in AMERICA assieme ad alcuni fedelissimi e proseguì negli USA il lavoro incominciato alla corte del Fuhrer.
Negli anni 50 si fece promotore della propaganda spaziale americana e nel 1960 divenne il primo direttore della NASA (parola che in ebraico significa ingannare, raggirare).
Ricoprì questo ruolo fino al 1970.
Sette anni dopo se lo portò via il cancro a 65 anni.
Sulla sua tomba, è scritto SALMO 19:1.
Il Libro dei Salmi è un libro contenuto nella bibbia.
Il Salmo 19:1 dice:
Il cielo racconta la gloria di Dio e il firmamento dichiara l'opera delle sue mani.

Gli stessi che credono che il sole sviluppi una temperatura attorno a sè di 5500 gradi, e che una sonda che orbita a 50 milioni di km da esso debba essere interamente rivestita in carbonio per resistere a una temperatura di 2000 gradi, credono anche che la Tesla privata di Elon Musk possa essere stata davvero lanciata nello spazio e orbiti attorno al sole ad una distanza di 140 milioni di km con un manichino a bordo, senza che nemmeno il manichino e le fottute parti in plastica fondano.
E sono gli stessi che poi fanno i saputi e danno del coglione a chi si fa domande.
Ma andate davvero affanculo.
Di cuore.

La supposta curvatura della Terra non fu tenuta in considerazione quando fu costruito il canale di Suez, fu scavato lungo una linea di riferimento orizzontale 26 piedi al di sotto del livello del mare, passando attraverso diversi laghi da un mare all'altro, con la linea di riferimento e le acque sempre perfettamente parallele per oltre 100 miglia.
L'ing. Winckler fu citato a proposito della curvatura dalla rivista Earth Review, in cui affermò: "Come ingegnere con un'annosa esperienza, mi sono reso conto che questa assurda tolleranza esiste soltanto nei libri scolastici. Nessun ingegnere si sognerebbe di calcolare niente del genere. Ho progettato diverse miglia di ferrovia e molte altre di canali e questo fattore non è mai stato tenuto in considerazione, e tantomeno è stata calcolata la tolleranza. Questa tolleranza per la curvatura significa questo, che ci sono otto pollici per il primo miglio di un canale e la misura aumenta in proporzione del quadrato della distanza in miglia; quindi un piccolo canale navigabile, diciamo di 30 miglia, dovrebbe, secondo la suddetta regola, avere una tolleranza per la curvatura di 600 piedi. Pensate a questo e poi per favore non dite in giro che gli ingegneri sono tanto stupidi. Niente di simile viene mai calcolato. Non ci preoccupiamo di calcolare 600 piedi di tolleranza per un tratto ferroviario o un canale di 30 miglia, più di quanto non pensiamo di far quadrare un cerchio".
La ferrovia London and Northwestern Railway forma una linea retta di 180 miglia tra Londra e Liverpool. Il punto più alto della ferrovia che è a mezza strada, alla stazione di Birmingham, è solo 240 piedi SLM. Se il mondo fosse di fatto un globo, con una curva di otto pollici per miglio al quadrato, la tratta di 180 miglia formerebe un arco con il punto centrale a Birmingham alto più di un miglio, oltre 5.400 piedi sopra Londra e Liverpool.
- Un agrimensore e ingegnere di trent'annni pubblicò sul Birmingham Weekly: "Ho una conoscenza completa della teoria e della pratica dell'ingegneria civile: è ben noto tra noi che tali misurazioni teoriche sono INADATTE A QUALUNQUE FIGURA PRATICA. Tutte le nostre locomotive sono disegnate per funzionare su quello che si può considerare LIVELLATO o PIANO. Esistono, ovviamente, inclinazioni parziali o dislivelli qua e là, ma sono sempre accuratamente definiti e devono essere attentamente calcolati. Ma su qualunque cosa che si avvicini a otto pollici per miglio, e che aumenti al quadrato della distanza, NESSUNA MOTRICE CHE SIA MAI STATA COSTRUITA POTREBBE FUNZIONARE. Confrontando le stazioni in tutta Inghilterra e la Scozia, si potrebbe dire che tutte le piattaforme sono SULLO STESSO LIVELLO RELATIVO. La distanza fra la costa Orientale e quella Occidentale dell'Inghilterra si può stabilire sulle 300 miglia. Se la prevista curvatura fosse davvero com'è figurata, le stazioni centrali a Rugby o Warwick dovrebbero essere prossime alle tre miglia in altezza, su una corda tracciata fra le due estremità. Se questo fosse il caso, non si troverebbe un conducente o un fuochista nel Regno che si prenderebbero l'incarico di portare un treno. Possiamo soltanto ridere di coloro tra voi lettori che hanno seriamente dato credito a simili azzardate millanterie, come il condurre treni attorno a curve sferiche. Le curve orizzontali sul livello sono già abbastanza pericolose, le curve verticali sarebbero mille volte peggio, e con le locomotive costruite attualmente sarebbe fisicamente impossibile".
- La Manchester Ship Canal Company fu citata sullo Earth Review: "È consuetudine nella costruzione di ferrovie e di canali che tutti i livelli si riferiscano a un dato che è orizzontale. Non appartiene alla pratica nella stesura di lavori pubblici considerare la tolleranza della curvatura terrestre.
- In un esperimento Francese del 19mo Secolo una potente lampada fu posizionata sulla sommità della Spagna così che risultasse visibile da Ibiza. Se la Terra fosse stata una palla, la luce avrebbe dovuta essere oltre 6600 piedi -un miglio e un quarto- al di sotto della linea del campo visivo!

Immaginate un esperto di geodetica che abbia preso un GPS ad alta precisione ed altri strumenti a lui necessari a misurare la distanza tra due punti.
Immaginate che abbia selezionato, lontani 3500km l'uno dall'altro, due palazzi alti uguali ed alla stessa altezza sul livello del mare.
Immaginate che abbia fatto le sue misurazioni convinto di trovare una notevole differenza tra la distanza delle basi e la distanza dei vertici come scienza vorrebbe.
Immaginate, poi, cosa debba aver pensato quando si è accorto che la differenza è 0.

Ci sono satelliti funzionanti che sono in orbita da più di 30 anni (si veda la carta "Satellite Meteorologico").


Nessun satellite, tra quelli costruiti con la tecnologia degli anni Ottanta, si è mai guastato e nessuno di questi è mai precipitato. Stiamo parlando di 17.000 satelliti, tutti perfettamente funzionanti, nonostante ruotino a velocità formidabili. E poi acquisti un telefono satellitare (tutti ingombranti ed eccessivamente costosi) e vai in mezzo all'oceano ed il terminale non riesce a stabilire una connessione. Viene da chiedersi perché le informazioni digitali debbano transitare dentro chilometri di cavi sotto i mari, anziché sfruttando i così numerosi e, a quanto pare, efficienti satelliti.
Se i satelliti sono 17.000, vuol dire che ne hanno messo in orbita almeno uno al giorno, per più di 40 anni. Ogni giorno, inoltre, vengono lanciati 1.600 palloni sonda per le previsioni meteo. A cosa servono i satelliti se le previsioni meteo vengono effettuate tramite i palloni sonda?
La tecnologia sperimentale Project Loon, ideata da Google, sfrutta i palloni aerostatici e non i satelliti per connettere chi non ha accesso ad Internet e per dare una connessione veloce ed economica alle due persone su tre nel mondo che non ce l'hanno: trasportati dal vento a un'altitudine doppia rispetto agli aerei commerciali, possono fornire accesso ad Internet sul terreno a velocità simili a quelle delle attuali Reti 3G o anche superiori. Il progetto pilota è iniziato nella zona di Canterbury in Nuova Zelanda. Project Loon funziona così: le stazioni a terra si collegano all'infrastruttura Internet locale e trasmettono segnali ai palloni, in grado di comunicare tra loro e creare una rete a maglie in cielo. I partecipanti al progetto si collegano alla Rete con un'antenna speciale installata in casa, che invia e riceve segnali dai palloni in cielo. Google pensa che un anello di palloni in volo intorno al mondo possa fornire accesso ad Internet alle aree rurali, remote e poco servite della Terra a costi accessibili, o aiutare in caso di disastri naturali che rendano inservibili le comunicazioni. L'obiettivo finale è rendere questo tipo di tecnologia accessibile a tutti. [20] 17.000 satelliti, messi in orbita 365 giorni l'anno, per 46 anni, vale a dire 2 satelliti al giorno. Sarà una coincidenza ma, nei Paesi dove non ci sono basi americane, il GPS non funziona correttamente. Una stranezza, considerando che i satelliti dovrebbero essere "visibili" in ogni angolo del globo.
Questi sono fatti.
Riguardo alla forma della Terra ognuno si faccia o si tenga la propria opinione.


Terrorista Nucleare




Questa carta è una delle più sconvolgenti, specialmente alla luce del fatto che questo gioco ha fatto la sua comparsa nel 1995! Come ha fatto Steve Jackson a sapere che le torri gemelle del World Trade Center sarebbero state attaccate? In effetti, questa carta raffigura con precisione l’attacco al World Trade Center.
Il primo attentato al World Trade Center risale al 1993, indicando che un progetto di un attentato con esplosivi alle Torri Gemelle fosse in circolazione almeno da quella data (che precede la pubblicazione del gioco di carte).
La foto rappresenta:

* La torre che effettivamente sarebbe stata colpita per prima; è l’istantanea tra il momento in cui è stata colpita la prima torre ed i momenti precedenti all’attacco della seconda.

* La carta illustra con precisione che il luogo d'impatto è ad una certa distanza dal tetto della prima torre colpita. L'aereo ha colpito proprio la stessa zona! Come avrebbe fatto Jackson a sapere dettagli del genere?

* Il titolo della carta identifica correttamente gli autori dell'attacco come “terroristi”

A differenza degli attentati terroristici avvenuti l'11 settembre 2001, organizzati dai servizi segreti israeliani, il famigerato Mossad, quelli avvenuti in Europa negli anni immediatamente successivi sono stati inscenati da attori di crisi e quindi non hanno provocato reali vittime o feriti (ad esclusione degli attentatori, eliminati tempestivamente dai reali organizzatori della messinscena). Sono invece indubbiamente reali le vittime degli attentati avvenuti in Sri Lanka in occasione della Pasqua del 2019.

La cosa sconvolgente è che, però, i grattacieli sono stati colpiti da missili scagliati da jet e non da aerei di linea; a tal proposito si veda l’unico filmato che riprende il jet su disinformazione.it di Marcello Pamio, proposto di seguito:




Segue il filmato:

Quello mostrato di seguito, invece, è un uccello in volo e non un jet:

In pratica le immagini degli aerei non sono altro che realizzazioni grafiche concepite in tempo reale con software di realtà aumentata, come Avid, sovrapposte alle riprese, mentre un jet lanciava un missile contro la seconda torre. Si veda, nel filmato che è stato caricato sul mio canale Rumble,  "thruth3 blogspot", il difetto grafico nel rendering dell'animazione prodotta dal software Avid (lungimirante il nome del software...) [333]: Il video che era stato pubblicato nel mio canale YouTube thruth3, oltre che sul canale della piattaforma Vimeo, e che aveva totalizzato oltre 44.000 visualizzazioni in pochi mesi, è stato censurato sia da YouTube [307], che da Vimeo [12].


George W. Bush pensò che l'attentato non avrebbe destato dubbio alcuno in merito ai suoi artefici, ma il Demiurgo lo sorprese. Si presti attenzione all'espressione che comparve sul volto del Presidente nel filmato sotto riportato; per qualche istante Bush pensò di essere stato tradito dai suoi stessi collaboratori, perché gli alunni intonarono una filastrocca dal significato recondito proprio mentre il jet militare colpì la seconda torre con un missile: [13]
La filastrocca apparentemente insensata che venne intonata dai bambini, sotto lo sguardo attonito del Presidente, consiste nelle parole "Aquilone-acciaio-colpire-aereo-deve".

Le rivelazioni sui profitti ottenuti con l’insider trading in relazione agli attacchi dell’11/9 puntano ai livelli più alti del mondo degli affari USA e della CIA.

Nelle poche ore immediatamente successive agli attacchi vi furono resoconti della CNN su insider trading alla Borsa di New York. Cioè, sembra che qualche grosso investitore abbia saputo in anticipo degli attacchi ed abbia venduto prima.
Le cifre della Borsa di New York sembrano indicare chiaramente che QUALCUNO ha fatto l’insider trading. Ma chi? Per le autorità con pieni poteri investigativi questo dovrebbe essere uno degli aspetti più semplici delle indagini. E se potesse essere scoperto chi ha fatto l’insider trading avremmo una chiara idea su chi sapeva in anticipo degli attacchi ed avremmo un buon indizio per scovare i colpevoli. L’importanza di tale prova è stata sottolineata nei resoconti della CNN.

Bisogna proprio essere fortunati per fare 4 miliardi di dollari con un bel colpo su un investimento di 6 mesi da 124 milioni di dollari.

Larry Silverstein è il magnate immobiliare newyorkese che acquistò l’intero complesso del World Trade Center proprio 6 mesi prima degli attacchi dell’11 settembre. Quella fu la prima volta che nei 33 anni di storia del complesso vi fu un cambio di proprietà.

Il primo ordine del giorno di Mr. Silverstein in qualità di nuovo proprietario fu di sostituire la compagnia responsabile della sicurezza del complesso. La nuova compagnia che venne ingaggiata fu la Securacom (ora Stratasec). Il fratello di George W. Bush, Marvin Bush, era nel consiglio d’amministrazione e il cugino di Marvin, Wirt Walzer III, ne era il direttore generale. Secondo documentazioni pubbliche, la Securacom, non solo forniva sicurezza elettronica al World Trade Center, ma forniva copertura al Dulles International Airport e alla United Airlines, due protagonisti chiave negli attacchi dell’11/09.

La compagnia si appoggiava ad una società d’investimenti, la Kuwait-American Corp., anch’essa legata per anni alla famiglia Bush.

La KuwAm fu legata finanziariamente alla famiglia Bush fin dalla Guerra del Golfo. Uno dei direttori e membro della famiglia reale del Kuwait, Mishal Yousef Saud al Sabah, fece parte del consiglio della Stratasec.

Facciamo ora una considerazione: i membri di una esigua cricca possedevano il WTC, ne controllavano la sicurezza dei sistemi elettronici, e anche la sicurezza non solo di una delle linee aeree i cui velivoli vennero dirottati l’11/09, ma dell’aeroporto dal quale provenivano.

L'ufficio di Larry Silverstein si trovava proprio nel complesso del WTC. Quella mattina la moglie di Silverstein aveva prenotato una visita dal dermatologo per il marito, così l'uomo non si recò mai al lavoro. 14

Un’altra piccola “coincidenza” – Mr. Silverstein, che diede un acconto di 124 milioni di dollari su questo complesso da 3,2 miliardi di dollari, lo assicurò prontamente per la cifra di 7 miliardi di dollari. Non solo, assicurò il complesso contro “attacchi terroristici”.
In seguito agli attacchi, "Lucky" Larry Silverstein presentò due richieste di indennizzo per la cifra massima della polizza (7 miliardi di dollari), basate, secondo il parere di Silverstein, su due attacchi separati. La compagnia assicurativa Swiss Re, diede a Mr. Silverstein un risarcimento di 4.6 miliardi di dollari – un principesco compenso per un investimento relativamente misero di 124 milioni di dollari.

C’è dell’altro. Vedete, le World Trade Towers non erano proprio quell’affare immobiliare che siamo portati a credere. Da un punto di vista economico, il Trade center – sovvenzionato fin dall’inizio dal New York Port Authority – non ha mai funzionato, né si intendeva farlo funzionare, indifeso nel disordinato mercato immobiliare. Come non faceva a esserne al corrente il Gruppo Silverstein?

Le Torri avevano bisogno di ristrutturazione e migliorie per un totale di 200 milioni di dollari, gran parte dell’ammontare relativo alla rimozione e rimpiazzo dei materiali edilizi dichiarati rischiosi per la salute fin dalla costruzione delle Torri. Era ben risaputo dalla città di New York che il WTC era una bomba all’amianto. Per anni il Port Authority trattò l’edificio come un vecchio dinosauro, cercando in diverse occasioni di ottenere i permessi per demolire la costruzione per motivi di liquidità, mai concessi a causa dei risaputi problemi riguardanti l’amianto. Inoltre si sapeva benissimo che l’unico motivo per cui la costruzione stava ancora in piedi fino all’11/09 era perché sarebbe stato troppo costoso smantellare le Twin Towers piano per piano dato che al Port Authority venne impedito legalmente di demolire gli edifici.

Il costo stimato per smontare le torri: 15 miliardi di dollari. Solo il materiale da impalcatura per l’operazione venne stimato sui 2.4 miliardi di dollari!

In poche parole, le Twin Towers erano strutture condannate.
Che cosa conveniente, quindi, quell'attacco “terroristico” che le ha demolite completamente.

L’edificio 7 era parte del complesso del WTC, e coperto dalla stessa polizza assicurativa. Questa struttura di 47 piani, in acciaio, che non venne colpita da un aereo, crollò misteriosamente su se stessa a caduta libera, otto ore più tardi nello stesso giorno – esattamente nello stesso modo delle Twin Towers.

Come è potuto accadere?
Mr. Silverstein diede involontariamente al mondo la risposta con un lapsus freudiano durante un’intervista al canale PBS, un anno dopo: «Mi ricordo di aver ricevuto una chiamata dal comandante dei vigili del fuoco, che mi informava di non esser sicuro che sarebbero stati in grado di contenere l’incendio e io dissi, "abbiamo avuto un numero tremendo di vittime, forse la cosa più intelligente da fare è tirarlo giù". E presero questa decisione e assistemmo al crollo dell’edificio».

Chiunque ne sappia un po’ sulle costruzioni può affermare: “tirar giù” nel gergo industriale sta per demolizione controllata.

Una cosa è certa, la decisione di “tirar giù” il WTC 7 avrebbe reso felici molte persone.

World Trade Center 7.
Non dimenticate che nessun aereo ha colpito questo edificio.

Specialmente perché era stato riferito che migliaia di dati sensibili riguardanti alcune delle più grandi truffe finanziarie della storia – comprese Enron e WorldCom - erano depositate negli uffici di alcuni inquilini dell’edificio:

- US Secret Service
- NSA
- CIA
- IRS
- BATF
- SEC
- NAIC Securities
- Salomon Smith Barney
- American Express Bank International
- Standard Chartered bank
- Provident Financial Management
- ITT Hartford Insurance Group
- Federal Home Loan Bank

La Security and Exchange Commission [SEC: Commissione di controllo sui titoli e la borsa] non ha quantificato il numero di casi effettivi nei quali dati sostanziali vennero distrutti dal crollo del WTC 7.

L’agenzia di stampa Reuters e il Los Angeles Times pubblicarono resoconti che li stimavano tra i 3.000 e i 4.000. Includevano la più importante tra le inchieste dell’agenzia sui metodi con i quali le banche d’affari si spartivano le azioni più appetibili appena immesse sul mercato durante il periodo del boom dell’high-tech. …“Le investigazioni in corso al New York SEC ne verranno influenzate clamorosamente perché gran parte del loro è un lavoro di documentazione intensivo”, disse Max Berger della Bernstein Litowitz Berger & Grossman di New York. “Per quei casi è una sventura”.

Citygroup afferma che alcune delle informazioni che la commissione sta cercando (circa WorldCom) vennero distrutte nell’attacco terroristico dell’11 settembre al World Trade Center. Salomon aveva degli uffici nell’edificio 7 del World Trade Center. La banca riferì che i nastri delle registrazioni delle e-mail della società a partire dal settembre 1998 fino al dicembre 2000 erano archiviate nell’edificio e distrutte nell’attacco.

Nell’edificio 7 del WTC vi era il più grande ufficio del territorio dei Servizi Segreti USA, con più di 200 dipendenti: “tutte le prove che avevamo archiviato e che si trovavano nell’edificio 7, in tutti i casi, sono crollate con l’edificio”, secondo l’agente speciale dei servizi segreti US David Curran.

Che perfetto, completo e fortuito susseguirsi di eventi fu l’11 settembre 2001.

Casualmente, val la pena notare che uno degli amici più intimi di Lucky Larry – una persona con la quale, si dice, parli al telefono quasi tutti i giorni – è niente meno che l’ex primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu.

Il titolo della carta è “Terrorista nucleare”. Che significa? Le Torri Gemelle non sembrano essere state distrutte da ordigni atomici, o si? Ci si potrebbe domandare se la tecnologia bellica usata per fondere lo scheletro d'acciaio dei grattacieli fosse basata sulla fusione dell'atomo o sulla manipolazione della materia a livello atomico. Una fusione nucleare spiegherebbe il modo improvviso in cui il cemento armato e lo scheletro d’acciaio si sono semplicemente ridotti in polvere. Questo tipo di fusione nucleare spiegherebbe anche il caldo tremendo che ha soggiornato a “Ground Zero” per diversi mesi dopo l’11 settembre. Dimitri Khalezov è stato un alto funzionario incaricato della cosiddetta Unità Militare 46179, chiamata anche Servizio di Controllo Speciale del 12° Dipartimento del ministero della difesa dell'URSS, per gli addetti ai lavori "intelligence atomica". Khalezov ha diretto l'unità militare segreta incaricata della rilevazione di esplosioni nucleari (compresi i test atomici sotterranei) di vari avversari dell'ex Urss ed è stato anche responsabile del controllo e dell'osservazione di diversi trattati internazionali relativi ai test nucleari sperimentali. Dopo l'11 settembre 2001 ha condotto una ricerca approfondita, sostenendo di poter dimostrare che le Torri Gemelle furono demolite, insieme all'Edificio 7, dall'azione di cariche esplosive, da cui il nome Ground Zero attribuito al punto della demolizione. Si presume che, assieme alle cariche esplosive, siano state usate armi ad energia diretta che agiscono a livello atomico e che sono tuttora sotto indagine da parte della criminologa e consulente tecnico forense Judy Wood. I fogli di carta non hanno preso fuoco nonostante le Torri Gemelle si siano polverizzate (dustification), come se il calore avesse agito solo su determinati materiali. Alcune vetture si sono incendiate solo in parte, nonostante fossero molto vicine al complesso del WTC. Le fiamme nei parcheggi del WTC sono rimaste accese a distanza di mesi dall'accaduto, a causa dell'impiego di armi ad energia diretta. Lo stesso termine "Ground Zero" non era mai stato usato prima dell'11 settembre 2001 per identificare il complesso del World Trade Center ed è un termine militare che descrive il punto in cui si fa detonare un ordigno con capacità esplosiva. I primi testimoni che hanno usato il termine Ground Zero sono stati i giornalisti delle televisioni commerciali che hanno commentato in diretta quanto avveniva a New York.

Concludiamo con la famosa citazione di Cossiga, rilasciata alla stampa nel 2007:
...mentre tutti gli ambienti democratici d'America e d'Europa, con in prima linea quelli del centrosinistra italiano, sanno ormai bene che il disastroso attentato è stato pianificato e realizzato dalla Cia americana e dal Mossad con l'aiuto del mondo sionista per mettere sotto accusa i Paesi arabi e per indurre le potenze occidentali ad intervenire sia in Iraq sia in Afghanistan.

Pentagono


Quando ho visto questa carta , subito dopo aver visto la foto delle Torri Gemelle, mi sono stupito. A meno di non sapere dettagliatamente il piano degli Illuminati, è praticamente impossibile descrivere con così tanta accuratezza i fatti dell’11 settembre 2001. Il Pentagono viene mostrato mentre brucia; sappiamo che un missile si scontrò contro una sezione del Pentagono e la bruciò quasi per intero. Tuttavia, il resto del Pentagono non ha subito danni. al punto che ha continuato senza ostacoli le sue funzioni. Con un software di realtà aumentata come Avid è stata sovrapposta l'immagine di un Boeing a quella del missile che colpì la facciata del Pentagono.

La carta non assomiglia alla descrizione dell’attacco al pentagono? Questa carta mostra un fuoco che arde nel cortile centrale del Pentagono, il resto dell’edificio risulta intatto, permettendone la completa operatività!
Quindi, queste due carte sono complementari.

Una tale precisione, sei anni prima degli attacchi, è possibile solo se si conosce molto accuratamente il piano dei neocon che hanno ultimato la strage.


Agente sul Posto


La carta "Agente sul posto" raffigura un agente dei servizi segreti in borghese, travestito da venditore ambulante di hot dog.

Quello che la società civile solitamente ignora, è che, a Manhattan, furono arrestate decine di agenti israeliani travestiti da venditori ambulanti di hot dog, l'11 settembre 2001.

L'Executive Intelligence Revue (E.I.R), nel n. 51 del 20 dicembre 2001, ha riferito notizie inquietanti, che vengono riportate di seguito.

"Ora, a tre mesi di distanza, Sharon e i militari israeliani procedono a passo spedito verso la guerra. In questo contesto si collocano alcune rivelazioni esplosive sul conto delle unità dello spionaggio israeliano attive negli USA alla vigilia dei misfatti dell'11 settembre. Poiché le rivelazioni provengono da una rete televisiva affermata come la Fox News e sono poi state riprese dalla Associated Press e da CHANNEL 11 di Houston ed altri, va ritenuto che dietro vi siano forze istituzionali sufficientemente potenti da poter influenzare, tentando di bloccarla, la corsa verso la guerra in Medio Oriente.

In quel fatidico 11 settembre furono arrestate cinque spie israeliane, poi estradate. Stavano tutt'e cinque su di un tetto di Hoboken, e guardavano oltre il fiume Hudson, in direzione delle Torri Gemelle. Qualcuno ha chiamato la polizia ed è risultato che i cinque facevano parte delle forze armate israeliane e che avevano lavorato per una impresa di trasporti. I cinque, i cui visti erano scaduti, si sono rifiutati di dire di più.

Gli israeliani arrestati nelle retate successive all'11 settembre sono in tutto una sessantina. La Fox News riferiva l'11 dicembre che, sottoposti al test della "macchina della verità", alcuni di questi arrestati hanno mentito.

"Non ci sono indizi di una partecipazione israeliana negli attacchi dell'11 settembre; purtuttavia, gli investigatori sospettano che essi abbiano raccolto informazioni in anticipo attinenti a quei fatti, ma non le hanno riferite" alle autorità USA, ha detto Carl Cameron della Fox News. Le autorità americane hanno detto a Cameron che il silenzio è d'obbligo in questa fase dell'inchiesta, mentre i portavoce dell'ambasciata israeliana non ammettono niente di niente in merito allo spionaggio negli USA. Cameron ha continuato:

"Ma Fox News ha appreso che un gruppo di israeliani da poco individuato nel North Carolina si serviva di un appartamento in California per spiare un gruppo di arabi che le autorità statunitensi tengono sotto osservazione perché sospettati di collegamenti con il terrorismo.

"La Fox News ha raccolto documenti che indicano come anche prima dell'11 settembre almeno 140 altri israeliani siano stati arrestati nel corso di complesse indagini molto riservate sullo spionaggio israeliano negli USA."

I sospetti si appuntano su studenti dell'Università di Gerusalemme o dell'Accademia Bezalel: "I documenti mostrano che [gli israeliani] si sono concentrati nella penetrazione di basi militari, degli uffici della DEA, della FBI, e di diversi uffici governativi e ci sono riusciti, entrando persino in uffici segreti e abitazioni private appositamente non registrate, assegnate al personale che svolge attività speciali".

Un'altra parte dell'inchiesta riguarda l'arresto di decine di spie israeliane che operavano in strada, come venditori ambulanti. Cameron fa inoltre riferimento ad altre indagini condotte dalla Corte dei Conti e dai servizi militari (DIA) che definiscono le attività spionistiche israeliane negli USA rispettivamente "aggressive" e "voraci".

Il 12 e 13 dicembre Cameron è tornato sull'argomento con la storia della AMDOCS, impresa privata israeliana che opera nelle telecomunicazioni ed è appaltatrice presso le venticinque principali imprese telefoniche americane. Il tipo di servizio prestato le da accesso in tempo reale a gran parte delle linee telefoniche del paese, con la possibilità di fare tutte le intercettazioni telefoniche che vuole. Secondo la Fox TV, la AMDOCS è finita più volte sotto inchiesta: FBI e altre forze di polizia l'hanno ripetutamente sospettata di collegamenti con la mafia e di spionaggio.

Ci sarebbe poi un documento top secret della National Security Agency (NSA) che nel 1999 spiegava come tutte le telefonate in America fossero registrabili da parte di governi stranieri, in pratica quello israeliano. Quando nel 1997 scoppiò lo scandalo "MEGA", riguardante la talpa israeliana nell'amministrazione USA, AMDOCS fu accusata di aver intercettato le telefonate tra il Presidente Clinton e Monica Lewinsky. La Fox TV aggiungeva che il pericolo tutt'altro che remoto è che le informazioni riservate siano anche accessibili al crimine organizzato israeliano: "Non sarebbe la prima volta: nel 1997 si presentò un bel grattacapo quando le comunicazioni di FBI, Servizi segreti, DEA e LAPD furono completamente compromesse dal crimine organizzato israeliano che utilizzava i dati di cui dispone la AMDOCS".

Il 13 dicembre la Fox ha parlato della Converse Infosys, un'altra impresa high tech, sussidiaria di un'impresa israeliana, che con uffici in tutto il territorio americano "fornisce attrezzature per le registrazioni telefoniche alle forze dell'ordine". Gli enti preposti utilizzano il software della Converse nei propri computer per individuare le telefonate da intercettare e per lo smistamento delle registrazioni a seconda delle competenze. La casa madre della Converse, che ha accesso a questi dati, è tanto vicina al ministero dell'Industria e Commercio (di cui è stato titolare Sharon) che il 50% delle sue spese di R&D sono a carico del ministero.

Rompendo la prassi delle sue conferenze stampa, il 13 dicembre il Segretario di Stato Powell ha concesso la prima domanda al corrispondente dell'EIR. Interrogato in merito allo spionaggio israeliano negli USA, Powell ha risposto di essere al corrente della storia degli arresti -- quindi confermandone la notizia -- ma di occuparsi solo dell'aspetto diplomatico della questione, mentre per quanto riguarda l'aspetto spionistico, ha detto, "la domanda deve essere rivolta al ministero di Giustizia ed alla FBI".


Tempi Interessanti e Manipolazione Del Mercato


Nel periodo anche noto col nome di "tempi interessanti", che va dall'11 settembre 2001 fino al giorno di Pasqua del 2019 (si veda la carta "Interesting Times") vi furono molteplici attentati dinamitardi, o di altra natura, perpetrati per ristabilire l'ordine in termini geopolitici: il 7 gennaio 2015 vi fu l'attentato di Charlie Hebdo, l'11 luglio 2015 un'autobomba esplose davanti al consolato italiano a Il Cairo per punire gli interessi italiani in Egitto e la politica espansionistica dell'ENI, ad ottobre del 2015 vi fu lo scandalo strumentale Dieselgate che ha colpito il gruppo tedesco Volkswagen, il 31 ottobre 2015 vi fu l'attentato al volo russo Metrojet 9268, il 13 novembre 2015 avvenne un'esplosione davanti al ristorante Events in zona Saint-Denis in Francia, sempre il 13 novembre 2015 si verificò l’esplosione della seconda bomba allo Stade de France, l'8 gennaio 2016 fu sventato un attentato agli alberghi di Hurghada, il 22 marzo 2016 vi fu l'attentato di Bruxelles, il 14 luglio 2016 vi fu la strage di Nizza, il 22 luglio 2016 ebbe luogo la strage di Monaco di Baviera che causò nove morti, più l'attentatore suicida; il 24 luglio 2016, a Reutlingen, una donna venne uccisa; il 25 luglio 2016, ad Ansbach, un kamikaze si fece esplodere ferendo dodici persone; il 26 luglio 2016, a Rouen, due terroristi furono uccisi dalla polizia dopo aver sgozzato il prete che celebrava la messa. Il 17 ottobre 2016 avvenirono due esplosioni, conflagrate contemporaneamente, in due impianti chimici nell'ovest della Germania, distanti molti chilometri l'uno dall'altro, Lampertheim e Ludwigshafen, sempre negli stessi anni, vi fu lo stillicidio di attacchi alle località del Mar Rosso ed il giorno di Pasqua del 2019 l’ex-colonia britannica di Ceylon, in Sri Lanka, è stata sconvolta da una serie di attentati che hanno colpito chiese ed alberghi a Colombo ed in altre due località, provocando trecento vittime (si vedano le carte Tempi Interessanti e Disastri Combinati).
La carta "Manipolazione Del Mercato" si riferisce in particolare al periodo dei "tempi interessanti" in cui si è compiuto l'assalto speculativo ai danni della Deutsche Bank, nel 2016. È interessante notare che, nello stesso anno, si sono verificate due differenti esplosioni, deflagrate praticamente all'unisono, che hanno colpito due impianti chimici del gigante tedesco Basf in Germania. In due città distanti una trentina di chilometri l'una dall'altra, Lampertheim e Ludwigshafen, nell'ovest della Germania, si sono alzate in cielo colonne di fiamme e fumo nero. In altre parole, chi ha compiuto l'assalto finanziario ha voluto accertarsi che il "messaggio" sarebbe stato compreso dai servizi tedeschi. Il referendum inglese sull'eventuale uscita dalla moneta unica aveva aumentato esponenzialmente le possibilità della dissoluzione dell'euro nei mesi immediatamente successivi, aggravando la crisi bancaria in atto nell’Europa meridionale. A luglio del 2016, come nell’estate 2015, quando il referendum greco bocciò le condizioni della Troika, Berlino era il maggiore ostacolo alla salvaguardia dell’eurozona: la Germania, che allora era favorevole all’uscita di Atene dal banale regime a cambi fissi anche noto con il nome "euro", a luglio del 2016 non mostrava alcuna intenzione di cedere sulle norme del “bail in”, introdotte nell'estate di quell'anno, né di consentire l’iniezione di denaro pubblico nei capitali delle banche. In queste condizioni, l’Italia era destinata, nel volgere di pochi mesi, ad abbandonare la moneta unica. Gli Stati Uniti tornarono quindi in campo proprio a luglio del 2016 e contrattaccarono per salvare l'euro: Deutsche Bank fu l’obbiettivo ideale per una guerra finanziaria.

Chi avesse consultato il sito del Financial Times il 28 giugno del 2016, si sarebbe imbattuto nell’articolo “Soros bet on fall in Deutsche Bank shares after Brexit vote”, dove il quotidiano della City illustrava la scommessa di George Soros sulla caduta in borsa di Deutsche Bank all’indomani del referendum inglese (l’istituto tedesco aveva perso il 20% del valore nell’ultima settimana del mese di giugno del 2016). Trascorsero due giorni e sul Wall Street Journal apparve l’articolo “Deutsche Bank Shares Hit Over 30-Year Low After Fed, IMF Rebuke”: Deutsche Bank aveva toccato in borsa il minimo degli ultimi 30 anni dopo che sia la Federal Reserve, sia il Fondo Monetario Internazionale (basato a Washington), avevano lanciato durissimi moniti contro la banca tedesca. La prima perché, a suo giudizio, la filiale americana di DB non aveva superato i test sulla solidità patrimoniale; il secondo perché, in un suo recente rapporto, aveva etichettato Deutsche Bank come la fonte di maggior rischio per la stabilità finanziaria mondiale. La stampa italiana, ovviamente, coglie la palla al balzo e Repubblica ci ricordava che:

“A rendere vulnerabile l’istituto teutonico è la colossale esposizione a derivati, stimata dalla Banca dei Regolamenti Internazionali come superiore a 50 mila miliardi di dollari, una cifra pari a duemila volte la capitalizzazione di mercato dell’istituto”.

Derivati a 2000 volte la capitalizzazione della banca? Come possibile? I media italiani, per ignoranza o malizia, dimenticavano di dire che quei 50.000 €mld sono il valore nozionale dei derivati, ossia l’ammontare lordo di denaro su cui sono fatte “le scommesse”, non il valore netto delle “scommesse”, quantificabile in una percentuale minima di quei 50.000 €mld.

Sia ben chiaro: Deutsche Bank è uno squalo della finanza in tutto e per tutto simile alle sue sorelle angloamericane ed il bilancio 2015 si è effettivamente chiuso con una perdita monstre di 6,8 €mld, dovuta in buona parte alle migliaia di contenziosi legali aperti, dall’accusa di manipolazione del Libor a quella di riciclaggio di denaro.

Deutsche Bank è però anche la prima banca della Germania ed ha un nome così “tedesco” da essere confusa talvolta persino con la banca centrale tedesca, la Bundesbank. Di più, Deutsche Bank è una colonna portante del sistema economico tedesco; è l’istituto che, sin dal finanziamento della ferrovia per Baghdad ai primi del ‘900, ha sempre svolto il ruolo di braccio finanziario di Berlino all’estero, agevolando l’export o supervisionando gli investimenti strategici. Colpire Deutsche Bank è, in sostanza, come colpire Volkswagen: è una pallottola al cuore dell’economia tedesca.

Ecco perché l’attacco simultaneo di Soros, della Federale Reserve e del Fondo Monetario Internazionale alla Deutsche Bank lascia adito a molti dubbi: è forte il sospetto che si sia trattato di una nuova offensiva contro Berlino, proprio mentre la Germania, scartando l’ipotesi di un allentamento del “bail in” invocata dalle banche italiane, apriva di fatto alla dissoluzione dell’euro.

Il “terrorista finanziario” (definizione che ne danno i cinesi) Soros è quindi sceso in campo per la sua ennesima guerra speculativa: la posta in gioco, quella volta, fu davvero alta.

Lo scandalo Dieselgate, emerso ad ottobre del 2015, ha invece colpito l'industria automobilistica tedesca ed in particolare il gruppo Volkswagen.

Un popolo, un'auto, una rappresaglia

Anno movimentato per il gruppo Volkswagen: prima un bilancio dagli utili record ed il traguardo da primo produttore mondiale in vista, poi la notizia delle centraline manipolate che nel giro di pochi giorni brucia metà della capitalizzazione in borsa. Ad innescare lo scandalo è la statunitense Environmental Protection Agency che accusa i diesel tedeschi di emettere ossidi d'azoto oltre i limiti consentiti: le teste dei vertici di Wolfsburg cadono e l'affidabilità teutonica incassa un duro colpo. Scrupolosità ambientalistica delle agenzie americane? Sgambetto industriale? No. Come lo scandalo FIFA, la "scoperta" di illeciti su cui si è sempre chiuso un occhio, ha finalità politiche. Berlino, nonostante la gestione di Angela Merkel, è per gli americani l'incognita dirimente. Se la Germania si sganciasse dal blocco atlantico, Washington perderebbe il teatro europeo e, di conseguenza, l'egemonia globale.

Ein Volk, ein Wagen, ein Skandal

Diesel e Germania fanno un distico. Se si volesse una terzina, allora sarebbe Diesel, Germania e Volkswagen  Si noti che nella carta denominata "Germania" viene raffigurato in primo piano un modello di automobile della Volkswagen, nonostante vi siano tante altre case automobilistiche importanti nel Paese.


È nella febbricitante Germania guglielmina, apripista della seconda rivoluzione industriale, che Rudolf Diesel inventa un motore basato sulla compressione dell'aria: l'impiego non tarda a raggiungere l'industria bellica ma bisogna attendere gli anni '30 perché una vettura di lusso, la Mercedes-Benz W138, monti un pesante e costoso motore a gasolio. Quando Adolf Hitler affida al geniale Ferdinand Porsche la progettazione di un'auto per la motorizzazione di massa, la scelta cade non a caso su un più economico motore a benzina: sono le versioni da 1,1-1,6 litri che monta la Volkswagen Typ 1, meglio nota come il "maggiolino". Per abbattere i costi di produzione e rendere il prezzo abbordabile, si adottano le più moderne tecniche fordiste e si erigono fabbriche ex-novo: attorno a loro nasce la cittadina di Wolfsburg, sede dell'attuale gruppo Volkswagen.

La casa tedesca segue da subito le fortune della Germania: gli impianti, convertiti ad uso bellico, crollano sotto le bombe alleate del '44-'45. Le forze d'occupazione inglesi, resistendo alle pressioni di chi vuole "ruralizzare" la Germania sconfitta, acconsentono ad una rapida ripresa dell'attività: esportare per i tedeschi significa vivere nell'immediato dopoguerra ed il mito felice del maggiolino si afferma solo col miracolo economico. Le sorti di Volkswagen sono però ancora legate al datato modello Typ-1, inadatto alle sfide poste dalla crisi petrolifera del 1973: il decollo (che coincide con l'inizio della parabola discendente per la FIAT) passa per la Golf 1 del 1974, disegnata da Giorgetto Giugiaro.

Protetta dalla "legge Volkswagen" che ne impedisce le scalate ostili e blindata dai pacchetti azionari in mano al land della Bassa Sassonia ed i discendenti di Porsche, la casa di Wolfsburg fa da polo aggregante per l'industria meccanica, inglobando marchi (Audi, SEAT, SKODA, Bentley, Bugatti, Lamborghini, Porsche, Ducati, Scania, MAN) che consentono una diversificazione per prodotto, fascia di prezzo e Paese. Sono proprio le vetture di lusso e la trentennale presenza in Cina (oggi secondo mercato per il gruppo) a regalare un bilancio 2014 da record: 200 €mld di fatturato, 14 €mld di utili ed il traguardo come primo produttore mondiale in vista.

Quando nel marzo del 2015 è presentato il bilancio consolidato del gruppo, le azioni Volkswagen sono scambiate a 250 € cadauna: la casa di Wolfsburg è all'apice del successo, specchio di una Germania sempre più sicura della propria forza economica e dell'influenza politica derivante.

Man mano che dalla Cina giungono segnali di rallentamento, le azioni di VW danno segnali di malessere, attestandosi a 170€ attorno alla metà di settembre. Poi ha inizio il bagno di sangue, un assalto speculativo in grande stile che ricalca le recenti ondate ribassiste contro il rublo e la borsa cinese. Lunedì 21 settembre le azioni perdono il 20% del valore, bruciando 14 €mld, e nell'arco di una settimana la capitalizzazione in borsa è pressoché dimezzata, con le azioni scambiate il 30 settembre a 95€.

A innescare il crollo è la notizia che l'agenzia statunitense per la protezione dell'ambiente (EPA) ha individuato un software nelle centraline delle Volkswagen che montano i quattro cilindri 2.0 litri turbodiesel che spegne il controllo delle emissioni durante la guida e lo riaccende per i test. Il gruppo tedesco, minaccia l'EPA, rischia una multa fino a 18 $mld, 37.500$ per ognuna delle 480.000 auto incriminate. [276]

Immediata parte la campagna mediatica che per potenza di fuoco e soprattutto per i temi al centro del dibattito (il fallimento del sistema-paese della Germania e non i presunti danni all'ambiente provocati dal sovrappiù di emissioni di ossido di azoto – finora sconosciuto-) ha obbiettivi che trascendono la salvaguardia dell'ambiente. Trascurando che i diesel ammontino solo al 24% delle vendite Volkswagen negli USA [277] e che l'inquinamento prodotto dal veicolo medio americano (10,2 Km/l [278] contro i 18 Km/l dei diesel incriminati) è di gran lunga maggiore a quello prodotto dagli ossidi di azoto, è sferrato un tale bombardamento mediatico da obbligare la casa automobilistica a correre ai ripari (si veda la carta "Connessioni tra i mezzi di comunicazione"): l'amministratore delegato Martin Winterkorn rassegna le dimissioni ed è annunciato uno "spietato repulisti" nell'azienda.


Quantificare i danni è al momento difficile: la banca svizzera Credit Suisse, per non sbagliare, stima tra i 25 ed i 75 €mld il costo dello scandalo [279] paventando la necessità di un aumento di capitale per la casa di Wolfsburg.

Le vendite in America di settembre  non subiscono però flessioni (al contrario sono in aumento dell'1% [280]) e l'unica cifra su cui ragionare sono al momento i 18 $mld di multa minacciata dall'EPA: un importo talmente alto da far pensare ad una provocazione, utile ad alimentare la tempesta mediatica. Una società europea ha da poco pagato alle autorità americane un risarcimento da 18 $mld per disastro ambientale: è la British Petroleum che, con l'esplosione e l'affondamento della piattaforma petrolifera Deepwater Horizon nel 2010, causò, oltre che la morte di undici persone, la più grande fuoriuscita di petrolio della storia nel Golfo del Messico [281] (si veda la carta "Fuoriuscita di Petrolio"). Equiparare l'ossido d'azoto allo sversamento in mare di 500.000 tonnellate di greggio parrebbe un'offesa al buon senso.


L'inflessibilità delle autorità americane e l'accanimento dei media sono poi doppiamente sospetti se paragonati ad uno scandalo che ha recentemente coinvolto un'altra casa automobilistica, la General Motors.

Nel febbraio del 2014 la GM è costretta a richiamare 800.000 auto per un difetto al blocchetto d'accensione, che ha provocato almeno 13 incidenti mortali. [282] Per risparmiare pochi centesimi la casa di Detroit monta infatti una molla difettosa che può ruotare la chiave sulla posizione di spegnimento mentre l'auto è in corsa, spegnendo il motore, bloccando il servosterzo e disattivando gli airbag. La reazione in borsa al comunicato dell'azienda? Nessuna. E la fortuna della General Motors è doppia, perché se la rivale tedesca è minacciata di una multa di 18 $mld per il software che sottostima le emissioni di ossido d'azoto (causa di possibili irritazioni respiratorie), il colosso americano, responsabile di non aver richiamato i veicoli pur sapendo del difetto al blocchetto almeno dal 2004,[283] se la cava con una multa da 35 $ mln:[284] fatte le debite proporzioni, la sanzione ipotizzata dall'EPA equivarrebbe a 500 morti per avvelenamento da ossido d'azoto, peggio di una testata chimica su un centro abitato.

Pure i media non si eccitano particolarmente per l'affaire GM che, salvo qualche sporadico accenno, finisce presto nel dimenticatoio.

Di certo non si ricorda  un attivismo pari a quello prodigato nel 2015 da Parigi e Londra sul caso Volkswagen: impossessato da un improvviso fuoco ambientalista, il governo francese invoca un'inchiesta europea e quello britannico definisce "inaccettabili le azioni di VW", lanciando un immediata indagine per accertare i fatti. C'è odore di sangue e nessuno vuole mollare la presa sulla casa automobilistica, sicuri di agire sotto l'ombrello americano. Il giornale della City di Londra, il Financial Times, alza ancora il tiro: "EU warned on devices at centre of VW scandal two years ago".[285] L'insinuazione è consequenziale: nell'Unione Europea sotto il tallone tedesco, la casa di Wolfsburg è impunita.

È fuori di dubbio che Volkswagen abbia raggirato i controlli sulle emissioni ma a sua discolpa va detto che i limiti imposti alle case automobilistiche sono spesso irraggiungibili [286] e ciò è noto sia agli ingegneri, costretti a scervellarsi sul come frodare i controlli, sia alle autorità competenti. Alla base dello scandalo VW non ci sono scrupoli ambientalistici ma precisi obbiettivi politici: colpire l'industria chiave del manifatturiero tedesco e la sua azienda simbolo, per colpire la Germania.

Lo scandalo VW è una rappresaglia americana contro Berlino, che su troppi dossier, dall'eurocrisi alla Russia passando per il Medio Oriente, pecca di "eccesso di sicurezza".

Berlino, il peso determinante

Il giudizio italiano sulla Germania è stato inquinato in questi anni da una strisciante retorica anti-tedesca, diffusa dai media ossequiosi alle direttive d'Oltreoceano: man mano che l'eurocrisi evolveva differentemente da come preventivato, il marcescente estabilshment italiano è stato ben felice di scaricare su Berlino (a mezzo stampa) parte delle tensioni accumulate durante l'interminabile crisi economica.

Urge quindi ricostruire un minimo di verità storica.

La Germania esce sconfitta dall'ultima guerra insieme all'Italia ed al Giappone ed alla stregua di una potenza occupata è trattata: dispiegamento permanente di forze armate statunitensi, subalternità dell'apparato di sicurezza a quello angloamericano, pesanti limitazioni alla politica estera ed economica (vedi l'ostilità di Henry Kissinger alla Ostpolitik e gli accordi di Plaza del 1985 che, imponendo la rivalutazione del marco sul dollaro, misero a dura prova l'economia tedesca nel decennio successivo).

A differenza dell'Italia, la Germania è però munita di una classe dirigente compatta, istruita e conscia degli interessi del Paese, al di sopra di campanilismi e faziosità: la lunga stagione di destabilizzazione, passata alla storia come "gli anni di piombo", è affrontata dai tedeschi con stoicismo. La Germania ne emerge nei primi anni '90 con un manifatturiero accresciuto e risorse tali da comprarsi la DDR, mentre, al termine del terrorismo di Stato, l'Italia ha già imboccato la strada del declino, con lo smantellamento dell'economia mista tra bombe ed assalti speculativi.

La firma del Trattato di Maastricht nel febbraio del 1992 pone le basi dell'euro. Il fatto che l'accordo sia caduto a distanza di 18 mesi dalla riunificazione tedesca ha alimentato la leggenda (comoda a qualcuno per dipingere gli europei come padroni del loro destino) che fosse stato François Mitterrand a imporre la moneta unica a Helmut Kohl per "imbrigliare" il rinato gigante tedesco. La finanza anglofona covava in realtà il progetto di una moneta unica dagli anni '20 e se i francesi avessero voluto depotenziare Berlino, la peggiore idea possibile sarebbe stata quella di legarsi a loro in un mercato senza dogane e con una moneta comune: il sogno della Germania sin dal 1914, per impedire che i vicini tassassero i temibili prodotti tedeschi e svalutassero le loro monete, riguadagnando competitività.

La Germania quindi subisce sì l'euro (Helmut Kohl ammette che i tedeschi, se interpellati con un referendum, avrebbero sicuramente bocciato la moneta unica [287]) ma allo stesso tempo mantiene un'influenza notevole sulla Banca Centrale di Francoforte e, soprattutto, dispone ora di un mercato europeo senza barriere e di un enorme sistema a cambi fissi (l'euro) che consente di tosare le quote di mercato dei concorrenti (Italia in primis) ed accrescere l'attivo della bilancia commerciale.

Perché gli USA non solo acconsentono all'operazione ma addirittura la guidano? Innanzitutto la Germania resta un paese militarmente occupato e le figure apicali dello Stato sono accuratamente selezionate in base ai criteri di Washington, poi, la moneta unica non avrebbe dovuto essere fine a se stessa, bensì fonte presto o tardi di una crisi (quella attuale) che avrebbe dovuto sfociare negli Stati Uniti d'Europa, alter ego di Washington.

L'euro, come prevedibile, rende più ricca e sicura di sé la Germania, che almeno in tre riprese tenta di strappare agli angloamericani un nuovo status, non più potenza sconfitta e subalterna ma potenza alla pari.

Prima è il tentativo, fallito, da parte di Deutsche Börse di acquistare nel 2011 l'americana Nyse Euronext (bocciato dalla Commissione dietro pressione americana per presunti rischi di monopolio [288]); poi il tentativo del 2003, fallito, di entrare nel super-esclusivo club di spionaggio Five Eyes [289] che riunisce i paesi anglosassoni (USA, UK, Nuova Zelanda, Australia, Canada); infine il tentativo, fallito, da parte dell'editore tedesco Axel Springer (di provata fede atlantica) di acquistare nell'estate 2015 il pacchetto di controllo del Financial Times. Il messaggio che gli angloamericani inviano alla Germania è chiaro: al tavolo con noi non vi sedete, restate nel mucchio con gli altri europei e pensate a risolvere la crisi dell'euro.

Gli Stati Uniti infatti si attendevano dalla Germania ben altro atteggiamento allo scoppio (atteso) dell'eurocrisi: è sicuramente apprezzata l'imposizione delle riforme secondo i rigidi dettami del neoliberismo, ma la moneta unica è presto o tardi destinata a spezzarsi se Berlino non accetta la condivisione dei debiti pubblici, la nascita di un Tesoro europeo e, a ruota, di un governo federale.

La Germania invece di imboccare la via delle federazioni del continente, prima rifiuta gli eurobond nel 2011, poi si asserraglia sull'austerità che scarica tutto il peso dell'aggiustamento del regime a cambi fissi detto "euro" sulla periferia: taglia ai salari e inasprimento fiscale per uccidere l'import e riequilibrare le bilance commerciali. Quando  Alexis Tsipras, che gode del palese appoggio di Washington e Londra, minaccia di rifiutare le politiche d'austerità, i falchi di Berlino non esitano a dire: bene, la porta è quella, esci dall'euro! Solo la clamorosa retromarcia di Alexis Tsipras (testimoniando quali interessi si celano dietro i vari Syriza e Movimento 5 Stelle) evita che la Grecia abbandoni l'eurozona, sancendo la reversibilità della moneta unica.

È sintomatico l'atteggiamento di Romano Prodi, il padre italiano dell'euro, che da posizioni filo-tedesche ed anti-americane ai tempi della guerra in Iraq del 2003, si è riposizionato durante l'eurocrisi di 180 gradi ed abbraccia ora una linea anti-tedesca e filo-americana. Dice Romano Prodi in un'intervista del 2015 ad Eugenio Scalfari:[290]

I tedeschi non soltanto non credono negli Stati Uniti d'Europa, ma non li vogliono. Vogliono una Germania sola. Hanno accettato l'euro perché lo considerano soprattutto la loro moneta, il marco che ha cambiato nome, tant'è vero che la Bundesbank, la Banca centrale tedesca, si oppone alla politica di Draghi che invece considera l'euro come la vera moneta europea. Draghi è uno dei pochissimi che vuole gli Stati Uniti d'Europa e che utilizza gli strumenti a sua disposizione per spingere su quella strada

Rincara la dose in un'intervista all'Huffington Post:[291]

Il potere tedesco è arrogante. Quando arrivi a un livello di sicurezza, chiamiamola anche di arroganza, così forte, i freni inibitori sono a rischio. In Germania non c'è contraddittorio tra i vari attori sociali, c'è un sistema molto compatto. (…) Oggi con il caso Dieselgate emerge una crisi di un sistema, molto più complicata di una crisi politica che interessa solo la Merkel. (…) Non a caso le irregolarità legate alla Volkswagen sono state scoperte da un'autorità americana. La cosa è stata messa fuori da una struttura non europea.

Prodi, come gli americani, sa che l'euro è un aereo in stallo, sorretto solo dall'allentamento quantitativo di Mario Draghi e destinato a schiantarsi non appena verranno meno gli acquisti di titoli di Stato da parte della BCE (cui peraltro Berlino ha imposto che l'80% del debito acquistato finisse in pancia alle rispettive banche centrali nazionali). Quale investitore sano di mente acquisterebbe un Btp a 10 anni che rende l'1,6%, quando il Paese flirta con la deflazione, ha un rapporto debito/PIL del 140% ed istituti bancari appesantiti da 200 €mld di crediti inesigibili?

Ma i motivi di tensione tra Berlino e Washington non si esauriscono qui e spaziano dalla questione del surplus commerciale tedesco all'Ucraina, passando per il Medio Oriente.

Il primo a dissociarsi dall'appoggio di Angela Merkel al cambio di regime a Kiev è stato il potentissimo mondo dell'industria che ha interessi da difendere a Mosca ben più che a Kiev; poi è stato lo stesso governo tedesco a criticare i crescenti toni bellicistici contro la Russia del generale Philip Breedlove, responsabile del Comando delle forze armate americane in Europa (con sede a Stoccarda). Non va meglio in Medio Oriente dove la Germania, su posizioni sempre meno atlantiche e sempre più vicine ai BRICS, prima si dichiara contro l'intervento militare in Libia (con la clamorosa astensione sulla risoluzione ONU 1973 che impone la no-fly zone) poi, è storia di questi giorni, quando la Russia opta per un intervento militare risolutivo in Siria, Berlino capovolge la politica finora seguita ed afferma che Bashar Assad (la cui caduta è agognata da Washington e Tel Aviv sin dal 2011) è un interlocutore imprescindibile.

La Germania agli occhi di Washington è, per usare le parole di Romano Prodi, "arrogante.Quando arrivi a un livello di sicurezza, chiamiamola anche di arroganza, così forte, i freni inibitori sono a rischio".

Occorre riportare all'ordine la Germania.

Ad agosto è aperta la via balcanica che, attraverso Macedonia, Serbia ed Ungheria, riversa in Austria e Germania decine di migliaia di persone nel lasso di poche settimane: benché Angela Merkel si dica pronta a ricevere 800.000 immigrati all'anno (esternazione che la fa precipitare nei sondaggi) il Paese dà forti segnali di stress sotto l'improvvisa ondata migratoria (270.000 persone solo a settembre, più che nell'intero 2014 [292]). Non solo si moltiplicano gli attacchi dei gruppi di estrema destra contro le strutture d'accoglienza, dove peraltro aumenta la tensione tra immigrati, ma l'intero sistema di ricezione dei profughi si avvicina al punto di ebollizione: il presidente Joachim Gauck è costretto a rettificare le parole della cancelliera, chiarendo che c'è un limite all'accoglienza.

Poi è lo scandalo Volkswagen di cui sopra: un vero attacco al sistema-paese.

Basteranno queste rappresaglie a "riportare l'umiltà" in Germania? La domanda non è da poco, perché coll'attuale situazione internazionale, ogni giorno sempre più dinamica (vedi da ultimo l'intervento militare russo in Siria ed il saldarsi dell'asse Mosca-Teheran-Baghdad-Damasco [293]) la Germania è il peso determinante, ovvero la potenza che sbilanciandosi verso uno schieramento (gli angloamericani e quel che resta della Francia) o l'altro (russi e cinesi) ne determina la vittoria. Come abbiamo sottolineato nei nostri lavori, se la Germania si saldasse a Russia e Cina, gli USA sarebbero espulsi dall'Eurasia, e perderebbero la "testa di ponte" per proiettarsi nell'Hearthland.

L'intervento russo in Siria assegna, al momento, l'intero teatro mediorientale alla Russia che spinge la propria influenza a latitudini così basse da stabilire un nuovo record. È molto difficile che Washington incassi in silenzio la sconfitta. Più probabile, invece, è un contrattacco in Ucraina tramite le forze nazionaliste, con lo scopo di sottoporre Mosca al logorio di due fronti oppure imboccare la via dell'escalation militare.

Dalla risoluzione del dilemma di Berlino tra Mosca e Washington dipenderà l'esito del conflitto che si sta spostando rapidamente dalle borse e dalla stampa ai teatri operativi. Certo, l'agente Dorothy veglia sugli affari tedeschi. Ma è ancora in forma? E, soprattutto, è ancora fidata?



Tempi Interessanti e Disastri Combinati



Le carte Tempi Interessanti e Disastri Combinati raffigurano delle esplosioni provocate nei pressi dei centri urbani e si riferiscono agli attentati terroristici avvenuti in Sri Lanka a Pasqua, nel 2019.

Sri Lanka: pirateria lungo la Via della Seta

Il giorno di Pasqua l’ex-colonia britannica di Ceylon è stata sconvolta da una serie di attentati senza precedenti: a Colombo e in altre due località si contano quasi trecento vittime dopo le violente esplosioni che hanno devastato chiese e alberghi. Le autorità attribuiscono la responsabilità della strage ad un gruppuscolo islamista, ma mettono bene in evidenza le complicità a livello internazionale: in un Paese senza storia di terrorismo islamico alle spalle, è inverosimile che una sigla quasi sconosciuta compia un’impresa così sofisticata. Dietro la strage è leggibile la volontà di indebolire l’industria turistica e destabilizzare la politica cingalese: Colombo, infatti, è tra le nazioni dell’Oceano Indiano più inserite nella Via della Seta Cinese. I precedenti di Malesia e Birmania.

Behemot cinese contro Leviatano angloamericano

Il giorno di Pasqua è stato un giorno di sangue in Sri Lanka, ex-colonia britannica (21 milioni di abitanti) strategicamente posizionata davanti alle coste indiane: una sofisticata serie di attentati ha colpito la capitale Colombo (almeno 82 morti), la città di Negombo (almeno 104 morti) e la città sulla costa orientale di Batticaloa (almeno 28 morti). Luoghi di culto cristiani (nel Paese a maggioranza buddista, circa l’8% della popolazione professa la religione cristiana ed un 9% è di fede mussulmana) e alberghi sono finiti nel mirino degli attentatori, causando vittime locali e straniere. Per lo Sri Lanka l’attentato è un fulmine a ciel sereno: benché reduce dalla violenta e prolungata insurrezione nel nord del Paese (che aveva contrapposto le Tigri Tamil, a maggioranza hinduista, al governo centrale), nel Paese non si erano mai verificati simili episodi di terrorismo, estesi per lo più al turismo straniero. All’indomani della strage, le autorità cingalesi hanno individuato i responsabili in una quasi sconosciuta organizzazione islamista (National Thowheeth Jama’ath), evidenziano, però,che l’attuazione di un simile attacco coordinato necessitasse di qualche “supporto internazionale”. La stessa stampa occidentale, nel frattempo, si è domandata quali ragioni abbiano potuto indurre estremisti della minoranza mussulmana a colpire la minoranza cristiana: sull’isola, infatti, non c’è traccia trascorsa di ISIS, Al Qaida o fanatismo islamico.

Leggendo la stampa anglosassone [267] si comprende come l’attentato abbia un chiaro effetto destabilizzante: dopo la vertiginosa crescita del PIL di inizio millennio, lo Sri Lanka è stato costretto nel 2016 a contrarre un debito di 1,5 mld$ con il Fondo Monetario Internazionale [268] e la strage di Pasqua, colpendo il turismo, ha gravemente ferito un’industria che è la principale fonte di valuta straniera ed è una colonna portante della crescita economica cingalese. Se a ciò si aggiunge la natura dell’obiettivo (la minoranza cristiana, storicamente invisa a certe potenze) e degli “esecutori” (il terrorismo islamico, tradizionale paravento di servizi israeliani ed angloamericani), si hanno elementi a sufficienza per uscire dalla mera cronaca e scrivere un’analisi che collochi i fatti di sangue del 21 aprile in una cornice geopolitica. Come abbiamo sottolineato in altre sezioni, la sfida tra Cina e angloamericani sta entrando nel vivo e non c’è continente che ne sia risparmiato: meno che mai lo Sri Lanka, che presidia la rotta tra la Cina meridionale, il Corno d’Africa ed il canale di Suez.

Chi avesse seguito negli anni gli sforzi cinesi per costruirsi una serie di basi navali attorno a quella che Mackinder chiama “World-Island” (Isola Mondo), ricorderà come Pechino sia riuscita a installarsi a Gibuti nel 2017. Ogni arcipelago dell’Oceano Indiano, dalle Mauritius alle Seychelles, è stato però oggetto delle attenzioni cinesi (e, di riflesso, di quelle statunitensi): persino dietro al terremoto politico che investì le Maldive nei primi mesi del 2018 è possibile scorgere una manovra per defenestrare il presidente Abdulla Yameen, reo, secondo Foreign Policy”, di consegnare l’arcipelago mussulmano a Pechino.[269] Gli sforzi cinesi sembravano aver ottenuto un grande risultato pochi mesi dopo il precipitare della situazione alle Maldive quando, nell’estate 2018, appariva la notizia che i cinesi si fossero insediati in una strategica isola dell’Oceano Indiano, già architrave delle vie di comunicazione dell’impero britannico tra l’Africa orientale e l’Estremo oriente: lo Sri Lanka (alias Ceylon).

“Sri Lanka to shift naval base to China-controlled port city” scrive Reuters nel luglio 2018,[270] asserendo che il governo di Colombo aveva ceduto l’ottimo porto di Hambantota ai cinesi, decisi a trasformarlo in un nodo strategico della Via della Seta marittima. USA, Giappone e India, continuava Reuters, erano però convinti che l’investimento cinese avesse anche risvolti militari. Da allora, i cinesi hanno manifestato sempre grande soddisfazione per aver coinvolto lo Sri Lanka nel proprio progetto infrastrutturale (comprendente anche l’ammodernamento del porto di Colombo),[271] mentre gli USA hanno esercitato una crescente pressione, anche indiretta (agenzie di rating, FMI, etc), sullo Sri Lanka perché tornasse sui suoi passi: il governo cingalese si è però limitato soltanto a negare qualsiasi ricaduta militare nelle operazioni cinesi a Hambantota e Colombo.[272]

Come richiamare all’ordine lo Sri Lanka dunque? Bé, magari destabilizzando lo stesso governo che sta sviluppando legami così stretti con Pechino: ritorniamo così agli attentati del 21 aprile 2019. Sia chiaro, come abbiamo spesso evidenziato in altre sezioni, il caso cingalese non è certo isolato: diversi Paesi del sud-est asiatico, colpevoli di intrattenere relazioni troppo strette con i cinesi, sono già stati “oggetto di attenzione” da parte degli angloamericani. Qualche esempio:
  • la minoranza dei Rohingya in Myanmanr/Birmania è utilizzata per ostacolare le infrastrutture che raggiungono l’Oceano Indiano dalla Cina meridionale, girando attorno allo stretto di Singapore;
  • la campagna contro l’olio di palma mirava a destabilizzare i due massimi produttori, Indonesia e Malesia, che hanno strettissimi legami con Pechino;
  • i troppi incidenti aerei di cui è stata vittima la Malaysia Airlines sono da spiegare con l’apertura del governo malese alle infrastrutture che stanno consentendo a Pechino di avvicinarsi, anno dopo anno, allo stretto di Malacca.

Lo scontro tra il Behemot cinese ed il Leviatano angloamericano è solo agli inizi: la triste Pasqua dello Sri Lanka rischia di essere solo il primo di una lunga serie di drammatici eventi.



Agevolazioni Fiscali


La carta "Agevolazioni Fiscali" ci suggerisce che anche il fisco può essere usato come arma per colpire l'economia dei Paesi emergenti. I dazi imposti a maggio del 2019 da Washington alle merci cinesi servono ad annichilire, sul nascere, il progetto della Nuova Via della Seta e ad accrescere la domanda interna negli U.S.A., oltre che a perseguire fini strategici in termini geopolitici.

Quando gli USA, attraverso lntel, bloccarono la vendita di CPU in Cina nel 2005, quest'ultima rispose immettendo sul mercato processori engineering sample rimarchiati come Pentium M. Il risultato sorprendente fu che superarono, in termini di qualità, i rivali finendo per dominarne letteralmente la concorrenza. Il merito principale fu degli investimenti che ciclicamente il Partito Comunista fa per formare classi dirigenti all'avanguardia. Pechino, Shanghai e Wuhan, ad oggi, possono vantare istituti accademici tra i migliori al mondo. Ogni anno sono in grado di sfornare un gran numero di ingegneri ed informatici. Circa tre milioni. Fanno esperienza e tirocini a FoxConn, la zona industriale più grande del pianeta ubicata a Shenzhen dove lavorano 300.000 operai con turni da 10 ore al giorno per le maggiori corporate statunitensi dell'hi-tech e ne finiscono per rubare il know-how da sotto il naso. Perché gli uni discendono da una civiltà antica di 5000 anni, mentre gli altri, fino a due secoli fa, erano vaccari anarcoidi con il cappello da cowboy e tali sono rimasti. In virtù della decisione di Google di non fornire più Huawei con sistemi operativi Android, quindi, non è difficile immaginare che sperimenteranno in tempi rapidi un sistema open-source tutto loro, magari addirittura superiore. E non è nemmeno astruso pensare che, nel lungo periodo, potranno creare strutture informatiche in grado di mandare in black out le attività militari a stelle e strisce. Quindi trasformare in realtà materiale le peggiori paure di Donald Trump e John Bolton dietro questa fresca mossa ostile. Il cablaggio in fibra ottica si è reso fondamentale per le attività del Pentagono. Specie dopo l'esperienza traumatica vissuta nel Mar Nero nel 2014, quando un solo Sukhoi-24 russo bloccò completamente il funzionamento della Donald Cook aggregata al contingente NATO. Ci sarà da divertirsi.

Guerra di dazi: globalizzazione e esportatori nel mirino

Dopo un’effimera tregua, i negoziati sino-americani per riequilibrare il disavanzo commerciale degli Stati Uniti si sono arenati: Washington ha esteso i dazi ad altri 200 $mld di merci cinesi, continuando il giro di vite iniziato lo scorso autunno. A distanza di pochi giorni, Pechino ha risposto aumentando i dazi su 60 miliardi di merci americane: i mercati finanziari hanno subito incassato il colpo, scontando l’incancrenirsi della guerra commerciale con le pesanti ricadute globali in termini di crescita. Difficilmente Washington rimpatrierà posti di lavoro adottando questa politica: ciò che interessa agli angloamericani è far deragliare l’attuale globalizzazione, per acuire i nazionalismi economici e destabilizzare i grandi produttori/esportatori (Germania compresa). La probabile saldatura con la No Deal Brexit.

“No Deal China”

Il disavanzo commerciale degli USA nei confronti della Cina, pari a un deficit annuo di 500 mld di dollari (a lungo finanziati dall’acquisto cinese di debito pubblico americano), è sempre stato in cima all’agenda dell’amministrazione nazionalista-populista di Donald Trump. La retorica anti-cinese aveva già contraddistinto la campagna elettorale di Trump nel 2016 e, dopo una serie di lunghe accuse, dalla manipolazione dello yuan al furto della proprietà intellettuale, nell’autunno 2018 si era arrivati al primo round di dazi: su 200 $mld di merci cinesi, le imposizioni fiscali erano salite dal 10 al 25%. Ad inizio del dicembre del 2018, Washington aveva quindi dichiarato una “tregua”, ossia nessuna ulteriore stretta, e l’avvio di negoziati per ricomporre le relazioni commerciali: certo, la scelta del negoziatore, il “falco” Robert Lighthizer, lasciava presagire la volontà americana di arrivare ad una rottura. Così infatti è stato: venerdì 10 maggio, l’amministrazione Trump ha annunciato il clamoroso fallimento delle trattative, ossia il “no deal”, lasciando che i dazi passassero dal 10 al 25% per un’altra corposa fetta (250 $mld) dell’import annuale dalla Cina. A questo punto, Pechino, calcolati i pro ed i contro con la solita flemma, ha reagito, innalzando i dazi al 25% su altri 60 $mld di merci importate dagli Stati Uniti (la Cina compra annualmente beni per 120 $mld dagli USA).[273] Si noti che i dazi cinesi colpiscono essenzialmente materie prime (grano, mais, soia, carni), “specialità”, a basso valore aggiunto, degli Stati Uniti.

Tra venerdì e lunedì le piazze finanziarie internazionali hanno accusato pesanti perdite, scontando gli effetti dello scontro commerciale sempre più aspro tra Stati Uniti e Cina. Un’escalation di dazi (nient’altro che nuove tasse per imprese e consumatori e quindi maggiori costi) rischia infatti di indebolire la crescita mondiale, di cui la Cina è stata il motore indiscusso nell’ultimo decennio, e causare una recessione che non risparmierebbe nessuno. Non solo, quindi, gli Stati Uniti non rimpatrierebbero nessun posto di lavoro (le filiere produttive sono scomparse da anni e non basteranno certamente i dazi a farle rinascere), ma rischiano concretamente di provocare un rallentamento generalizzato che finirebbe col colpire il loro stesso mercato del lavoro. Possibile che l’amministrazione Trump, composta dal fior fiore di Goldman Sachs (il segretario al Tesoro, Steven Mnuchin, in primis), non ne sia consapevole? Perché nessuno valuta i modesti vantaggi e gli enormi rischi di una guerra commerciale contro la Cina? La risposta è semplice: i moventi della politica americana sono di natura geopolitica e non commerciale. Una probabile recessione globale, la caduta generalizzata della domanda e l’aumento della disoccupazione sono considerati semplici mezzi per raggiungere precisi fini di politica estera.

Sull’argomento abbiamo già scritto in altre sezioni: Washington e Londra, collassata l’Unione Sovietica, si sono fatte garanti di un ordine mondiale che, a distanza di trent’anni, non è più conveniente, ma addirittura svantaggioso. Nell’attuale economia globalizzata, infatti, i grandi vincitori (cioè le potenze che hanno conosciuto un indiscusso aumento di forza e prestigio dopo la fine della Guerra Fredda) sono la Cina e la Germania. Due potenze continentali, contrapposte a quelle marittime anglosassoni, che hanno prosperato producendo beni di qualsiasi tipo, dalle macchine utensili ai computer, per il resto del mondo, giovandosi del WTO (la Cina) e del WTO con l’aggiunta del mercato unico europeo (la Germania). Si noti che questa naturale affinità tra Pechino e Berlino si sia trasformata in questi ultimi anni in una fitta rete di legami diplomatici-economici-infrastrutturali: l’industria automobilistica Geely è il primo azionista di Daimler-Mercedes, Huawei ha avuto via libera per il 5G in Germania nonostante gli ammonimenti americani, il terminale della “Via della Seta” continentale è proprio la tedesca Duisburg, sul dossier iraniano Berlino è più vicina ai cinesi che agli americani, etc. etc. La crescente forza della Cina (e in misura minore, ma comunque già apprezzabile, della Germania, se si pensa al Nord Stream 2) le sta permettendo di “organizzare” l’Eurasia e l’Africa, disseminando ovunque ferrovie, porti e grandi investimenti, incontrando l’ovvia resistenza delle potenze atlantiche.

La distruzione della cornice (WTO, UE, libero scambio) in cui la Cina (e la Germania) prospera, è quindi una priorità per Washington, che da garante della globalizzazione si sta trasformando, come negli anni ‘30 del Novecento, in bastione del nazionalismo economico e del protezionismo, con l’obbiettivo di esportare il modello “autarchico” all’estero. In questo senso, i dazi, la recessione globale e le pesanti ripercussioni sui mercati finanziari sono solo strumenti per finalità geopolitiche: all’amministrazione Trump non interessa il benessere dell’operaio di Detroit, ma l’effetto destabilizzante che i dazi producono sui Paesi manifatturieri/esportatori in Asia ed Europa. Per quanto concerne la Germania/Unione Europea, l’amministrazione Trump ha adottato una politica di dazi mirati contro il settore auto [274] e minacciato di introdurre dazi generalizzati (compreso il settore alimentare, leggasi Italia e Francia) in rappresaglia agli aiuti di Stato ad Airbus:[275] come nel caso di Pechino, anche Bruxelles ha minacciato rappresaglie, tassando le merci americane per un pari importo. I casi di Cina e Unione Europea sono però profondamente diversi tra loro: mentre la prima è uno Stato-nazione in grado di resistere agli choc esterni con misure anti-cicliche, la seconda è un fragile organismo sovranazionale, già duramente provato dalla crisi economica nei Paesi mediterranei, dall’affermazione dei sovranismi-populismi di chiara matrice anglosassone (vedi The Movement di Steve Bannon) e dall’estenuante divorzio tra Bruxelles e Londra. Una guerra commerciale tra Cina e USA, rallentando l’economia mondiale, rischia di esacerbare ulteriormente i rapporti all’interno della UE e di indebolire i già fragili Paesi mediterranei, caricando un peso insopportabile sulle spalle dell’Unione Europea: se poi al “No Deal China” si aggiunge il “No Deal Brexit”, con le sue esplosive ricadute commerciali e finanziarie, il quadro è completo.


Agenda Liberale, Commissione Triliberale e Privatizzazioni



Colpisce il bieco cinismo del disegnatore che ironizza sul ruolo svolto dalla Commissione Trilaterale nella svendita delle municipalizzate e delle aziende statali in Italia. Lo stesso cinismo può essere riscontrato nella carta Terrapiattisti o in quella che raffigura un uomo seduto in un cinema mentre abbraccia un cellulare, anziché una compagna, ad indicare che le App per incontri risultano utili solo se si intende raggiungere la solitudine, piuttosto che incontrare la propria dolce metà; è doveroso far notare che negli anni in cui sono state disegnate le carte, non esisteva il concetto di smartphone, né tanto meno quello di App per incontri. Si noti che l'autore ed il disegnatore delle carte avrebbero potuto sfruttare commercialmente le informazioni di cui disponevano, informazioni che anticipavano la futura produzione degli smartphone o la futura realizzazione delle App per i sistemi operativi degli smartphone ed in particolare delle App per incontri, ma non lo fecero, come se non fossero interessati al tornaconto economico che sarebbe potuto emergere dalle informazioni di cui erano, in qualche modo, venuti in possesso. La carta Privatization mostra dei disoccupati in fila davanti ad una fabbrica.

Il pensiero economico liberista, a cui le carte si riferiscono, s'impone in Italia, con maggiore fermezza, durante il biennio 1992-1993, ovvero alle radici dell'infamante Seconda Repubblica, quando avviene la svendita del patrimonio pubblico italiano, in perfetta sintonia con l'establishment atlantico. L'Italia subirà i danni maggiori a causa del "Contributo straordinario per l'Europa", della privatizzazione della Telecom, della "marchant bank" di Palazzo Chigi, della liquidazione dell'IRI, dello scandaloso cambio di 2.000 lire per ogni nuovo euro, dell'avvallo alle operazioni militari della NATO contro la Serbia, del prelievo sui conti correnti, del dissanguamento di Bankitalia, della finanziaria "lacrime e sangue" e dell'avvio della stagione delle privatizzazioni volute dalle  maggiori banche d'affari angloamericane.

Si avvicina la fine della Seconda Repubblica, che legò indissolubilmente le sue fortune a quelle dell'Unione Europea: ogni passo verso il baratro dell'una è un passo equivalente dell'altra. Sull'altare dell'integrazione europea furono sacrificati l'economia mista ed i partiti che affondavano le radici agli albori del '900: privatizzazioni, deindustrializzazione, neoliberismo e sistemi maggioritari sempre più spinti, sono stati i tratti salienti della Seconda Repubblica. È stata soltanto una scommessa sbagliata? Un buon proposito terminato in tragedia? No, la Seconda Repubblica nasce geneticamente tarata e porta da sempre dentro di sé un cancro: le sue fondamenta furono gettate nel biennio 1992-1993, tra terrorismo e giustizialismo, omicidi di fedeli servitori dello Stato e incarcerazioni preventive, rapine e speculazioni. Le "menti raffinatissime" vanno oltre l'omicidio di Giovanni Falcone.

1992: lo Stato salta in aria

Si avvicina, giorno dopo giorno, il collasso dell'Unione Europea, divorata da crisi economica, sfilacciamento politico, delegittimazione dell'élite e ribellione dell'elettorato: non si preannuncia una morte indolore, perché l'arroccamento dell'oligarchia, decisa a difendersi sino all'ultimo, implicherà necessariamente una dissoluzione caotica, sotto i colpi dei "populismi" sempre più forti e determinati. Di pari passo con la disgregazione dell'Unione Europea, avanza quella Seconda Repubblica: tastare il polso dell'una è come tastare il polso dell'altra, perché il disfacimento avanza parallelo. Si può dire infatti che la Seconda Repubblica sia una figlia dell'Unione Europea, appositamente concepita per "agganciare" l'Italia al processo di integrazione europeo: ne è un semplice prodotto, dal cui attento studio si poteva intuire già nei primi anni '90 che l'intero meccanismo era guasto, destinato ad una ignominiosa fine nel volgere di qualche decennio.

Studiare l'origine della Seconda Repubblica è ricercare le ragioni dell'attuale decadenza politica, impoverimento sociale e crisi economica: è analizzare quelle forze che hanno divorato l'Italia e portato alla consunzione l'intera Europa. L'esito tragico che stiamo vivendo in questi giorni era scontato, perché la Seconda Repubblica nasce geneticamente tarata e porta al suo interno le cause della degenerazione attuale, allargabili a tutto il Vecchio Continente. La Seconda Repubblica nasce nell'ignominia e nel crimine, tra il delitto e la rapina, con la violenza ed il tradimento. Le sue fondamenta sono gettate nel biennio 1992-1993, tra il giustizialismo di Tangentopoli, le stragi di Capaci e di via D'Amelio, il pranzo luculliano a bordo del Britannia, speculazioni sfrenate, privatizzazioni vergognose, avvisi di garanzia ed omicidi eccellenti. Le fondamenta sono gettate sul fango e sul sangue e, a distanza di 25 anni, l'intero edificio sta per accartocciarsi su se stesso.

La caduta del comunismo ed il collasso dell'URSS nel dicembre del 1991, convincono l'oligarchia atlantica di aver conquistato l'egemonia globale: respinta la Russia verso est e gettata nel caos la sua economia, si diffonde l'idea che la storia sia finita ("La fine della storia e l'ultimo uomo" pubblicato da Francis Fukuyama nel 1992), perché non ci può essere storia senza dialettica tra opposti. L'élite finanziaria crede di aver chiuso la partita con l'eliminazione del suo ultimo avversario ed è convinta di poter plasmare indisturbata il mondo, a sua immagine e somiglianza: è l'inizio del cosiddetto Nuovo Ordine Mondiale entrato nella fase terminale nel 2016 con la Brexit, l'elezione di Donald Trump alla Casa Bianca ed il riemergere della Russia come concorrente geopolitico in Eurasia. Nei primi anni '90, pochi però pronosticano questo esito: l'élite atlantica progetta di ridisegnare gli assetti economici e politici planetari, in un delirio di onnipotenza. Emblematico è, a questo proposito, il discorso "The European Community and the New World Order" pronunciato da Jacques Delors, celebre "padre dell'Europa", il 7 settembre 1992 alla Chatham House di Londra, ritrovo prediletto dell'oligarchia anglofona [21]:

    "Can the European Community, the product of a very different context, born of hostility and incomprehension, provide a blueprint for the creation of this new world order? (…) Is it possible to draw conclusions from the Community experiment, the laboratory I talked about earlier, that will help us to build a new world order? My answer is "Yes, but". (...) The conclusion, Your Excellencies, Ladies and Gentlemen, is that the Community's contribution to a new world order is, like the Community itself, something original: a method which will serve as a reference, a body whose presence will be felt."

L'Unione Europea come "esperimento", un primo passo verso quel governo mondiale che l'élite atlantica insegue da secoli, un laboratorio per sperimentare fino a che punto si possono svuotare le Nazioni a beneficio di organismi sovranazionali. Sono così poderose le forze in campo, è così ambizioso il progetto, così determinati i circoli dell'alta finanza a portarlo a compimento, che per l'Italia non c'è scampo. La firma del Trattato di Maastricht, con cui sono gettate le basi dell'euro e della nascente Unione Europea, il 7 febbraio 1992 equivale alla morte della Prima Repubblica e di tutto ciò che ha significato: l'economia mista, la ricerca della piena occupazione, "l'ossessione per la crescita" rinfacciata da Beniamino Andreatta, una politica estera mai supina agli angloamericani. Il futuro sono le privatizzazioni, l'austerità, i vincoli di bilancio sempre più stringenti, la deindustrializzazione e le politiche lato offerta: è un futuro grigio, tant'è vero che ci si prepara a governare appoggiandosi a fette sempre più sottili dell'elettorato. Dal proporzionale della Prima Repubblica si arriva nel 2016 all'Italicum (poi abortito) che regala la maggioranza del Parlamento ad un partito che raccoglie appena un quarto dei votanti.

In questo nuovo contesto, la DC ed il PSI, i vincitori morali della Guerra Fredda, diventano d'intralcio, perché decisi a difendere gli interessi dell'Italia e, soprattutto, forti abbastanza, dal punto di vista politico ed organizzativo, per riuscirci: meglio puntare sul PCI, riverniciato nel 1991 come Partito Democratico della Sinistra, non solo perché la sua ala destra è in stretto contatto con gli angloamericani sin dagli anni '70 (il 19 aprile 1978 Giorgio Napolitano compì la storica visita negli Stati Uniti), ma soprattutto perché facilmente ricattabile. La CIA e l'MI6 si adoperano infatti da subito per comprare a prezzi di saldo gli archivi sovietici che documentano gli affari più e meno puliti tra Mosca ed i partiti comunisti europei: famoso è l'archivio Mitrokhin, di cui i servizi segreti inglesi entrano in possesso nel 1992 (si veda la carta C.I.A.).


Deve quindi essere eliminato il segretario del Partito Socialista, Bettino Craxi, ma ancor di più deve essere neutralizzato Giulio Andreotti, che è tra i candidati favoriti per il Quirinale ed ha commesso nell'ottobre 1990 lo sgarro di rivelare l'esistenza dell'organizzazione Gladio: occupare la presidenza della Repubblica è fondamentale per dirigere gli eventi secondo il copione stabilito. Come fare?

Tangentopoli e stragi "mafiose": entrambe dirette dai servizi atlantici che si avvalgano di manodopera locale, nella fattispecie il pool di Milano e quegli spezzoni dei servizi segreti italiani che rispondono direttamente a Washington e Londra.

Il 17 febbraio, Mario Chiesa, "il presidente socialista del più grande istituto assistenziale per anziani di Milano, il Pio Albergo Trivulzio" [22], è arrestato dai carabinieri con l'accusa di concussione: inizia così ufficialmente l'inchiesta di Tangentopoli, destinata a spazzare via l'intero Pentapartito (DC, PSI, PDSI, PRI, PLI), risparmiando soltanto il PDS. Grazie all'intervista rilasciata dall'ex-ambasciatore americano Reginald Bartholomew a La Stampa nell'agosto 2012 [23], sappiamo oggi che tra il pool di Mani Pulite ed il console americano di Milano esiste un legame diretto: è il console statunitense Peter Semler che, nel novembre 1991, quattro mesi prima dell'arresto di Mario Chiesa, "incontra" [24] Antonio Di Pietro nei suoi uffici. Ed il futuro simbolo di Mani Pulite, una figura destinata a diventare così popolare da accarezzare l'ingresso in politica, non è un personaggio qualsiasi: impiegato civile dell'Aeronautica Militare, incontrato dal faccendiere Francesco Pazienza alle isole Seychelles nella veste di agente CIA [25], Di Pietro bazzica da tempo i servizi segreti italiani ed è ormai certo che abbia anche fatto parte della scorta del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, durante il suo ultimo e tragico incarico come prefetto di Palermo, quando la sua protezione passò dai carabinieri al corpo di polizia [26].

Un primo potente colpo è quindi sferrato a Bettino Craxi con le inchieste su appalti e finaziamenti illeciti, ma il "piano destabilizzante" in atto in quel cruciale 1992, un piano di cui il Viminale è al corrente tanto da mettere in allarme le prefetture [27], sta per compiere un salto di qualità, prendendo questa volta di mira Giulio Andreotti: il 17 marzo 1992, è ucciso in un agguato a Palermo l'eurodeputato Salvo Lima, diretto ad un convegno cui presenzierà lo stesso Andreotti. Lima, grande notabile della DC, è il principale esponente siciliano della corrente andreottina, "l'alter ego" di Giulio Andreotti in Sicilia. L'assassinio di Salvo Lima è il prototipo degli attentati che insanguineranno l'Italia nel biennio 1992-1993: un'operazione congiunta tra Cosa Nostra e la misteriosa Falange Armata [28], dietro cui, come vedremo meglio in seguito, si nascondono i "servizi segreti deviati", quelli che sono una semplice filiazione della CIA e dell'MI6. L'assassinio di Salvo Lima non solo infanga Andreotti con le insinuazioni di una sua vicinanza alla mafia, ma invia anche un chiaro messaggio al Parlamento in vista di imminenti e decisive scadenze.

Si è infatti in piena campagna elettorale per il rinnovo delle Camere che, appena insediate, saranno  chiamate ad eleggere il nuovo Capo dello Stato. In concomitanza, come per altro durante tutto il fatidico 1992, l'Italia è aggredita dalla speculazione finanziaria, dietro cui si cela la stessa regia delle stragi "mafiose": nel mese di marzo la lira perde significativamente terreno contro il marco ed il rendimento dei titoli di Stato si impenna, finché il 5 e 6 aprile gli italiani non si recano alle urne. DC al 30%, PDS al 16%, PSI al 14%. In carica rimane però il vecchio governo Andreotti VII, in attesa che il Parlamento scelga un nome per il Quirinale. Il 13 maggio, Camera e Senato riuniti, iniziano le votazioni decisive per le sorti della Prima Repubblica.

Rientrano in campo i servizi segreti, con un nuovo omicidio da subito considerato come un secondo messaggio dopo l'assassinio di Salvo Lima [29]: il 23 maggio 1992 si consuma sulla A29 la strage di Capaci, dove trovano la morte il magistrato antimafia Giovanni Falcone, la moglie e tre agenti di scorta. Rivendicato anch'esso sia da Cosa Nostra che dalla misteriosa Falange Armata, l'attentato di Capaci presenta un'interessante peculiarità: a confezionare l'ordigno, poi formalmente azionato da Giovanni Brusca col famoso "telecomando", è Pietro Rampulla, ex ordinovista originario di Mistretta, legato alla destra eversiva. Siamo in sostanza sul terreno dell'estremismo di destra e dei servizi segreti, lo stesso humus su cui germogliò la strage di Piazza Fontana nel lontano 1969.

Con l'omicidio di Giovanni Falcone si persegue quasi certamente un duplice obiettivo: da un lato influenzare il Parlamento che sta eleggendo il nuovo capo dello Stato, dall'altro interrompere l'attività del magistrato che, dopo il maxiprocesso conclusosi nel gennaio del 1992, ha ormai constatato l'esistenza di un legame tra mafia, servizi "deviati" nostrani e servizi atlantici. Scrive la Repubblica in un articolo del 28 maggio 1989 [30]:

    "Il presidente americano George Bush aveva chiesto di incontrarsi con il giudice palermitano Giovanni Falcone, durante la sua visita in Italia. Evidentemente la notorietà del magistrato italiano, impegnato da alcuni anni nelle inchieste contro la mafia, ha varcato anche i cancelli della Casa Bianca. La richiesta di Bush é stata esaudita. (...) Sull'incontro con Bush non sono filtrate indiscrezioni."

In che veste Bush senior incontra il magistrato Falcone: in quella di Presidente degli Stati Uniti o di ex-direttore della CIA? Nel colloquio i due quasi certamente non si intendono, considerato che a distanza di un mese, il 21 giugno 1989, i telegiornali informano del fallito attentato dell'Addura: cinquantotto candelotti di tritolo piazzati tra gli scogli, nei pressi della villa estiva affittata dal magistrato (si veda la carta "George Bush").


È l'attentato che indurrà Falcone a parlare di "menti raffinatissime", accennando ad un possibile impiego della mafia da parte di altri soggetti, con obiettivi diversi da quelli di Cosa Nostra: "esistono forse punti di collegamento tra i vertici di Cosa nostra e centri occulti di potere che hanno altri interessi". Sono queste "menti raffinatissime" che, nascondendosi dietro la mafia, prima uccidono Lima, poi lo stesso Falcone e proseguiranno le stragi fino al 1993. A muoverli non è certo il 41bis ed il carcere duro per i mafiosi, ma la volontà di dettare legge in Italia, imponendo la propria agenda politica ed economica.

L'autostrada A29 è ancora ingombra di detriti quando, il 25 maggio 1992, a due giorni dall'attentato, il Parlamento elegge al 16esimo scrutinio il nuovo Presidente della Repubblica: è Oscar Luigi Scalfaro, l'ex-Ministro degli Interni sotto cui nel 1985 si è consumata la strage di Fiumicino commissionata dai servizi atlantici. L'elezione di Scalfaro gioca un ruolo decisivo: è lui che, insinuandosi nella frattura tra i partiti, tenuti sotto schiaffo dalle inchieste giudiziarie in corso, chiude le porte di Palazzo Chigi a Bettino Craxi per aprirle a Giuliano Amato. Il 28 giugno 1992, giura così il governo Amato I, passato alla storia per il prelievo sui conti correnti, il dissanguamento di Bankitalia, la finanziaria "lacrime e sangue" e l'avvio della stagione delle privatizzazioni sotto lo sguardo attento delle maggiori banche d'affari angloamericane.

Le "menti raffinatissime" osservano soddisfatte l'evoluzione della situazione italiana. Sono così sicure di sé da peccare di arroganza, osando gesti un tempo impensabili: nel tempo che intercorre tra la nomina di Scalfaro e l'incarico ad Amato, il 2 giugno 1992, attracca al porto di Civitavecchia il panfilo Britannia, di proprietà della corona d'Inghilterra. Scrive la Repubblica, nel lungo articolo "Quella reggia sul mare romantica e spartana" [31]:

    "La regina non c' è: ha lasciato la sua nave a Palermo ed è ripartita per Londra in aereo, ma si è detta ben lieta di ospitare a bordo del suo panfilo reale, la sua dimora sull'acqua, un centinaio di invitati eccellenti di nazionalità italiana, manager di stato, economisti, banchieri, vertici del Tesoro venuti a seguire un austero seminario sottocoperta sul tema delle privatizzazioni. Privatizzazioni? Vi spieghiamo come si fa, si sono offerti soccorrevoli e certamente interessati a concludere eventuali accordi gli esperti inglesi, come i presidenti di due fra le più antiche banche d'affari del mondo, la Baring e la Warburg, che era la banca di Bismark. "È delizioso questo utilizzo dei simboli della regalità per azioni promozionali", sorride fumando il sigaro Beniamino Andreatta".

Ad accompagnare Andreatta, alla cui scuola si sono formati illustri personaggi come Mario Monti e Romano Prodi, figurano tra gli altri: Giovanni Bazoli, presidente del Banco Ambroveneto, il presidente dell'Eni Gabriele Cagliari, l'ex-comunista ed economista Luigi Spaventa ed il direttore generale del Tesoro, Mario Draghi che, però, "si limita a introdurre i lavori del seminario con una relazione sulle intenzioni del governo italiano e scende a terra prima che la nave salpi per l'Argentario" [32]. Sono nomi da tenere a mente, perché rivestiranno un ruolo di primo piano nella dilapidazione della ricchezza nazionale nel biennio 1992-1993, tra speculazione e privatizzazioni. Sia chiaro: pochi esponenti del vecchio Pentapartito sono felici di abbandonare l'Italia all'assalto di bucanieri dell'alta finanza, ed è perciò necessario ricordare a Roma che il Paese è tenuto sotto scacco. Come? Con stragi "mafiose", sempre più aggressive e spettacolari.

Tra giugno e luglio, la speculazione finanziaria, l'arma invisibile brandita dalle "menti raffinatissime", si accanisce contro la lira ed i titoli di Stato. Il pretesto per l'assalto borsistico lo fornisce la piccola Danimarca, che il 2 giugno 1992 ha bocciato con un referendum la ratifica del Trattato di Maastricht: la lira affonda fino a raschiare i limiti concessi dal Sistema Monetario Europeo, mentre il rendimento dei titoli di Stato schizza alle stelle. La famigerata Goldman Sachs preconizza che la lira presto sarà svalutata [33]: non si sbaglia, ma prima di quella mossa, le riserve di Bankitalia ed i risparmi degli italiani saranno scientificamente saccheggiati. Tra il 9 ed il 10 luglio 1992, il governo Amato vara il celebre prelievo del 6 per mille sui conti correnti, per poi annunciare una manovra di austerità da 30.000 mld di lire: "siamo in una situazione drammatica, sull'orlo di una grave crisi finanziaria" dichiara il ministro del Bilancio Franco Reviglio, promettendo però che il governo risanerà i conti senza misure inflazionistiche [34]. Come? L'11 luglio ENI, ENEL, IRI, INA sono trasformate in Spa e lo Stato si dice pronto a scendere sotto il 51% dell'azionariato: "è una rivoluzione copernicana", commenta gaudente Reviglio al Financial Times ed al Wall Street Journal [35].

Bisogna però tenere il Paese sotto pressione: speculazione e bombe, cadaveri eccellenti e tornare a Piazza Affari. Il 19 luglio 1992, in via d'Amelio, viene fatta detonare una Fiat 126 carica di 90 chilogrammi di Semtex: muore il magistrato antimafia Paolo Borsellino e cinque agenti di scorta. Come nel caso di Falcone, l'obiettivo è duplice: bloccare le inchieste di Palermo ad un livello prettamente siciliano, così da impedire che emerga il ruolo dei servizi segreti angloamericani ed italiani nei crimini di mafia [36], e ribadire che il Paese è tenuto sotto scacco. Responsabile dell'omicidio di Borsellino non è la mafia, infatti, ma alcuni spezzoni dei nostri servizi: a dichiararlo è lo stesso Totò Riina nel 2009, come riporta la Repubblica nell'articolo "Riina sul delitto Borsellino: l'hanno ammazzato loro". Intervistato dal quotidiano, il legale del boss Riina, capo di quei corleonesi cui sono imputate tutte le stragi del 1992-1993, afferma [37]:

    "Le ha mai detto qualcosa, il suo cliente, sui servizi segreti?

    "Spesso, molto spesso mi ha parlato della vicenda di quelli che stavano al castello Utvegio, su a Montepellegrino. Leggendo e rileggendo le carte processuali mi ha trasmesso le sue perplessità, mi ha detto che non ha mai capito perché, dopo l'esplosione dell'autobomba che ha ucciso il procuratore Borsellino, sia sparito tutto il traffico telefonico in entrata e in uscita da Castel Utvegio".

Castel Utvegio, su a Montepellegrino? È un messaggio criptato, incomprensibile ai più: è però sufficiente attendere un paio di anni perché sempre su la Repubblica si possa leggere la traduzione del "pizzino". Si legge nell'articolo "Un uomo del Sisde al Castello Utveggio nel 1992" [38] del novembre 2011:

    "Dopo anni di ipotesi e sospetti, i pm di Caltanissetta che indagano sulla strage di via D'Amelio hanno messo un punto fermo sulla vecchia gestione del Cerisdi, la scuola per manager che sorge su Monte Pellegrino: di sicuro, nel 1992, c'era un agente dei servizi segreti che lavorava stabilmente alla scuola per manager".

Sono le "menti raffinatissime" a dirigere le danze, impiegando i nostri servizi segreti per compiere omicidi e stragi secondo la loro agenda: i mafiosi premono solo il bottone oppure, i presunti responsabili materiali della morte di Falcone e Borsellino, i boss Giovanni Brusca e Giuseppe Graviano, credono di premere il bottone. Ad attivare materialmente gli ordigni, potrebbero addirittura essere personaggi rimasti tuttora nell'ombra, membri del SISMI o del SISDE.

Dopo l'assassinio di Borsellino, il governo Amato sceglie però di reagire, eseguendo quasi certamente gli ordini ricevuti: scatta l'Operazione Vespri Siciliani che, entro il mese di agosto, dispiega sull'isola circa 8.000 militari. Totò Riina sarà arrestato entro pochi mesi, perché ormai la mafia e la Sicilia sono state spremute a sufficienza: le stragi riprenderanno nel 1993, ma sul "continente" ed il mandante formale delle bombe, riconducibili alla classica strategia della tensione, sarà un altro boss tutt'ora latitante, Matteo Messina Denaro.

Bombe, inchieste e scandali: l'Italia del 1992 è un Paese in fiamme e sulle braci soffia con zelo la Lega Nord di Umberto Bossi, il cui ruolo nell'intera vicenda è stato analizzato nella sezione dedicata alla carta S.M.O.F. Il terreno è stato sapientemente preparato ed i bucanieri della City e di Wall Street sono pronti a passare all'incasso: nell'ultima settimana di agosto, la lira si avvita, sfiorando le 765 lire per marco, il limite massimo concesso dallo SME. I volumi estivi dei mercati finanziari, molto sottili, facilitano le operazioni speculative gestite da pochi, grandi, operatori: è lo stesso schema che sarà applicato nell'estate 2011, quando il differenziale tra Btp e Bund lievita nel corso dell'estate, preparando il terreno per la defenestrazione di Silvio Berlusconi e l'avvento di Mario Monti, "allievo" del sullodato Andreatta.

Di fronte alla speculazione, la Bankitalia di Carlo Azeglio Ciampi, anziché prendere atto che non è possibile difendere il cambio, si ostina a comprare lire e vendere la valuta straniera che conserva nei forzieri: in nove mesi Palazzo Koch dilapida circa 30.000 mld di lire [39], l'equivalente della manovra lacrime e sangue di Amato, prima che il presidente del Consiglio annunci il 13 settembre 1992, l'uscita della lira dallo SME, con una svalutazione del 7%. La "profezia" di Goldman Sachs si dimostra corretta. Le perdite subite da Bankitalia sono però guadagni di identico importo per gli speculatori: la banda di Andreatta, Bazoli e Draghi in Italia, ma soprattutto i grandi corsari della finanza anglofona, tra cui sta emergendo un nome, quello di George Soros. "Vita da trader, tanti miliardi ma niente complotti" [40] scrive la Repubblica, raccontando le gesta di Soros, "passato alla storia della finanza per una colossale speculazione da 10 miliardi di marchi (molto più di un intervento medio di una banca centrale) condotta all'indomani della caduta del Muro di Berlino". È impossibile fare tanti soldi, senza lavorare sodo? No: "i complotti" esistono e si chiamano Tangentopoli e stragi di mafia.

L'Italia è ora fuori dallo SME, ma i ferventi europeisti al governo ripetono ossessivamente che "l'Europa" è un'occasione imperdibile, un'opportunità che capita una sola volta nella vita: il governo Amato mette nell'autunno del 1992 la fiducia su una manovra "lacrime e sangue", una finanziaria da 93mila miliardi, quasi pari al 6% del PIL, la più imponente correzione dei conti mai realizzata: i risparmi degli italiani sono sacrificati sull'altare di Bruxelles, sotto lo sguardo soddisfatto della speculazione che ha comprato Btp e lire ai minimi e aspetta ora di incassare laute plusvalenze, con Btp e lira in risalita. Per "le menti raffinatissime", il 1992 si preannuncia come uno degli anni più proficui degli ultimi tempi.

Chi ha perfettamente intuito già nel 1992 cosa sta avvenendo e ne discuterà apertamente nei suoi scritti ed interviste fino alla morte avvenuta nel 2000, è il segretario del PSI, Bettino Craxi. Nell'articolo di la Repubblica, un quotidiano che cavalca Tangentopoli con la stessa foga con cui nel 2016 cavalcherà l'omicidio Regeni, intitolato "Vogliono far fuori i partiti: Craxi vede nemici dappertutto" [41], l'ex-premier descrive con parole nitide e precise quanto sta avvenendo. Craxi ha perfettamente intuito il grande disegno del 1992:

    "C'è una mano invisibile che governa il nostro mondo... e in Italia è in atto una nuova strategia degli opposti estremismi, in cui spinte chiaramente di destra e di sinistra concorrono in modo ancora fortunatamente confuso a un disegno che porta a una svolta dai caratteri per ora non definiti... Non c'è una mano unica dietro questo disegno, ma più centri di potere economico, finanziario ed editoriale, una cupola che vorrebbe avere mano libera, sgombrando il campo dai partiti per trasformare l'Italia a proprio uso e consumo, in una democrazia elitaria."

Il segretario del PSI racconta, nel settembre di quel tragico anno, l'edificazione di quel Nuovo Ordine Mondiale di cui noi oggi gustiamo i frutti avvelenati: è l'egemonia dell'oligarchia atlantica sull'Europa e sull'Italia, la dittatura dell'1%, la supremazia della finanza, la deindustrializzazione, l'impoverimento generalizzato, la strategia della tensione permanente e l'immigrazione di massa. Troppo lucido, Craxi. Troppo acuto. Meglio metterlo a tacere definitivamente: il 15 dicembre 1992, il segretario del PSI riceve un avviso di garanzia. Diciotto cartelle con cui la procura di Milano accusa Craxi di ricettazione, corruzione e violazione della legge sul finanziamento ai partiti politici.

Si conclude così il 1992: l'Italia è in piena recessione, l'industria di Stato in fase di smantellamento, le vergognose privatizzazioni avviate, il Pentapartito agonizzante, lo stragismo di servizi segreti più rampante che mai, il "mafioso" Andreotti estromesso dal Quirinale ed il "tangentaro" Craxi alle corde.

È finita qui? No, perché la genesi della Seconda Repubblica è appena iniziata e le "menti raffinatissime" hanno in serbo per l'Italia un 1993 altrettanto "esplosivo"...

Se il 1992 è l'anno in cui lo Stato "salta in aria", investito dalla doppia deflagrazione di Tangentopoli e delle bombe di Capaci e Via D'Amelio, il 1993 è l'anno in cui le "menti raffinatissime" passano al saccheggio: "tempo sei mesi e vi vendiamo tutto", avevano promesso sul Britannia. La DC frena però le privatizzazioni messe in cantiere dal governo Amato: il referendum abrogativo del 18 aprile, promosso dai radicali e caldeggiato dall'alta finanza, è colto al volo per seppellire "la partitocrazia", abbattere "lo Stato-padrone" e, soprattutto, formare il primo governo tecnico della storia repubblicana, presieduto da Carlo Azeglio Ciampi. Per superare le forti resistenze parlamentari alla svendita dei gioielli di Stato, il processo di privatizzazione è lubrificato con le autobombe che scandiscono tutto il 1993, commissionate dalle "menti raffinatissime", confezionate dai "servizi deviati" ed imputate alla mafia.

1993: i notabili del Britannia privatizzano, accompagnati dalla fanfara delle bombe "mafiose"

La "cupola" di cui parla Bettino Craxi, quell'oligarchia atlantica decisa a plasmare il mondo a sua immagine e somiglianza dopo il collasso dell'Unione Sovietica, ha ottenuto indubbi risultati nel corso del 1992: il Pentapartito è stato decimato dalle inchieste del pool di Milano, Giulio Andreotti è stato estromesso dal Quirinale, il segretario del PSI è stato dimezzato con l'avviso di garanzia, le riserve di Bankitalia sono state taglieggiate dai bucanieri dell'alta finanza, il governo Amato ha trasformato le imprese statali in Spa, primo passo verso la privatizzazione. Tuttavia, il lavoro non è stato certamente completato: dodici mesi, seppur scanditi da stragi e clamorose inchieste giudiziarie, non sono sufficienti per radere al suolo un sistema economico e politico ben radicato, che in 50 anni ha elevato l'Italia da Paese semi-industriale a quinta economia mondiale.

L'operazione di demolizione avviene in due fasi: se nel 1992 lo Stato "salta in aria", nel 1993 si espugna una Prima Repubblica ormai indifesa e ci si abbandona finalmente al saccheggio del patrimonio pubblico. La cricca del Britannia, gli Andreatta, i Draghi, gli Spaventa, i Prodi, etc. etc., entra nella stanza dei bottoni grazie al governo Ciampi, accompagnata da una fanfara di bombe e stragi, utili a tenere sotto pressione il Paese e lubrificare quelle privatizzazioni che stentano a decollare a causa delle resistenze parlamentari. Al termine del 1993, la DC sarà scomparsa, lo smantellamento dello "Stato-padrone" ben avviato e le "menti raffinatissime", placate con affari miliardari, porranno fine allo stragismo "mafioso": la mancata deflagrazione dell'autobomba in viale dei Gladiatori nei pressi dello Stadio Olimpico, una strage potenzialmente molto più sanguinaria delle precedenti, segnerà la fine della strategia della tensione.

Procediamo con ordine, sviscerando quel 1993 che segna il definitivo tramonto della Prima e l'incipit di quella Seconda Repubblica oggi agonizzante.

L'anno si apre apparentemente sotto i migliori auspici: il 15 gennaio è arrestato a Palermo il capo di Cosa Nostra, Totò Riina, alias la "Belva di Corleone" o "Totò u curtu", il superboss cui sono imputati l'assassinio dell'eurodeputato Salvo Lima, la strage di Capaci e quella di Via D'Amelio. "Non sono un mostro, sono solo un povero vecchio, signor giudice..." [42], si difende l'allora 63enne Riina in tribunale. C'è del vero nelle parole di Riina, perché "la belva" si è sicuramente sporcata le mani di sangue nella seconda guerra di mafia tra la fine degli anni '70 ed i primi anni '80, quella che vede Riina salire ai vertici di Cosa Nostra con la benedizione dei servizi atlantici, ma non è certamente il regista delle efferate stragi che hanno scosso l'Italia nel 1992: dietro l'omicidio di Falcone e Borsellino, si nascondono le "menti raffinatissime" che impiegano la mafia per i loro scopi e, dopo averla spremuta a sufficienza, reputano che perfino "Totò u curtu", poco più che un'anticaglia, sia ormai superfluo e consegnabile alla giustizia. La strategia della tensione prosegue indisturbata e c'è sempre un boss latitante, nella fattispecie Matteo Messina Denaro, cui attribuire le bombe, piazzate, sì, per scopi "mafiosi", ma da una cupola molto più raffinata e cosmopolita della malavita siciliana. È la cupola che il 20 gennaio 1993, festeggia l'insediamento alla Casa Bianca di Bill Clinton, il presidente che, dalla destabilizzazione della Somalia alle guerre in Jugoslavia, dall'abolizione dello Glass-Steagall Act all'ingresso della Cina nel WTO, edifica il Nuovo Ordine Mondiale, anno dopo anno (si veda la carta chiamata Bill Clinton).


L'euforia per l'arresto di Riina non dissolve la cappa di ansia ed inquietudine che grava sul Pentapartito, conscio che l'assalto contro le vecchie formazioni della Prima Repubblica, diventate improvvisamente d'intralcio, è destinato a proseguire nel corso dell'anno: il segretario del PSI ha ricevuto l'avviso di garanzia nel dicembre precedente e, il 27 marzo 1993, è la volta di Giulio Andreotti, inquisito per concorso in associazione a delinquere di stampo mafioso. Il "Divo Giulio", che nemmeno un anno prima ambiva alla carica di Capo dello Stato, è "sospettato di essere stato il terminale di una serie di interessi che partivano dalla Sicilia. Interessi economici, interessi giudiziari, interessi politici. Gli interessi della mafia". [43] Poco importa se, dopo nove lunghi anni di estenuanti e diffamanti processi, il senatore a vita sarà assolto nel 2004 dall'accusa di contiguità con la mafia: la priorità in quel momento è eliminare politicamente un politico che può intralciare l'avvento del "nuovo". Un'intervista rilasciata da Andreotti nel mese di marzo, pochi giorni prima dell'avviso di garanzia, descrive lucidamente la manovra in atto [44]:

    "Dal 1946 siamo il partito di maggioranza relativa e molti non amano ciò. Vorrebbero essere i nostri successori. So, come accadde al momento delle Br, che c'è chi non ama la prospettiva di una Italia più serena, più giusta, con minori squilibri, e minori diseguaglianze sociali. Siccome sanno che la Dc invece mira proprio a questo e questo è il suo programma è chiaro che siamo il primo obiettivo. Però non bisogna avere paura La Democrazia cristiana, ha più tardi affermato, non giocherà in difesa ma in attacco."

Già, la DC: una vera palla al piede. Sebbene il partito dello scudo crociato possa annoverarsi a buon diritto tra i vincitori della Guerra Fredda, è ora un ostacolo all'attuazione dei progetti economico-politici che l'élite anglofona ha in serbo per l'Italia e l'Europa: la deindustrializzazione, il neoliberismo e le politiche lato offerta di chiaro stampo neo-malthusiano.

Il premier Giuliano Amato ha immesso l'Italia sul binario auspicato dall'alta finanza, ma la DC ed i suoi ministri frenano, rallentando lo smantellamento dell'industria pubblica (IRI ed ENI in testa), che ha giocato un ruolo di primo piano nel decollo economico del Paese. "Privatizzazioni in frigorifero" [45] titola la Repubblica nel marzo del 1993, raccontando il violento scontro in corso dentro al governo sul delicatissimo tema delle dismissioni: da un lato la vecchia guardia della DC ed il ministro dell'Industria e delle Partecipazioni Statali, Giuseppe Guarino, dall'altro i "sacerdoti delle privatizzazioni" [46], incarnati da Piero Barucci, Paolo Baratta e Beniamino Andreatta, gli anglofili formati all'università di Cambridge, illustri ospiti del Britannia. Guarino è fautore di un riordino delle partecipazioni e della conseguente creazione di due o più holding, da aprire poi al capitale privato, la cricca di Barucci ed Andreatta è fautrice della vendita pezzo per pezzo delle imprese pubbliche, mettendo subito sul mercato quelle più appetibili, ossia le aziende in utile, e conservando in capo allo Stato quelle "da ristrutturare", cioè in perdita. Il premier Amato parteggia, ovviamente, per lo spezzatino delle partecipazioni statali e si adopera per depotenziare Guarino, trasferendo a Baratta con un decreto legge i poteri in materia di dismissioni: ne nasce un braccio di ferro che paralizza l'attività di governo, procrastinando sine die la vendita delle partecipate. Sarà lo stesso Amato a raccontare, a distanza di pochi mesi, il violento scontro [47]:

    "La questione posta da Guarino che mi portò al decreto Baratta (con l'istituzione di un apposito ministero per le privatizzazioni ndr) è la stessa questione che mi portò a fargli rimangiare le superholding a luglio perché lui ripropose esattamente la stessa cosa in un documento che presentò a febbraio. Non ero convinto di una tesi in cui vedevo più un rafforzamento del pubblico e non una privatizzazione. (...) Guai a conservare oltre la sua stagione l'industria pubblica. Questa è una tipica ossessione della sinistra in termini ideologici e dei maneggioni pratici".

Che fare? Come uscire da questa irritante impasse che rischia di far saltare la tabella di marcia della City e di Wall Street? In provvidenziale soccorso giungono Marco Pannella ed il suo Partito Radicale che, fin dalla nascita, altro non sono che una quinta colonna dei poteri atlantici in Italia, già impiegata con successo nel giugno del 1978 quando una violenta campagna dei radicali portò il presidente della Repubblica Giovanni Leone alle dimissioni. Cavalcando il clima di anti-politica che si respira nel Paese, sapientemente alimentato da Tangentopoli e dai grandi media, Pannella promuove otto referendum che, tra gli altri punti, contemplano:

    l'abrogazione delle norme bancarie del 1938 che attribuiscono al Tesoro, anziché ai consigli di amministrazione, il potere di nomina dei presidenti e dei vicepresidenti degli istituti bancari;
    l'abrogazione del finanziamento pubblico ai partiti;
    l'abrogazione del Ministero delle Partecipazioni Statali istituito nel 1956;
    l'abrogazione della legge elettorale vigente al Senato, così da introdurre il maggioritario.

Sfruttando l'umore dell'opinione pubblica ed il martellante battage dei grandi media contro i partiti, Marco Pannella propone una serie di referendum abrogativi che combaciano perfettamente con l'agenda dell'oligarchia finanziaria: liberare le banche dal controllo pubblico in vista della loro quotazione in borsa, rendere la politica dipendente dai potentati economici, facilitare lo smantellamento dell'economia mista tanto odiata dall'establishment liberal, introdurre il bipolarismo di facciata tanto caro agli anglosassoni. In un clima avvelenato ed allo stesso tempo euforico per la distruzione dell'ordine esistente, presentato come marcio, vecchio e corrotto, gli italiani si recano così alle urne per dare il loro personale contributo all'abbattimento della Prima Repubblica, sotto lo sguardo sorridente e compiaciuto della City e di Wall Street. Già, perché l'oligarchia finanziaria tifa ovviamente per la vittoria del "sì" al referendum e promette i soliti sfracelli di Borsa nel caso in cui "il rinnovamento" promosso dai referendum dovesse fermarsi.

"La lira prende vigore ed aspetta il referendum" scrive La Repubblica il giorno prima del referendum, prevedendo "un consolidamento intorno a quota 950 sul marco se vince il sì (con possibili ribassi dei tassi), nuovi capitomboli se vince il no". Nell'articolo "Il Bel Paese dove suona il sì" possiamo leggere [48]:

    "In sintesi, il successo del "SI", sul quale scommette la finanza internazionale, dovrebbe segnare la rinascita dell' Italia (...) C' è la ripresa, la lira tiene, la Borsa va su, i soldi in fuga tornano a casa, gli stranieri ci incoraggiano, i turisti tedeschi ci invadono come ai bei tempi. Sembra un miracolo. Ma c'è qualcosa che può rompere questo clima da paradiso ritrovato? Sì. I pericoli, spiegano i ragazzi della City di Londra, sono almeno tre. Se il "SI", domenica, non dovesse vincere con più del 60 per cento, questo sarebbe considerato un bruttissimo segno e bisognerebbe mettere nel conto sia un nuovo crollo della lira che della Borsa. Se Mani Pulite venisse in qualche modo fermata o bloccata, gli stranieri tornerebbero a essere diffidenti e a vendere lire e azioni italiane".

Gli italiani si comportano come da copione ed il "sì" ai quattro quesiti in questione vince con percentuali bulgare che vanno dall'80% al 90%. La Prima Repubblica, un sistema "fossilizzato in una condizione di non ricambio interno e, quindi, di ignoranza, impotenza e progressiva corruzione" [49], è travolta, "la partitocrazia" uccisa, lo "Stato-padrone" finalmente ridotto all'impotenza. "Plebiscito affonda baraccone PsSs" titola gaudente la Repubblica, riferendosi a quel ministero delle Partecipazioni Statali che, raccogliendo l'eredità economica del regime fascista, regalò al Paese il primo benessere nell'immediato dopoguerra:

    "Dopo trentasette anni di vita il ministero delle Partecipazioni Statali viene cancellato a furor di popolo. Un risultato scontato per un dicastero che prima dei milioni di voti di ieri era stato affossato dalla storia e dagli scandali che negli ultimi mesi hanno investito l' industria pubblica (...). Un ministero che ha rappresentato il simbolo della commistione tra politica ed economia e che sancì, negli Anni Cinquanta, la nascita della grande alleanza tra Dc e industria di Stato sotto gli auspici di Enrico Mattei e Amintore Fanfani".

Mattei e Fanfani, avete visto? Alla fine hanno vinto i soliti noti, tanto pazienti quanto determinati nel soffocare ogni forma di ribellione…

Il referendum del 18 aprile è uno spartiacque: l'oligarchia atlantica ed i suoi scherani nazionali colgono al volo l'occasione per imprimere una svolta al processo di smantellamento della Prima Repubblica. Il premier Amato si dimette come anticipato, così da lasciare spazio a "un governo istituzionale, sostenuto da forze politiche che abbiano come collante le proposte sulla nuova legge elettorale" [50]: ma sarà davvero solo la riforma della legge elettorale lo scopo del nuovo governo istituzionale?

Da subito circolano diversi nomi per la presidenza del Consiglio: l'europeista Leopoldo Elia, l'ex-presidente dell'IRI Romano Prodi (nonché discepolo dell'onnipresente Beniamino Andreatta) ed il governatore di Bankitalia, Carlo Azeglio Ciampi. Sarà proprio quest'ultimo ad emergere, formando così il primo esecutivo della storia repubblicana presieduto da "un tecnico" anziché da un politico: si può discutere sull'integrità morale di Ciampi, se fosse o meno animato da buone intenzioni, resta però il fatto che il suo governo porterà a compimento quel processo di depauperamento industriale ed economico avviato da Amato e caldeggiato dall'alta finanza. Nel nuovo esecutivo che giura il 29 aprile 1993, i personaggi che dieci mesi prima erano saliti sul Britannia occupano ora Ministeri chiave: Beniamino Andreatta agli Esteri, Luigi Spaventa al Bilancio ed il "sacerdote delle privatizzazioni" Piero Barucci al Tesoro, in sostituzione dell'odiato Guarino e delle sue folli idee di holding pubbliche. La stampa anglosassone ed il Fondo Monetario gioiscono per la nomina di Ciampi [51], ("il guardiano della lira" che, seduto a Palazzo Koch, ha regalato 30.000 miliardi di lire a George Soros &co.) e la Repubblica si dice sicura che il neo-premier sarà finalmente libero dalla vecchia partitocrazia:

    "Come i suoi 51 predecessori, è vestito di blu. Ma per il resto non assomiglia a nessuno di loro. Carlo Azeglio Ciampi non è un politico, non è un parlamentare, non ha intenzione di consultare i segretari di partito per la stesura del suo programma di governo. Neanche per la scelta dei ministri? Soprattutto per la scelta dei ministri. (...) Non assisteremo dunque alla solita sfilata di segretari e di capigruppo davanti ai microfoni delle tv, all'uscita dai colloqui con il presidente incaricato. Non ascolteremo più le sibilline dichiarazioni dalle quali si doveva capire se un segretario di partito avrebbe appoggiato o no l'incaricato leggendo in filigrana le sue parole, i suoi "se" ed i suoi "ma". Decisa questa straordinaria novità, che è ovviamente dettata dal carattere tecnico e dunque super partes del gabinetto Ciampi, il presidente incaricato si è trovato improvvisamente con un'agenda assolutamente vuota. Dovrà scrivere il programma nel suo splendido isolamento, nella sua aurea solitudine".

Basta con la partitocrazia, basta con le noiose consultazioni dei partiti, basta con le sibilline dichiarazioni dei democristiani! Salutiamo il nuovo governo super partes, svincolato dai legacci della vecchia politica: finalmente un tecnico a Palazzo Chigi, libero di scrivere l'agenda di governo nella sua aurea solitudine, nel suo splendido isolamento. Sarebbe un'immagine perfino poetica, se non celasse un'oscura verità: Carlo Azeglio Ciampi si è svincolato dai vecchi partiti, ma il suo destino è quello di assoggettarsi al Leviatano dell'alta finanza, un mostro più pericoloso e spietato del Pentapartito. La sua missione è quella di riuscire dove Amato ha fallito: archiviare l'economia mista, spezzettare e vendere le ex-imprese pubbliche, aprire il sistema creditizio alla confraternita delle JP Morgan e Goldman Sachs. Tutta l'azione del governo Ciampi, sin dai primi passi, ha come unica stella polare le privatizzazioni e si muove di conseguenza: Romano Prodi torna alla presidenza dell'IRI il 20 maggio e, a distanza di due settimane, otterrà anche i poteri di amministratore delegato, cosicché possa gestire la svendita del patrimonio industriale pubblico senza restrizioni o impedimenti.

Il governo Ciampi deve accelerare le privatizzazioni, non "limitarsi all'olio d'oliva e ai gelati" come lamenta il New York Times [52], offrendo a Mammona i piatti più prelibati: la galassia dell'ENI, al cui vertice è stato provvidenzialmente collocato nell'autunno del 1992 Franco Bernabè e, soprattutto, il ghiottissimo sistema bancario, una vera miniera d'oro tra consulenze, commissioni e prospettive di utili futuri. C'è però la solita scocciatura del Parlamento: è vero che Ciampi scrive l'agenda nel suo aureo silenzio, ma deve pur sempre incassare il sostegno dei partiti che sostengono il governo, DC, PSI, PDS, etc. etc.

Non tutti sono venduti come Andreatta e Prodi: qualche "anticaglia" della Prima Repubblica, fedele alla vecchia economia mista, è sopravvissuta e rischia nuovamente di frenare le dismissioni delle partecipazioni statali, proprio come hanno già fatto la DC ed il ministro Guarino. Rientra allora in scena lo stragismo "mafioso", ormai completamente slegato dalle vicende di Cosa Nostra come testimonia il passaggio fisico del terrorismo dalla Sicilia al "continente": è la classica strategia della tensione, una spada di Damocle che pende sul Parlamento, un coltello puntato alla schiena dei partiti, un assist ai "sacerdoti delle privatizzazioni" ed agli illustri ospiti del Britannia. Privatizzate o piazziamo le bombe, vendete o uccidiamo, la borsa o la vita: è la vera mafia, quella della CIA, dell'MI6 e di George Soros, non quella pittoresca e semi-analfabeta di Totò u curtu".

Il 13 maggio 1993 una Fiat Uno imbottita di esplosivo salta in aria in Via Fauro, nel centralissimo quartiere dei Parioli, ferendo una ventina di persone: è la mafia, come la vulgata sostiene ancora oggi? Fin da subito sono in molti a pensare che dietro l'attentato, prontamente rivendicato dalla solita e misteriosa Falange Armata, non si nasconda Cosa Nostra. Dice Bettino Craxi alla stampa [53]:

    "Siamo arrivati agli attentati. Ma l'avevo previsto, mi pare. L'avevo detto che si sarebbe giunti anche a questo e, puntualmente, ci siamo. Temo che ci saranno altre bombe, dopo quella in via Fauro. Perché? Perché oltre a una giustizia a orologeria politica, in Italia esistono anche le bombe a orologeria politica. Basta riandare indietro nel tempo. Negli ultimi trent'anni abbiamo vissuto in Italia, no? Bene, in questi trent'anni sono esplose bombe di cui non s'è mai saputo né chi le ha messe, né chi erano i mandanti... Bombe alle quali sono state date cinquanta spiegazioni diverse e cioè nessuna. (...) Ma cos'è poi questa mafia? Sono quelli che hanno preso in Sicilia? Ma quelli mi danno la sensazione di essere dei poveracci... Quanto alla bomba in via Fauro, io non escludo che avesse come obiettivo Maurizio Costanzo. Ma tendo a non crederci, alla pista mafiosa. C'è dell'altro. È una bomba che ha l'obiettivo di stabilizzare, non di destabilizzare. Questa è una bomba a orologeria politica".

Altre bombe, strategia della tensione, mafiosi ridotti al rango di poveracci, attentati per stabilizzare il governo Ciampi: l'ex-segretario del PSI, sottoposto un mese prima all'infamante lancio di monetine fuori dall'hotel Raphael, ha come sempre le idee chiare e le espone con parole nitide e precise. Non si sbaglia.

Nella notte tra il 26 ed il 27 maggio è la volta della strage di via dei Georgofili, Firenze: un'autobomba uccide cinque persone e getta nello scompiglio l'opinione pubblica nazionale e mondiale danneggiando gravemente uno dei più famosi simboli del patrimonio artistico italiano, la Galleria degli Uffizi. E poi i soliti strascichi della strategia della tensione: decine di falsi allarmi alimentano l'ansia e la paura, segnalando ordigni a Milano, Roma, Livorno, Torino, etc. etc [54]. A rivendicare l'attentato è sempre la Falange e nell'articolo di La Repubblica "Ma chi si nasconde dietro la sigla Falange Armata" del 28 maggio si può leggere:

    "Da anni la "Falange armata" rivendica omicidi, attentati e rapine in tutt'Italia. Una telefonata giunge puntuale, solitamente almeno una mezz'ora dopo che il fatto è stato diffuso dai media. (...) E la "Falange" si è fatta viva anche dopo gli omicidi di Falcone e Borsellino, dopo quello di Salvo Lima e del giudice Antonio Scopelliti. Il 1 agosto del 1991 la "Falange" inneggiò alla strage di Bologna del 1980, definendola "una delle pagine più gloriose della lotta armata". Firmati "Falange" anche gli omicidi della Uno bianca. Fino alla cronaca più recente: la bomba del 14 maggio in via Fauro viene prontamente rivendicata con le solite modalità. Proprio in occasione della bomba in via Fauro, il ministro Mancino, sottolineando la necessità di individuare "chi si cela dietro questa sigla", dirà che "è gente che opera sempre in orario di ufficio".

Gente che opera in orario di ufficio? È lecito pensare ai soliti servizi "deviati", le filiazioni italiane della CIA e dell'MI6. Ma perché rivendicare con una strampalata sigla le stragi "di Cosa Nostra", se non per inviare un esplicito ed arrogante messaggio al governo ed al Parlamento? Datevi una mossa, perché vi teniamo in pugno: è questo il pizzino della City e di Wall Street inviato all'Italia con l'autobomba di via Georgofili. Le privatizzazioni stentano a decollare e la mafia finanziaria è sempre più impaziente.

Il governo Ciampi, complice e/o succube, capisce l'antifona: ai primi di giugno tutti i poteri dell'IRI passano a Prodi che, a tambur battente, detta le linee per "spaccare in tre pezzi" la SME (Cirio-Bertolli-De Rica, Italgel ed Autogrill), nonostante le forti resistenze della politica e dei lavoratori. Uniliver e Nestlé ringraziano, ma non è sufficiente, perché come fa notare il Financial Times [55]:

    "Bonn ha fatto progressi, Londra sta andando avanti nella privatizzazione della British Telecom, mentre il governo francese ha sbalordito tutti per la speditezza del piano di dismissioni. L' Italia invece nello stesso tempo appare immobile, con le stesse aziende sempre in vendita e le stesse tabelle di marcia ripetute ma mai riviste".

Il 30 giugno, il premier Ciampi "confeziona quella che probabilmente è l'ultima chance per le privatizzazioni italiane: un comitato di "consulenza e garanzia" che nel giro di trenta giorni dovrà avviare le procedure per la dismissione totale di Enel, Ina, Comit, Credit, Imi, Stet e Agip. I veri e unici gioielli dello Stato padrone". Da chi è presieduto questo super-comitato per le privatizzazioni, cui spetta il compito di vendere i diamanti dello Stato-padrone, lasciandogli solo le imprese decotte? Chi è incaricato di scrivere il calendario per la veloce ed inflessibile dismissione delle ex-imprese pubbliche, perché "ulteriori ritardi potrebbero compromettere definitivamente le ambizioni privatizzatorie del nostro Paese" [56]? Ma ovviamente il direttore generale del Tesoro, Mario Draghi, lo stesso che è, sì, salito sul Britannia, ma poi è sceso prima della crociera...

Non perde tempo il "comitato di consulenza" diretto da Draghi ed entro 30 giorni presenta effettivamente il piano per le cessioni: Comit, Credit, Imi da privatizzare entro l'anno, Ina, Enel, Stet e Agip entro il 1994. Chi valuterà le aziende, si occuperà del loro collocamento sul mercato e (in barba a qualsiasi conflitto d'interessi) ne acquisterà anche importanti percentuali? Il fior fiore della finanza anglofona, gli stessi che hanno consumato sul Britannia un luculliano pranzo a base di "mousse di gamberi, cotolette d'agnello alla menta, anatra farcita al miele e sufflé al limone ghiacciato guarnito con salsa di lamponi" [57] in compagnia di manager di Stato e vertici del Tesoro italiano: Goldman Sachs, S.G. Warburg, Schroders-Fox Pitt, Kleinwort Benson, Salomon Brothers, Morgan Stanley, J.P. Morgan, Wasserstein Perella, etc. etc. Il fior fiore della City e di Wall Street, "le menti raffinatissime" che hanno demolito la Prima Repubblica con Tangentopoli e tengono sotto scacco il Parlamento con le stragi "mafiose".

Già, il Parlamento: quel rudere dove la DC, il PSI e parte del PDS ancora si oppongono al processo di privatizzazione. Nell'articolo "Lo Stato vende" pubblicato da la Repubblica il 25 luglio 1993 si legge [58]:

    "Il Parlamento riprende l'esame del documento del governo per le privatizzazioni. Martedì prossimo, infatti, le commissioni bilancio, tesoro, finanze ed attività produttive della Camera proseguiranno l'esame delle indicazioni che, nell'aprile scorso, l'esecutivo aveva presentato adempiendo ad una precisa indicazione parlamentare. In quell'occasione, oltre ad approfondimenti sul piano di dismissioni mobiliari, sarà forse possibile avere indicazioni precise sull'entità finanziaria che il governo conta di realizzare a breve, ad intero sollievo del debito".

"Martedì prossimo", il giorno in cui il Parlamento torna a discutere di privatizzazioni, è il 27 luglio 1993, lo stesso giorno in cui in via Palestro, nel cuore di Milano, esplode una Fiat Uno presso la Galleria d'arte moderna, uccidendo cinque persone. È lo stesso giorno in cui a Roma, verso la mezzanotte, esplode una seconda Fiat Uno nei pressi di San Giovanni in Laterano (devastando l'appartamento del cardinale Camillo Ruini [59] che, nella veste di presidente della Cei, si è molto speso in difesa della DC), ed una terza Fiat Uno davanti alla facciata della Chiesa di San Giorgio in Velabro, provocando il crollo del porticato. A rivendicare gli attentati, è sempre la stessa sigla: Falange Armata. Il clima in Italia è sempre più cupo e teso. È tale la tensione che perfino il Ministro degli Interni, Nicola Mancino, si abbandona a qualche ammissione [60]:

"È la stessa mano, la medesima strategia. Identica la tecnica, stessa quantità di esplosivo, come obiettivi luoghi simbolici di sicura risonanza mondiale. Ci sono affinità fra gli attentati della scorsa notte e quelli compiuti in via Fauro a Roma, in via dei Georgofili a Firenze, in via D' Amelio a Palermo, e al treno 904. È stata utilizzata la stessa miscela esplosiva. Le ricostruzioni fatte finora condurrebbero alla matrice terroristico-mafiosa, ma nessuna pista sia all'interno che all'esterno viene trascurata...".

Più esplicito ancora è il segretario del PDS, Achille Occhetto, che accusa esplicitamente i "servizi deviati" ed il "governo corrotto e criminale" che opera a fianco di quello ufficiale.

Chi si nasconde quindi dietro questa misteriosa "Falange Armata", l'organizzazione che ha rivendicato l'omicidio di Salvo Lima, confezionato l'ordigno che ha ucciso Borsellino, imbottito di esplosivo le tre Fiat Uno che esplodono il 27 luglio e, tornando indietro nel tempo, ha pianificato l'attentato sul rapido 904, la prima strage "mafiosa" costata la vita a 16 persone il 23 dicembre 1984? La miglior risposta è fornita da Francesco Paolo Fulci, ambasciatore e capo del Comitato Esecutivo per i Servizi di Informazione e Sicurezza (CESIS) tra il 1991 e il 1993. Intervenendo nel 2015 al celebre processo sulla trattativa Stato-mafia, Fulci dichiara [61]:

    "C'era questa storia della Falange Armata e allora incaricai questo analista del Sisde, si chiamava Davide De Luca, di lavorare sulle rivendicazioni (...). Dopo alcuni giorni De Luca venne da me e mi disse: questa è la mappa dei luoghi da dove partono le telefonate e questa è la mappa delle sedi periferiche del Sismi in Italia, le due cartine coincidevano perfettamente e, in più, De Luca mi disse che le chiamate venivano fatte sempre in orario d'ufficio. (...) Sono convinto che tutta questa storia della Falange Armata faceva parte di quelle operazioni psicologiche previste dai manuali di Stay Behind, facevano esercitazioni, creare il panico in mezzo alla gente e creare le condizioni per destabilizzare il Paese. (...) All'interno dei Servizi c'è solo una cellula che si chiama Ossi, che è molto esperta nel fare guerriglia urbana, piazzare polveri, fare attentati".

È quindi "una cellula" dentro al SISMI, alle dirette dipendenze dei servizi segreti atlantici, quella che compie gli attentati più complessi come la strage di Capaci e di Via D'Amelio. È questa "cellula" che confeziona gli ordigni poi piazzati dai vari Spatuzza, Graviano e Brusca. È questa "cellula" che attua la strategia della tensione necessaria per "oliare" le privatizzazioni. E la famosa mafia? Il temutissimo "Totò u curtu"? Come dice Craxi: "mi danno la sensazione di essere dei poveracci...". Utili idioti impiegati dalle "menti raffinatissime" per obiettivi che vanno persino oltre il loro intelletto.

Nonostante le insistenti proteste di alcuni deputati della DC che lamentano l'opacità delle privatizzazioni in corso, l'assenza di procedure trasparenti e definite per legge e, soprattutto, la mancata istituzione di una commissione autorevole e indipendente nei confronti di gruppi di pressione, delle società privatizzanti, dei potenziali acquirenti e dello stesso governo, con il compito di determinare il valore delle imprese pubbliche da cedere" [62], gli attentati del 27 luglio imprimono nuovo slancio alle dismissioni delle partecipate.

Il 27 agosto 1993, ad un mese esatto di distanza dagli attentati, il governo Ciampi abroga la legge bancaria del 1936, introducendo così la banca universale tanto cara alla finanza anglosassone e, a distanza di pochi giorni, la Repubblica scrive: "Comit-Credit, Prodi spinge sull'acceleratore" [63]. Il presidente dell'IRI ha una grande fretta di disfarsi delle due maggiori banche italiane, da gettare sul mercato (piuttosto freddino in quel periodo) con un'offerta pubblica di vendita. È una fretta contagiosa, tanto che persino il presidente del Consiglio ne è affetto: nell'articolo "Ciampi ha fretta di vendere" [64] del 6 ottobre 1993 si legge:

    "Il governo tenta di forzare il fronte delle privatizzazioni. Ieri il Presidente del Consiglio, Carlo Azeglio Ciampi, insieme ai ministri competenti ha ricevuto a Palazzo Chigi il presidente dell'Iri, Romano Prodi, e l' amministratore delegato dell'Eni, Franco Bernabè. Due riunioni convocate per mettere a punto ogni iniziativa utile all'accelerazione delle dismissioni dello "Stato padrone" che, a tutt'oggi, hanno riservato ben pochi successi all'esecutivo. Obiettivo di Ciampi è di chiudere l' anno portando a casa almeno una privatizzazione: quella dell'Imi sembra ormai in dirittura, ma a quanto si apprende il governo vorrebbe chiudere in bellezza il '93 con il collocamento sul mercato anche del Credito Italiano".

Perché forzare le privatizzazioni? Perché accelerare improvvisamente le dismissioni? Perché è così importante vendere in fretta il Credito Italiano, uno dei dossier più appetitosi, seguito non a caso da JP Morgan e Goldman Sachs?

Il 29 ottobre 1993 il consiglio di amministrazione del Credit approva la dismissione del 40% del pacchetto azionario in mano all'Iri tramite un'offerta pubblica di vendita. Due giorni dopo, domenica 31 ottobre 1993, si scoprirà, a distanza di un decennio [65], che sarebbe dovuta esplodere un'autobomba parcheggiata in via dei Gladiatori, a due passi dallo stadio Olimpico, quando gli spettatori della partita Lazio-Udinese fossero usciti.

Non è certo il mancato funzionamento del telecomando in mano ai mafiosi ad evitare la strage, ma l'ordine impartito ai servizi segreti "deviati" di sospendere l'operazione, perché "le menti raffinatissime" hanno finalmente ottenuto ciò che vogliono. L'uscita dello Stato-padrone dalle banche e la privatizzazione delle banche. Finisce così, con quella bomba inesplosa di cui non c'è traccia sui giornali dell'autunno '93, la stagione delle bombe "mafiose": la strategia della tensione si conclude perché il governo Ciampi ed il Parlamento si sono piegati alla Mafia con la "emme" maiuscola, quella della City e di Wall Street, la stessa che nel 1991 ha ucciso servendosi della RAF il tedesco Detlev Karsten Rohwedder, capo della holding pubblica che raccoglie tutte le imprese della ex-DDR, colpevole di ritardi nelle privatizzazioni.

Il 1993 volge così al termine: la DC si è sciolta il 26 luglio 1993, Bettino Craxi è ormai in procinto di lasciare il Paese e, di tanto in tanto, nelle pagine degli interni si legge il nome di un imprenditore televisivo che medita di scendere in politica: Silvio Berlusconi. Il primo novembre è anche nata ufficialmente l'Unione Europea, fino all'altro ieri CEE. Sul fronte economico il Credit è in fase di privatizzazione, la Comit e l'IMI seguono a stretto giro, il Nuovo Pignone è stato ceduto alla General Electric tra proteste e scioperi, la SME è stata spezzettata ed ceduta in parte alla Nestlé. Totale degli introiti: 4.400 miliardi [66], circa il 10% dei 30.000 mld dilapidati un anno prima dalla Bankitalia di Carlo Azeglio Ciampi. Ma l'Italia è più fragile e meno indipendente, più povera e meno industrializzata, come auspicato dall'oligarchia atlantica: la lunga stagione di decadenza, che sta toccando oggi lo zenit, è appena iniziata.

Siamo agli albori della Seconda Repubblica: una repubblica infamante, costruita sul fango e sul sangue, sul sacrificio di due fedeli servitori dello Stato come Borsellino e Falcone, sul saccheggio del risparmio degli italiani e delle imprese pubbliche, sull'avvilente sudditanza agli angloamericani, sulla connivenza tra "sinistra" e banchieri, sulla deindustrializzazione, sulla speculazione, sulla rapina e sullo stragismo. Beniamino Andreatta è morto da anni, ma molti protagonisti di questo racconto sono ancora vivi e occupano tuttora posizioni di prestigio e potere: Mario Draghi, Romano Prodi, Giuliano Amato, Giorgio Napolitano, Mario Monti, Franco Bernabè, etc. etc. Faranno in tempo ad assistere al crollo della loro creatura e, soprattutto, a pagarne le conseguenze.

In tutte le stragi nell'Italia post-bellica, comprese quelle di Capaci e via D’Amelio, si è ricorso all'impiego dell'esplosivo T4 di tipo militare NATO, che non si trova in commercio. Lo disse, in tempi non sospetti, persino Ferdinando Imposimato, presidente onorario della Corte Suprema di Cassazione, deceduto il 2 gennaio 2018. Ad avvalorare questa tesi sono parecchi aneddoti. Nel 1991, Giovanni Falcone scrisse nella sua agenda elettronica appunti sul ruolo delle reti stay-behind atlantiche negli omicidi di Piersanti Mattarella, Pio La Torre, Michele Reina e Rocco Chinnici. Paolo Borsellino era perfettamente d’accordo su questa diagnosi, tanto che la sfruttò per le sue indagini sotto traccia sul 23 maggio 1992 e annotò sulla famosa agenda rossa. Quella fatta sparire di tutta fretta alle 16:58 del 19/07/1992, data del suo decesso, e mai più ritrovata. Ne parlò persino pubblicamente, il 25 giugno dello stesso anno. A tal proposito disse: "ho saputo molte cose da Giovanni prima della sua morte ma non poteva parlarne pubblicamente. Circa i suoi diari, pubblicati sul Sole 24 Ore dalla giornalista Milella, posso dire soltanto di averli letti in vita." Mezze dichiarazioni, parole dette-non dette che forniscono una chiave di lettura delle opposizioni di alcune correnti della magistratura a queste piste. Giusto Sciacchitano, ad esempio, insistette con tutto sé stesso nel rinviare tutto alla requisitoria finale, escludendo i nessi Gladio-stragismo mafioso. Impedì persino che ne fossero verificati gli atti presso la sede del SISMI a fini investigativi. Stessa cosa il procuratore di Palermo, Pietro Giammanco, che nella riunione del pool per la requisitoria Mattarella - ultima di una serie di tensioni e resistenze - invitò in maniera ineducata Falcone a non interrompere i colleghi sul tema in questione. Il tutto nonostante le indagini su Emilio Alessandrini l'anno prima consentirono di scoprire la mano occidentale responsabile della strategia stragista in Italia già a partire da Portella della Ginestra, il 1 maggio 1947.

Un contributo formidabile a queste verità, purtroppo, è stato dato solo recentemente grazie alla tenacia di Salvatore Borsellino e della sua gloriosa famiglia. Fosse stato per i nostri maggiordomi - in prima fila ad ogni commemorazione con quei visi lerci ed ipocriti - la memoria e le ricerche per cui i due grandi italiani sono stati uccisi sarebbero state ancor più vilipese e messe a tacere.


Terza Guerra Mondiale e May Day


Per il futuro prossimo cosa predicono le carte? La Terza Guerra Mondiale, combattuta con le armi nucleari (carta “World War Three”). Mayday è un segnale di allarme. La carta May Day, però, sembra fare un gioco di parole, forse per indicare che a Mosca transiteranno i blindati, in città, nel mese di maggio. L'orso si prepara alla guerra? Nel gioco esistono due carte impressionanti: May Day e World War Three. La cosa preoccupante è che solo una carta è falsa (carta Hoax).

Pochi giorni dopo l'attacco chimico perpetrato a Douma, il mondo ha seguito, col fiato sospeso, il raid atlantico sulla Siria, che si riteneva fosse potenzialmente in grado di innescare una reazione a catena che si sarebbe propagata prima alla regione e poi all’Europa. Sulla natura dell’episodio incriminato il ministro degli Esteri russo non ha dubbi: “ci sono inconfutabili prove che sia opera di un servizio segreto di un Paese in prima linea nella campagna antirussa”. La provocazione di Douma è stata infatti opera del Secret Service inglese, cui è direttamente riconducibile l’organizzazione dei White Helmets: Londra, storica sede dell’establishment liberal, è il bastione della russofobia e non si fa scrupoli a trascinare l’Occidente in guerra pur di conquistare l’Hearthland.

Il gioco di ruolo non fornisce una data per l'innesco della Terza Guerra Mondiale ma è plausibile pensare che una provocazione degli USA, contro l'Iran, fornirà il pretesto per l'innesco della guerra.

Perché l'Iran

Spirano venti di guerra nel Golfo Persico, dove all'inasprimento delle sanzioni economiche contro l'Iran si aggiunge un numero crescente di provocazioni militari: la speranza di Washington è che il regime iraniano imploda sotto il peso delle molteplici pressioni ma, data la solidità di quest'ultimo, non è neppure escludibile un attacco militare diretto, da qui al 2030. Meglio sarebbe, ovviamente, se Teheran cadesse nella trappola di attaccare per primo. Alla base della strategia angloamericana c'è sicuramente la volontà di mantenere la superiorità regionale di Israele, destabilizzando il principale avversario; c'è, però,  anche la volontà di scardinare una potenza continentale che, a fianco di Russia e Cina, sta "organizzando" il Medio Oriente con importanti infrastrutture.

Ferrovie dall'altopiano iranico al Mediterraneo

Nella nostra analisi geopolitica per il 2019, "Autonomia e Riforma Fiscale" e in particolare nel paragrafo "Dal golfo di Biscaglia al Mar cinese", non ci eravamo ovviamente scordati di menzionare l'Iran che, sin dall'inverno 2017 / 2018, era stato preso di mira dall'amministrazione Trump. Ai soliti tentativi di rivoluzione colorata, si è aggiunto, nel corso del 2018, un ritorno alle sanzioni, sospese durante l'era Obama: la presidenza democratica, già impegnata nella destabilizzazione della Siria (e nel tentativo di scatenare una guerra turco-iraniana), aveva infatti allentato la morsa sull'Iran, per impedire che questo si gettasse nelle braccia della Russia. "Persa la guerra" in Siria, per gli USA è tornata prioritaria la caduta del regime iraniano, caduta che si spera di facilitare strangolando la sua economia e impedendo l'esportazione di idrocarburi.

Inizialmente, gli USA avevano concesso una "esenzione" di 180 giorni ai principali acquirenti di greggio iraniano, poi non rinnovata nell'aprile scorso: chi avesse continuato a fare affari con Teheran, sarebbe incappato nelle contromisure americane. L'ennesimo round di sanzioni (che, in sostanza, affliggono l'Iran dal 1979), colpisce duro soprattutto i Paesi industrializzati o in via di industrializzazione dell'Asia: Turchia, India, Cina, Giappone e Sud Corea. Tokyo, quarta consumatrice mondiale di greggio e decisa a non appiattirsi completamente alla strategia angloamericana, si è fatta protagonista di una singolare iniziativa: benché il suo governo si sia impegnato a tagliare gli acquisti di greggio iraniano, Shinzo Abe è volato a Teheran (la prima visita di un premier giapponese nella Repubblica Islamica!) per stemperare le tensioni e, ovviamente, mettere in sicurezza gli approvvigionamenti energetici del Giappone, che sarebbe duramente colpito da uno choc petrolifero.

"L'insubordinazione" giapponese, proprio mentre gli angloamericani erano impegnati a fare terra bruciata attorno all'Iran, è stata punita col classico attacco piratesco delle potenze marittime: mentre Shinzo Abe ed il presidente Hassan Rouhani erano a colloquio, due petroliere, di cui una giapponese (la Kokuka Courageous) sono state colpite il 13 giugno 2019 nello stretto di Homuz, davanti alle coste iraniane. Inizialmente si è parlato di siluri, ma i danni sopra la linea di galleggiamento fanno propendere per l'impiego di missili: con un'incredibile sfacciataggine, il segretario di Stato Mike Pompeo ha prontamente accusato l'Iran. Il crescendo di tensioni e provocazioni (tra cui l'invio aggiuntivo di 1.000 soldati in Medio Oriente) è culminato con l'abbattimento, il 21 giugno, di un drone americano sopra i cieli iraniani. Il mondo, ora, aspetta col fiato sospeso gli sviluppi della vicenda: un attacco all'Iran, afferma il presidente russo Vladimir Putin, sarebbe "catastrofico". Il sogno angloamericano sarebbe, ovviamente, che il regime iraniano implodesse sotto il peso delle sanzioni o, perlomeno, attaccasse per primo: è, tuttavia, uno scenario irrealistico, vuoi per la comprovata resilienza del regime alle sanzioni, vuoi per la rinomata prudenza iraniana. Un attacco militare angloamericano, magari innescato da qualche "incidente di frontiera", resta quindi una realistica opzione, di qui al 2030. L'Iran, intanto, ha dichiarato di voler procedere con l'arricchimento dell'uranio dopo il naufragio degli accordi dell'era Obama.

In questa sede, però, ci interessa soprattutto inquadrare lo scontro in un'ottica geopolitica, cioè nel più ampio scontro tra Terra e Mare. È indubbio che l'amministrazione Trump sia sensibilissima alle esigenze di sicurezza di Israele: abbattuto l'Iraq bahatista, fallito il tentativo di impiantare un "Sunnistan" tra Siria e Iran, Teheran è ormai in grado di proiettarsi sino al ridosso di Israele. La distruzione del regime iraniano è una priorità israeliana e, quindi, americana. Tuttavia, non bisogna mai scordare che Israele assolve anche a un'importante funzione per le potenze marittime: quella cioè di mantenere in costante instabilità il Medio Oriente ed impedire che qualche potenza continentale "organizzi" la regione. Turchia e Iran, due potenze dell'Heartland in termini mackinderiani, sono gli storici "organizzatori" del Levante e della Mesopotamia: un elemento che sicuramente ha contribuito alla decisione angloamericana di aumentare la pressione sull'Iran è stato, in parallelo al suo rafforzamento militare in Siria, la sua volontà, annunciata lo scorso aprile, di costruire una ferrovia transnazionale dall'altopiano iranico sino al Mediterraneo. Poco importa se su questa ferrovia dovessero viaggiare solo merci o turisti, in ogni caso l'Iran espanderebbe la sua influenza sino al mare, attirando nella propria orbita i vicini, e, presto o tardi, renderebbe irrilevante Israele (e gli angloamericani).

La natura geopolitica dello scontro in atto (dove per "geopolitico" si intende specificatamente la dialettica Terra-Mare) spiega anche la convergenza in atto dell'Iran verso le altre due potenze dell'Heartland per eccellenza, Russia e Cina. Mosca, impegnata nelle operazioni militari in Siria, ha sinora cercato di mantenere un certo equilibrio tra Israele e Iran: tuttavia, non c'è alcun dubbio che, qualora quest'ultimo fosse attaccato, la Russia fornirebbe assistenza militare attraverso il Mar Caspio per sostenere l'urto angloamericano. Il fronte meridionale della Russia è ora relativamente "in sicurezza", lo sarebbe molto meno se il regime iraniano dovesse cadere. Un discorso analogo vale per la Cina: non solo l'Iran è una preziosa fonte di approvvigionamento di petrolio per Pechino, ma è anche un tassello chiave del corridoio centrale della Via della Seta, che dovrebbe portare i treni cinesi fino a Istanbul passando proprio per Teheran. Un attacco all'Iran, con il suo immediato contagio di caos e violenza a tutto il Medio Oriente, rischierebbe di ritardare per anni il corridoio centrale; un'implosione del regime per decenni. Ecco perché anche Pechino ha interesse a sostenere l'Iran in questo difficilissimo momento.

Zbigniew Brzezinski aveva già previsto nel 1997, nel suo The Grand Chessbord, la possibile nascita di un'alleanza "anti-egemonica" (ossia anti-angloamericana) tra Russia, Cina e Iran. " The result could, at least theoretically, bring together the world's lead-ing Slavic power, the world's most militant Islamic power, and the world's most populated and powerful Asian power, thereby creating a potent coalition." Quest'alleanza è in nuce e gli USA stanno facendo di tutto per spingere verso la guerra il membro più debole del "blocco continentale": se guerra sarà, Cina e Russia non staranno sicuramente a guardare.

La condizione di abbandono che colpisce i veterani di guerra USA ci suggerisce che prestare le proprie energie per combattere conflitti opinabili non è mai conveniente per il soldato.
Il caso di Claude Eatherly è la testimonianza più emblematica della condizione di abbandono ed esclusione che colpisce i militari USA al ritorno dall'aggressione terroristico-predatoria nel Paese non allineato di turno e sfocia in violenze familiari, tossicodipendenze, abusi, suicidi e gravi sindromi psichiatriche. Per placare i dilanianti sensi di colpa per aver ucciso, con la sola pressione di un bottone, oltre 200.000 persone, l'ultima vittima di Hiroshima dovette dedicarsi alle rapine. Sperava, nel biasimo collettivo, di trovare quel sollievo negato dal Pentagono dopo quel tragico 6 agosto 1945. Un tentativo di espiare la vergogna provata, rendersi colpevole di fronte alla società e distruggere quell'immagine eroica che, a torto, l'opinione pubblica aveva costruito attorno a lui. Un comportamento autodistruttivo e redentore che Günther Anders, filosofo, riuscì a trasformare in un esempio costruttivo affinché nessuno, in futuro, potesse incorrere più in una situazione simile. Lo incoraggiò, infatti, a scrivere una lettera ai pochi superstiti della "nuvola gialla". Ciò che ne verrà fuori è un toccante scambio epistolare di un'anima persa, in cerca di un'espiazione tanto impossibile quanto necessaria per cercare di andare avanti e soffocare i ricordi.

Una storia, il cui dolore e pentimento intrinseci rappresentano l’esatta antitesi della banalità del male di Hannah Arendt. Quella che, senza porsi alcun problema sulle conseguenze delle sue azioni, produce morte. Non dimentichiamo.


Organizzazione Internazionale del Clima


La carta “International Weather Organization” si riferisce all'annoso tema del controllo climatico (geoingegneria) e ci suggerisce che anche il tempo meteorologico è in via di controllo da parte degli illuminati. Conosciamo dalle Sacre Scritture che durante le manifestazioni divine le condizioni meteo possono mutare improvvisamente, nevicate in estate, eclissi, fulmini a ciel sereno. Il fine malcelato degli adoratori del Maligno è la deificazione, divenire come l’Onnipotente, ossia esercitare il potere assoluto, tale da dominare anche gli elementi naturali. Il fenomeno, ormai abbastanza conosciuto, delle scie chimiche è il tentativo per eccellenza di padroneggiare le precipitazioni e la siccità, ora principalmente per scopi geopolitici. Perché il cielo è bianco? La luce del sole viene riflessa dalle nanoparticelle di metalli aviodispersi, presenti in atmosfera. Le lunghezze d'onda maggiori non passano senza essere riflesse ma vengono intercettate dai metalli riflettenti (bario, stronzio ed alluminio) e quindi la luce del sole, che a noi appare bianca, determina il nuovo colore del cielo: bianco, appunto. Questa è un'altra dimostrazione dell'inquinamento da nanoparticolato di metalli neurotossici della nostra atmosfera. Alcuni partiti politici italiani, come la Lista del Popolo del magistrato Antonio Ingroia e di Giulietto Chiesa, nel 2017, in modo subdolo, hanno associato il fenomeno delle scie chimiche al tentativo di rifrangere artificialmente i raggi solari per mitigare il clima di certe aree del pianeta, probabilmente col fine di far accettare la manipolazione climatica ai cittadini spaventati dagli effetti dei cambiamenti climatici, quando è invece evidente che, laddove viene praticata la geo-ingegneria, si verificano con maggiore frequenza gli eventi meteorologici più estremi. Se Antonio Ingroia è in buona fede, bisogna almeno ammettere che non è in grado di scegliere i suoi collaboratori, dato che affiancò onorevoli assai discutibili come Antonio Di Pietro. Antonio Ingroia si è candidato come Presidente del Consiglio dei Ministri della Repubblica Italiana, durante le elezioni del 2013, a capo di Rivoluzione Civile, coalizione politica in cui è confluito il partito politico Italia dei Valori di Antonio Di Pietro. Antonio Di Pietro è l'agente della CIA ed il magistrato che è stato posto a capo dell'operazione Mani Pulite.

Ma qual è il fine principale delle attività di modificazione climatica? Un anonimo dal nickname altisonante su una Rete sociale ha spiegato che, per rispondere a questa domanda, bisogna innanzitutto rendersi conto che viviamo in una Terra ferma, sovrastata da un firmamento di vetro (secondo alcuni studiosi la Terra sarebbe concava, anziché sferica o piatta). L'utente anonimo scrive quanto segue: "La faccio breve: senza scie chimiche si staccherebbe tutto il ghiaccio che si trova sotto il firmamento, quella che normalmente viene chiamata grandine. Solo che verrebbero giù chicchi grandi come un campo da calcio. Le nuvole che vengono realizzate con il reticolato chimico servono, materialmente, a trattenere il calore giù. Le scie non sono fatte per noi. Comunque per i cazzi loro. Devono finire di strizzare il limone. Dalla notte dei tempi sono venuti qua per estrarre minerali, ci hanno creato per aiutare ad estrarre minerali e finché il posto sta in piedi, si continuerà ad estrarre minerali. No, non sto trollando, mi piacerebbe, ma sono serio. Tutto quello che evapora da terra finisce sul firmamento di vetro. La pioggia sgocciola dal firmamento di vetro, così come la grandine. Si lo so, a scuola ci insegnano la stronzata dei nuclei di condensazione. Fatto sta che qualsiasi esperimento o maniera di dimostrare i nuclei di condensazione, prevede una superficie su cui l'acqua si condensa. Semplice termodinamica. Sono soltanto sceso fino in fondo alla tana del bianconiglio. Ed era piena di merda. Non ti è mai capitato che piovesse a cielo aperto senza nuvole? La mia non è una teoria, ma semplice termodinamica e passaggi di stato dell'acqua. Qual è la condizione assolutamente necessaria, secondo il metodo scientifico e l'esperienza di tutti i giorni, affinché il vapore possa diventare condensa, e quindi un liquido? Io so che è una superficie su cui il vapore possa condensare. La storiella dei nuclei di condensazione è, appunto, una storiella. Qualsiasi esperimento sui nuclei di condensazione, dal più avanzato al più casalingo, sarà sempre formato, in ultima analisi, da un contenitore su cui il vapore condensa. Non esiste altro modo. Poi, il cosa succede a queste gocce quando ricadono dal firmamento, come si frammentano e in base a quali principi rimangano sospese sotto forma di nuvole è un altro discorso. Quello che interessa, nella prima fase, è come l'acqua evaporata possa condensarsi. Ed io, scientificamente, termodinamicamente, e sperimentalmente parlando conosco soltanto un modo per far si che si ottenga condensa: una superficie di appoggio. Poi se ne esistono altri di metodi, scientificamente e sperimentalmente parlando, io almeno, non ne conosco. La pioggia, così come la grandine, bastano da sole a provare l'esistenza di una superficie al di sopra delle nostre teste. Poi per dimostrare che è una superficie trasparente, bastano gli arcobaleni e fenomeni assimilati. Non vedo perché queste affermazioni, corredate da argomentazioni inoppugnabili e scientificamente verificabili, debbano essere bollate come teoria. Io chiamo teoria, anzi nemmeno teoria, invece, il dire che gli arcobaleni si formano con le gocce d'acqua che disperdono la luce. L'acqua non è un mezzo di dispersione ottico, non lo è mai stato. Soprattutto non si capisce come miliardi di gocce d'acqua in movimento possano formare uno spettro o arcobaleno statico. La scienza, l'ottica e qualsiasi esperimento tu possa preparare, con una fonte di illuminazione e un mezzo di dispersione, ti richiederà per forza la presenza di un vetro. Le gocce d'acqua sospese sono soltanto la superficie su cui l'arcobaleno si proietta. Come nell'esperimento in cui ottieni la luce dispersa da un prisma. Per riuscire a vedere bene l'arcobaleno interponi un foglio di carta bianco, o un muro. Ecco, le nuvole nell'equazione degli arcobaleni, hanno la stessa funzione del foglio di carta. Sono soltanto il piano su cui l'arcobaleno si proietta, non il mezzo di dispersione. Perché bollare come teoria queste affermazioni? Ma non c'è da mandare a fare in culo quando si parla di firmamento di vetro (che non ha la forma di una cupola, ma è un altro discorso). Se vedi gli arcobaleni, c'è un vetro. Punto. È ottica elementare. Per quanto riguarda le nuvole e la pioggia, fare un esperimento che dimostri la condensa usando le nuvole non è un esperimento, anzi, è una semplice affermazione tra l'assiomatico e il tautologico. Si ritorna sempre allo stesso punto. Hai arcobaleni? C'è un vetro. Hai condensa? C'è una superficie su cui condensare. Poi di solito il problema è che mediamente, le persone, non distinguono fra condensa e coalescenza, o fra igorscopicità e idrofilia. Non sono la stessa cosa. È tutto un mondo di cose che sono evidenti, elementari, semplici in maniera disarmante. Le nuvole sono soltanto la rappresentazione termodinamica di uno stato di saturazione, la nefologia (non quella dei negazionisti cicappini) studia proprio le varie differenze fra le diverse forme e tipi di nuvola, la diversa quota a cui si formano, le condizioni termodinamiche e l'effetto che hanno sul bilancio calorifico ed energetico fra terra e sole. Ma finchè si procede per assiomi, fallacie logiche, affermazioni senza prove scientifiche sperimentali...non si va da nessuna parte. Sai qual è il bello? La spiegazione per cui le scie che vedi non sono condensa, a livello termodinamico, rientra negli stessi ordini di motivi per cui la condensa si ha soltanto con una superficie. Se neghi una cosa, a livello logico ed argomentativo, neghi anche l'altra. Riesci ad organizzare un esperimento in cui, senza usare il sole (che sarebbe un errore), prendi una fonte di illuminazione, delle gocce d'acqua, e ottieni uno spettro (arcobaleno) senza interporre un vetro o qualsiasi mezzo caustico di dispersione  con struttura cristallina? No. La risposta è no, non puoi.  Quindi sono io che guardo perplesso, quelli che sostengono che gli arcobaleni si formano con le gocce d'acqua. O che la pioggia è condensa (ma senza superfici di condensa). Anche in Italia e in Spagna sono caduti blocchi di ghiaccio dal firmamento di vetro nei primi anni del nuovo millennio. L'astrofisica Margherita Hack aveva detto [15] che non possono essere meteoriti di ghiaccio perché le alte temperature raggiunte durante l'attraversamento dell'atmosfera avrebbero sciolto il ghiaccio. I blocchi di ghiaccio dal cielo (megacriometeore) cadono tutti i giorni, non soltanto all'inizio del secolo. Raccontare in giro che vengono dallo scarico del cesso degli aerei ti da la misura di quanto siamo circondati da ciuccibestia. I sinkhole potrebbero essere il risultato del collasso del terreno dovuto all'impatto con pesanti blocchi di ghiaccio staccatisi dal firmamento di vetro. Infatti trent'anni fa non mi risulta ci fosse il problema dei sinkhole. Ecco perché ogni anno, ogni estate è sempre più calda, perché tengono il calore sotto le nuvole, sotto le scie chimiche. Hanno combinato un bel casino: non possono dichiarare il vero motivo delle operazioni di geoingegneria perché verrebbe allo scoperto la truffa della ricerca spaziale, della ESA e della NASA, i contributi statali buttati nel cesso. Nel 2018 hanno dovuto per forza di cose farci friggere a 50 gradi in italia vicino Napoli e nell'entroterra spagnolo, perché hanno dovuto aviodisperdere metalli pesanti come alluminio, nichel, bario e stronzio per tenere il calore al di sotto della cappa chimica. Tengono "nascosta" la geoingegneria perchè altrimenti dovrebbero spiegarti che la terra non gira intorno al sole. O che vivi sotto il vetro. E che sei qua solo per fare estrazione mineraria coatta per i tuoi padroni elohim anunnaki del cazzo. Tutto qua. Hai mai visto un avicoltore che spiega la verità ai polli in batteria?". Nel libro dell'Apocalisse di Giovanni, é scritto che cadranno pesanti blocchi di ghiaccio dal cielo

La caduta di blocchi di ghiaccio dal cielo, come spiegarla?

Appaiono inspiegabili, finora, le misteriose cadute di blocchi di ghiaccio dal cielo che nel mese di gennaio del 2000 hanno riguardato prima la Spagna e poi l’Italia.

Tetti sfondati, auto fracassate e un po’ di curiosità frammista a preoccupazione fra la gente, sono gli unici effetti della "pioggia" di ghiaccio dal cielo, fortunatamente non ci sono state né vittime né feriti.

Gli scienziati non sanno trovare risposte che spieghino i numerosissimi casi che si sono verificati nei due paesi. Resti di comete, grandine fuori misura, escrementi gettati dagli aerei o pezzi di ghiaccio staccatisi dalle ali di velivoli: le ipotesi sono le più disparate e stravaganti. Ipotesi alle quali gli scienziati cercano di trovare spiegazioni, riscontri reali come il passaggio di una cometa o cambiamenti di rotte aeree, cose che in realtà non sembrano invece essere avvenute.

Alcuni ritengono che si tratti semplicemente di scherzi. Ma questa possibilità, sebbene sia plausibile per alcuni dei casi, in altri casi non spiega le modalità in cui si sono verificate alcune delle cadute e la composizione del ghiaccio dei blocchi.

I primi casi si sono verificati in Spagna, subito dopo l’Epifania. Nello stesso periodo anche in Francia sono stati segnalati alcuni casi analoghi.

L’8 gennaio 2000 il primo blocco di ghiaccio era caduto a Siviglia sfondando il tetto di un'auto e sfiorando l'autista. La stampa aveva risolto: ''Escrementi liberati da un aereo'' e il caso sembrava essersi chiuso lì.

Ma il fatto nei giorni seguenti si ripeté per decine di volte in varie parti del paese scatenando la psicosi dell'enigma inspiegabile, decisamente troppi casi per pensare agli aerei come possibile causa.

Per risolvere il mistero, il governo spagnolo, col supporto del Consiglio superiore della ricerca scientifica (Csic), costituì una commissione di esperti. "È un fenomeno senza precedenti" - disse il presidente del Csic, Pedro Nombela - "inspiegabile scientificamente". Gli scienziati scoprirono che nella maggioranza dei casi si trattava di ghiaccio puro. Si ipotizzò che si potesse trattare di frammenti di cometa ma in quei giorni non erano state avvistate comete nei cieli della Spagna.

La stessa NASA escluse che potesse trattarsi di ghiaccio proveniente dallo spazio, come nell’ipotesi di frammenti di comete. Questi, infatti, si scioglierebbero durante l'attraversamento dell'atmosfera che riesce a fondere anche meteoriti di robuste leghe metalliche. Inoltre il ghiaccio di cometa non sarebbe stato composto da acqua purissima come era stato accertato per i blocchi di ghiaccio caduti in Spagna.


Un blocco di ghiaccio caduto a Mostoles, nei pressi di Madrid
Si escluse anche la spiegazione meteorologica, grandine più grossa del solito: il cielo sopra la Spagna in quei giorni, nelle zone interessate, era terso e non si erano verificate burrasche. Inoltre non si riusciva a spiegare come questi enormi blocchi di ghiaccio avessero potuto formarsi nella stratosfera visto che in questo strato dell’atmosfera è presente pochissima umidità. E poi com’era possibile che blocchi che pesavano fino a dieci chili potessero essere rimasti sospesi nell’atmosfera per un tempo abbastanza lungo da raggiungere le eccezionali dimensioni che presentavano.

Restava l'ipotesi degli "escrementi congelati" liberati da aerei oppure ghiaccio formatosi sulle ali e poi precipitato. Ma l’analisi della composizione dei blocchi non indicava la presenza di tracce organiche, e poi che dire dei tanti blocchi caduti molto fuori dalle rotte aeree?

Qualche giorno più tardi lo strano fenomeno iniziò a verificarsi anche in Italia.

Il 22 gennaio un blocco di ghiaccio piovve all’interno del cortile della scuola materna Pio Antonelli di San Martino di Lupari (Padova). Il ghiaccio era stato notato, al rientro dalla messa, da alcune delle suore dorotee che gestiscono la scuola materna. Suor Chiara Parisotto, direttrice dell’istituto, diede questa descrizione del blocco: "era diverso dal ghiaccio comune, aveva un colore bianco candido, come la neve, una cosa stupenda da vedere. Passato un po’ di tempo, mentre si scioglieva, ha acquistato trasparenza''. Ritenendo che il ghiaccio potesse provenire dallo spazio i residui vennero fatti analizzare. L'Arpav, l'agenzia regionale per l'ambiente, prelevò campioni dei frammenti precipitati per verificarne la composizione e accertò che non presentavano alcuna traccia di radioattività.


L'operaio di Ancona colpito dal blocco di ghiaccio
Ad Ancona, il 25 gennaio, un blocco di ghiaccio del peso di circa 750 grammi colpì di striscio alla testa un operaio. L’operaio si chiamava Massimo Giunti, 24 anni, residente a Osimo, il violento colpo che aveva ricevuto era stato attutito dai due pesanti cappelli che il giovane indossava per proteggersi dal freddo. La prognosi per l’operaio fu di dieci giorni. Il blocco di ghiaccio, che si era spezzato in più parti, fu consegnato dai Carabinieri alla Asl locale per essere analizzato.

Nei giorni seguenti altri episodi di blocchi di ghiaccio furono segnalati in ogni parte d’Italia.

In Abruzzo, a Cappelle sul Tavo nei pressi di Pescara, un netturbino venne sfiorato da uno di questi blocchi di ghiaccio. I frammenti vennero fatti analizzare dai laboratori della Asl di Pescara.

Nelle Marche, a Tolentino, venne rinvenuto un blocco di due chilogrammi e mezzo di forma irregolare e con una superficie levigata.

In Veneto, tre casi di blocchi di ghiaccio vennero segnalati a Treviso, Legnaro (Padova) e Marghera (Venezia).

In tutti e tre i casi si trattò di blocchi rinvenuti in centri urbani ma in spazi piuttosto ampi. In tutti e tre i casi non si registrarono danni a cose e persone e i tre blocchi vennero consegnati agli esperti dell'Arpav, l'Agenzia per l'ambiente della regione, per effettuare le analisi del caso.

In Piemonte, tre blocchi di ghiaccio vennero trovati nel centro storico di Asti. Nessuno li aveva visti cadere.

Il primo, grande come un pallone da calcio, era stato segnalato da alcuni passanti a pochi metri dalla Cattedrale, il secondo e il terzo vennero ritrovati in due piazze della città piemontese. Anche in questo caso i blocchi vennero presi in consegna dai carabinieri per essere analizzati dall'Arpa (Agenzia regionale per la protezione ambientale).

Altri blocchi vennero segnalati anche a Milano. Alle redazioni dei giornali per diversi giorni continuarono ad arrivare telefonate di cittadini che segnalavano ritrovamenti.

In Toscana si verificarono altri casi: nei pressi di Empoli e nella strada del Padule di Fucecchio dove un pezzo di ghiaccio piovuto dal cielo cadde sull’asfalto davanti ad un’auto condotta da una giovane donna, senza provocare alcun incidente. Fu la stessa donna a raccontare l'accaduto, che venne confermato anche da altri automobilisti che seguivano la sua vettura.


Un blocco di ghiaccio di circa tre chili cadde anche a Perugia in un campo di calcetto dove stavano giocando alcuni ragazzi. Nelle vicinanze dell'area non si trovavano palazzi o altre strutture da dove il blocco poteva essere stato lanciato.

Anche in Friuli Venezia Giulia, nella provincia di Udine e a Trieste, si verificarono alcuni casi. Due anziani fratelli raccontarono di essere stati sfiorati da un pezzo di ghiaccio mentre percorrevano una zona residenziale di Udine. Una donna diretta in auto verso Pordenone raccontò di aver visto cadere dall'alto, sull'asfalto, pezzi di ghiaccio. Un blocco da un chilo piovve dal cielo a Villanova di Lusevera. A Trieste venne trovato un blocco da un paio di chili con attorno altri frammenti di ghiaccio.

A Campobasso, il 28 gennaio, tre blocchi caddero dal cielo nel giro di poche ore. Il ghiaccio, che conteneva bolle d'aria al suo interno, venne analizzato dai laboratori di igiene dell'ospedale "Cardarelli" di Campobasso.

Anche in Sardegna, in Calabria ed in altre regioni del sud vennero segnalati casi analoghi ed inspiegabili.

Nella maggioranza dei casi, i laboratori di analisi riscontrarono che il ghiaccio era composto da acqua purissima senza alcuna traccia di sali, elementi organici o da impurità, in sostanza era simile all'acqua distillata.

Molti scienziati italiani vennero chiamati ad esprimersi sulla natura del fenomeno.

Il professor Franco Prodi, dell'Università di Ferrara, uno dei maggiori esperti italiani in fatto di grandine, affermò: "Escludo che si possa trattare di grossi chicchi di grandine che sono prodotti da correnti anche ascendenti e quindi non in grado di far sollevare blocchi di dimensioni così notevoli. Il chicco più grande finora conosciuto è conservato a Boulder, in Colorado, e pesa 960 grammi". Il ricercatore disse anche di essere scettico sul fatto che potesse trattarsi del ghiaccio che si forma sulle superfici esterne degli aerei. "La cosa potrebbe essere possibile solo a bassa quota, dove c'è sufficiente umidità dovuta all'attraversamento di nubi molto dense. Ad alta quota, invece, dove le temperature scendono anche a meno 50 gradi, il vapore acqueo è ridottissimo e non consente la formazione del ghiaccio" disse Prodi.


Secondo gli scienziati del Consiglio nazionale della ricerca scientifica spagnolo (Csic) i blocchi di ghiaccio caduti in Italia erano "strutturalmente simili" a quelli caduti nelle settimane precedenti in Spagna. Anche questi ammisero che si trattava di un fenomeno "raro e straordinario", diverso da quello della grandine normale.

Margherita Hack, la nota astrofisica italiana, si disse assolutamente certa sulla non attendibilità della tesi secondo la quale il ghiaccio potesse provenire da un meteorite o da una cometa. "Il ghiaccio non avrebbe mai raggiunto la superficie terrestre dato che si sarebbe sciolto molto prima nell’atmosfera per l’attrito provocato da un viaggio a velocità che variano da 10 a 40 chilometri al secondo" affermò la scienziata.

Allora noi ci chiediamo: come dobbiamo considerare realisticamente questi casi. Si tratta di fenomeni fisici piuttosto rari, stranezze meteorologiche, come sostengono alcuni, oppure abbiamo a che fare semplicemente con degli scherzi, come affermano altri. Ma se siamo di fronte a fenomeni fisici, perché, per quanto rari possano essere, non vi è alcuna traccia di avvenimenti simili nelle cronache storiche antiche e moderne. E se si tratta di scherzi - ed è possibile che in una buona percentuale di casi sia proprio così - come considerare allora i tanti episodi che, come abbiamo visto, non sembrano conciliarsi affatto con questa ipotesi.

Va detto che di questi fenomeni si parla in alcune profezie sugli "ultimi tempi". Si fa cenno ad enormi e pesanti chicchi di grandine, per esempio, nell’Apocalisse di Giovanni e nelle profezie di Marie Julie Jahenny.

Gesù, in un messaggio a Marie Julie Jahenny, le rivelò: "Io verrò sul mondo peccatore con un terribile rombo di tuono, in una fredda notte d'inverno. Un caldissimo vento del Sud precederà questa tempesta e pesanti chicchi di grandine scaveranno la terra".

Nell’Apocalisse (16,21) si dice: "...E grandine enorme del peso di mezzo quintale scrosciò dal cielo sopra gli uomini, e gli uomini bestemmiarono Dio a causa del flagello della grandine, poiché era davvero un grande flagello".


Uno dei blocchi di ghiaccio ritrovati in Spagna
Allora, in base a queste profezie, c’è da chiedersi: è possibile che questi fenomeni siano segni che preannunciano eventi legati alla "grande tribolazione" e che riguarderanno l’Italia e la Spagna?

Dobbiamo precisare che nell’Apocalisse il flagello della grandine viene mandato sulla Terra nell’ultima parte della grande tribolazione e, quindi, non è certamente realistico collegarlo agli eventi del gennaio del 2000.

Una cosa è certa: non possiamo sottovalutare questi eventi così insoliti ed eccezionali, anche nel caso in cui venissero spiegati, prima o poi, dalla scienza.


La Mafia


La carta intitolata "La Mafia", anziché predire un evento futuro, si limita a suggerire chi sono gli artefici di quelle società segrete paramassoniche che da circa duecento anni logorano il Meridione ed il Bel Paese.
La carta raffigura due malviventi armati che partecipano ad un assalto.
In particolare, il mafioso sulla sinistra è intento a sferrare un attacco usando un'arma da fuoco.
La carta suggerisce che la mafia, la camorra e la 'ndrangheta infettarono il Meridione (e l'Italia) per volere degli inglesi.

"Sicilia e mafia", "Campania e camorra", "Calabria e 'ndragheta" sono accostamenti triti e ritriti, spesso impiegati per dipingere l'intera Italia come un Paese mafioso, corroso dal crimine, e quindi da collocare ai margini del sistema internazionale, tra gli Stati semi-falliti. È dal 1861 che il Paese affronta il problema mafioso e da allora sono state condotte migliaia di inchieste, scritti migliaia di libri, elaborate migliaia di analisi economiche e sociali: ma è possibile affrontare la questione in termini geopolitici? È possibile cavare un'asciutta verità dall'enorme e amorfa quantità di materiale concernente le mafie? Mafia, camorra e 'ndgrangheta sono società segrete paramassoniche, inoculate dagli inglesi all'inizio dell'Ottocento per destabilizzare il Regno delle Due Sicilie e trasmesse all'Italia post-unitaria per minare lo Stato e castrarne la politica mediterranea.

Mafie e massoneria speculativa: come Londra rovesciò il Regno delle Due Sicilie

Analizzando il biennio 1992-1993, che decretò il passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica, è possibile smontare la tesi dominante sul quel cruciale periodo della storia italiana: alla base delle stragi in Sicilia e "sul continente", non ci fu il braccio di ferro tra malavita e Stato sul 41 bis, ma un più ampio ed ambizioso progetto con cui "le menti raffinatissime" vollero ridisegnare la mappa economica e politica dell'Italia, inserendola nella più vasta cornice del Nuovo Ordine Mondiale. L'omicidio dell'eurodeputato Salvo Lima va collegato alla cruciale elezione del Presidente della Repubblica di quell'anno; l'omicidio di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino sono analoghi ammonimenti lanciati al Parlamento, ma allo stesso tempo sono anche un avvertimento alla giustizia italiana affinché si fermi al livello "insulare" delle indagini, senza approfondire i legami tra Cosa Nostra ed i servizi segreti della NATO; le bombe del 1993 sono un "lubrificante" per consentire agli anglofili del Britannia di smantellare a prezzi di saldo l'IRI e l'industria pubblica.

In questo contesto, la mafia è uno strumento dell'oligarchia atlantica per perseguire obiettivi addirittura in contrasto con gli interessi di Cosa Nostra: è infatti assodato che la stagione stragista debilitò gravemente Cosa Nostra, "spremuta" nella strategia della tensione del 1992-1993 fino quasi a svuotarla. Allargando l'analisi, non si può certo definire un'eccezione l'impiego del crimine organizzato da parte degli angloamericani: anzi, sembrerebbe quasi una costante della storia italiana. Passiamo ora in rassegna alcuni momenti cruciali del Bel Paese, verificando se ci sia o meno lo zampino della malavita.

Sequestro di Aldo Moro, 16 marzo 1978: è ormai appurato che la 'ndrangheta abbia partecipato al commando 15 16 che rapì il presidente della DC, reo di turbare gli assetti internazionali con la sua apertura al PCI. Non solo, il capo della Nuova Camorra Organizzata, Raffaele Cutolo, ha ammesso che avrebbe potuto salvare Moro se i servizi segreti non si fossero opposti 18. Piazza Fontana, 12 dicembre 1969: la strage che inaugura la strategia della tensione è perpetrata dalla destra eversiva di Franco Freda, in stretto contatto con la 'ndrangheta. Omicidio di Enrico Mattei, 1962: è Cosa Nostra a sabotare all'aeroporto di Catania Fontanarossa 18 il velivolo su cui trovò la morte il presidente dell'ENI, scomodo alle Sette Sorelle. Sbarco angloamericano in Sicilia del 1943: è il mafioso Lucky Luciano a facilitare la conquista dell'isola e papaveri di Cosa Nostra presenziano anche all'armistizio di Cassibile, che sancisce la fine delle ostilità tra l'Italia e gli Alleati. Sbarco di Giuseppe Garibaldi a Marsala, 1860: i "picciotti" danno un contributo determinante alla spedizione dei Mille, benedetta e protetta da Londra.

Cosa sono dunque la mafia, la camorra e la 'ndragheta? Perché affiorano in tutti i passaggi della storia italiana a fianco di Londra e Washington. Perché sono sovente associate ad un'altra organizzazione segreta di matrice anglosassone, la massoneria speculativa?

Sul crimine organizzato che flagella il Meridione e l'Italia sin dal 1861 sono state condotte migliaia di inchieste giudiziarie, diverse inchieste parlamentari, sono stati scritti migliaia di libri e girati migliaia di film e documentari: ci campano non soltanto i malavitosi, ma anche i "professionisti dell'antimafia" che pullulano nei tribunali, pennivendoli del calibro di Roberto Saviano ed il variegato mondo di preti, intellettuali e soloni che ruota attorno alla "lotta alla mafia". Toccare l'argomento non sarebbe solo inutile, ma addirittura dannoso, se non fosse possibile dare un contributo originale e chiarificatore: si rischierebbe soltanto di alzare altra polvere. È il mestiere, detto per inciso, per cui sono profumatamente pagati giornalisti, pubblici ministeri, politici e membri delle forze dell'ordine. Se anche noi quindi ci occupiamo di Cosa Nostra e delle sue sorelle, è perché abbiamo la presunzione di avere perlomeno intuito la vera natura del crimine organizzato: la vera natura di quella mafia che, come notò lo stesso Giovanni Falcone, presenta forti analogie con le Triadi cinesi, la malavita turca e la Yakuza giapponese.

Servendoci del solito procedimento di comparazione con realtà simili, di un respiro storico più che giornalistico e di un approccio "geopolitico", indispensabile per capire quali attori operano in una determinata area e quali sono i loro interessi, siamo giunti alla nostra definizione di mafia, camorra ed 'ndragheta: sono società segrete paramassoniche dedite al crimine, vere e proprie "sette" che rispondono alle logge inglesi ed americane, sin dalla loro origine agli inizi dell'Ottocento. Sia chiaro: è una verità perfettamente nota agli "addetti ai lavori" (vertici della mafia, politici, Grande Oriente d'Italia, CIA, MI6, etc. etc.), spesso intuita e talvolta accennata da onesti magistrati e seri studiosi. Non ci risulta però che nessuno abbia sinora affrontato l'argomento in maniera così esplicita ed organica come stiamo per fare, colmando così quella che ci sembra una lacuna dell'autocoscienza nazionale.

Cominciamo col porre il quesito chiave: perché le mafie si sviluppano in tre regioni meridionali quasi contemporaneamente, tra gli anni '10 e '30 dell'Ottocento? Le risposte più frequenti, quelle fornite per stendere una cortina attorno al fenomeno, sono di natura socio-economica e si ripetono ossessivamente dal 1861 ad oggi: l'arretratezza del Meridione, il retaggio della dominazione spagnola, la presenza del latifondo, le mentalità della popolazione, la diffusione di miseria e povertà, etc. etc.. Sono risposte fuorvianti, se non errate tout court: il reddito pro-capite del Regno delle Due Sicilie era paragonabile a quello del resto d'Italia 19, la povertà simile a quella di alcune zone del Piemonte e del Veneto che non produssero crimine organizzato, la dominazione spagnola aveva interessato pure la "civilissima" Lombardia e altre regioni meridionali persino più povere (come il Molise e la Basilicata) non conobbero le mafie, che germogliarono invece in due ricche capitali come Palermo e Napoli.

Per scoprire le autentiche origini del fenomeno mafioso occorre tuffarsi nella storia, accantonando analisi pseudo-economiche, per afferrare le forze vive e la geopolitica dell'epoca: è lo stesso procedimento usato per dimostrare che l'ISIS, il sedicente Stato Islamico dell'Iraq e del Levante, non è altro che uno strumento degli angloamericani per balcanizzare il Medio Oriente e dividerlo lungo faglie etniche e religiose, piuttosto che il frutto spontaneo del fondamentalismo islamico o la naturale conseguenza dei "regimi dittatoriali".

Tra la fine del Settecento ed i primi anni dell'Ottocento, il mondo è in fiamme per la guerra tra Francia rivoluzionaria e le altre monarchie europee: la rivoluzione francese, in cui Londra ha giocato un ruolo determinante (si pensi agli "anglofili" come Honoré Mirabau, il Marchese de La Fayette e Philippe Égalité), è sfruttata dagli inglesi per liquidare la Francia come grande potenza marittima, estendere i propri domini in India e rafforzare l'egemonia su un'area chiave del mondo: il Mar Mediterraneo, da unire in prospettiva al Mar Rosso ed all'Oceano Indiano con il canale di Suez. Il Regno di Napoli, di fronte all'avanzata delle truppe rivoluzionarie francesi, è costretto ad aprire i propri porti alla flotta inglese, senza sapere che, così facendo, firma la sua condanna a morte: gli inglesi sbarcano infatti coll'obiettivo di rimanerci anche dopo la guerra, installandosi così nello strategico Sud Italia che presidia il Mar Mediterraneo. Per un certo periodo, gli inglesi diventano addirittura padroni del Regno: quando infatti il francese Gioacchino Murat si insedia a Napoli, il re Ferdinando IV si rifugia in Sicilia protetto dagli inglesi e Lord William Bentinck governa l'isola come un dittatore de facto.

Arriviamo così alle origini di Cosa Nostra. Scrive un grande esperto di mafia come Michele Pantaleone (1911-2002):

    "Il brigantaggio, comune alla Sicilia come al resto dell'Italia meridionale, si risolveva nell'attività di bande mal coordinate e spesso contrapposte (…). Soltanto dopo il 1812, quando il potere feudale venne praticamente eliminato, il brigantaggio per bande assunse una funzione, per così dire, sociale. È storicamente documentato che lo spirito di mafiosità sorse in concomitanza con la formazione delle famigerate compagnie d'armi, create dalla baronia siciliana nel 1813 a difesa dei diritti feudali. (…) È in questo periodo, dunque, che – tra il 1812 ed il 1850 – prende forma lo spirito di mafiosità. Il suo epicentro è nel palermitano e di qui si irradia verso la Sicilia orientale con manifestazioni più sfumate, via via che si allontana dalla capitale."

Il 1812 è un anno citato in tutti i testi di storia sulla mafia. È l'anno in cui il "dittatore" Lord William Bentinck impone al re esule a Palermo l'adozione di una Costituzione sulla falsariga di quella inglese, in comune accordo con i baroni siciliani: gli stessi baroni che creano quelle "compagnie d'armi", prodromi della futura mafia. Strane davvero queste "compagnie", "consorterie" o "sette" che iniziano a pullulare dopo il 1812: presentano singolari analogie con la massoneria speculativa che gli inglesi innestano ovunque arrivino: segretezza, statuti, rituali d'iniziazione, mutua assistenza, diversi gradi di affiliazione, livelli sconosciuti agli altri aderenti. E poi la pretesa di non essere volgari criminali, ma "un'aristocrazia del delitto riconosciuta, accarezzata ed onorata", proprio come i massoni si definiscono gli "aristocratici dello spirito" in contrapposizione all'antica nobiltà di sangue. "Mafioso" nei rioni di Palermo significa "bello, baldanzoso ed orgoglioso".

La Restaurazione reinsedia Ferdinando IV, ora Ferdinando I delle Due Sicilie, sul trono di Napoli. Il re non perde tempo a revocare (1816) la Costituzione scritta dagli inglesi, considerata come un'insidiosa minaccia alle sue prerogative: i germi inoculati dagli inglesi, le misteriose sette criminali che dalla periferia di Napoli e Palermo si irradiano verso i palazzi di baroni e notabili però crescono. Corrodono il Regno delle Due Sicilie dall'interno, emergendo come un vero Stato nello Stato: trascorreranno poco meno di cinquantanni prima che contribuiscano in maniera determinante allo sfaldamento del Regno borbonico. È tra il 1820 ed il 1830 che lo scrittore Marc Monnier (1829-1885) situa la comparsa a Napoli di una misteriosa setta paramassonica, la "bella società riformata", dedita ad attività illecite: è la futura camorra, che nel 1842 scrive il primo statuto definendo i vari gradi di affiliazione sulla falsa riga della libera muratoria, da "giovanotto onorato" a "camorrista", passando per "picciotto di sgarro" e così via. Quasi contemporaneamente, al di là dello Stretto di Messina, la mafia è già ad uno stadio avanzato, perché nel 1828 il procuratore di Girgenti scrive dell'esistenza di un'organizzazione di oltre 100 membri di diverso rango, "riuniti in fermo giuramento di non rilevare mai la menoma circostanza delle operazioni". Idem per la 'ndrangheta in Calabria.

Nel 1848 Londra incendia l'Europa usando come cinghia di trasmissione la solita massoneria speculativa: è la "Primavera dei popoli", cui seguiranno tante altre primavere di complotti, da quella di Praga del 1968 a quella Araba del 2011. Nel Mar Mediterraneo gli inglesi si adoperano per staccare la Sicilia, avamposto strategico per ogni operazione militare e politica in quel quadrante, dal Regno Borbonico: i "baroni", gli stessi che comandano le malfamate "compagnie d'armi", insorgono contro Ferdinando II, proclamando decaduta la corona borbonica ed affidandosi alla corona d'Inghilterra, disposta a difendere l'indipendenza dell'isola. Il contesto internazionale non è però favorevole alla secessione dell'isola e Ferdinando II reprime manu militari l'insurrezione, guadagnandosi l'appellativo di "re bomba", dipinto dalla stampa anglosassone come un sanguinario ed illiberale despota. Le carceri, che già allora sono il principale centro di propagazione delle mafie, si riempiono di patrioti-liberali e "picciotti", uniti dal comune retroterra massonico: si saldano così legami che saranno presto utili.

I rapporti tra Napoli e Londra, già deterioratisi con la questione degli zolfi, sono ai minimi termini, convincendo Ferdinando II che è opportuno rafforzare i legami con la Russia, allora acerrima rivale geopolitica degli inglesi : sono gli anni del Grande Gioco e Londra e San Pietroburgo si sfidano in Eurasia per l'egemonia mondiale.

Quando nel 1853 scoppia la guerra di Crimea, il Regno delle Due Sicilie rimane rigorosamente neutrale e nega addirittura alle navi inglesi e francesi dirette verso Sebastopoli di attraccare nei propri porti per rifornirsi. Il primo ministro inglese, Lord Palmerston, non ha dubbi: il Regno Borbonico, nonostante la grande distanza geografica, è diventato un vassallo della Russia. Chi partecipa alla "Guerra d'Oriente" è invece il Regno di Sardegna, consentendo così al primo ministro, Camillo Benso, conte di Cavour, di acquisire un ruolo da protagonista nell'ormai imminente riassetto dell'Italia: la storiografia certifica che Cavour, da buon reapolitiker qual è, non ha in mente "l'unità" della Penisola, bensì "l'unificazione" doganale, economica e militare di tre regni autonomi. Il Regno sabaudo allargato a tutto il Nord Italia, lo Stato pontificio ed il Regno borbonico: la soluzione, seppur caldeggiata da francesi e russi, è però osteggiata dagli inglesi, decisi a cancellare il potere temporale della Chiesa Cattolica e a sostituire gli infidi Borbone con i più sicuri Savoia, tradizionali alleati dell'Inghilterra sin dal Settecento.

È infatti "l'inglese" Giuseppe Garibaldi, l'eroe dei due mondi celebrato dalla stampa angloamericana nonché 33esimo grado della massoneria, a sbarcare nel maggio del 1860 a Marsala, feudo inglese per la produzione di vino, protetto dalle due cannoniere inglesi Argus ed Intrepid. La reazione della marina militare borbonica è nulla, perché la massoneria ha ormai assunto il controllo delle forze armate e dei vertici dello Stato. Le strade e le grandi città sono invece passate sotto il controllo del crimine organizzato: "i picciotti", che agiscono sempre in sintonia con i "baroni", danno un aiuto determinante all'avanzata dei Mille. Il Regno delle Due Sicilie, svuotato da uno Stato parallelo che è cresciuto dentro lo Stato di facciata, si squaglia rapidamente: Reggio Calabria non oppone alcuna resistenza, mentre Napoli precipita nel caos, lasciando che il vuoto di potere sia colmato dalla camorra, lieta di accogliere Garibaldi e le sue truppe. Nasce così il Regno d'Italia, che ancora oggi paga il prezzo del suo peccato originale. È uno Stato strutturalmente debole, nato senza possedere il monopolio della violenza, costretto a convivere con due gemelli siamesi, le mafie e la massoneria speculativa, che non sono altro che meri strumenti in mano a chi ha davvero orchestrato l'Italia unita: l'impero britannico.

Londra non è certo animata da nobili sentimenti: ha defenestrato i russofili Borbone per sostituirli con i fedeli Savoia, ha creato a Sud delle Alpi una media potenza da opporre alla Francia (si veda la Triplice Alleanza), ha partorito uno Stato sufficientemente robusto da reggersi in piedi, ma altrettanto debole da non insidiare la sua egemonia sul Mar Mediterraneo. Le stesse mafie che hanno corroso il Regno delle Due Sicilie sono lasciate infatti in eredità allo Stato unitario: è un'eredità avvelenata, finalizzata a compiere una perdurante opera di destabilizzazione nel Meridione, cosicché non possa mai sfruttare il suo enorme potenziale geopolitico di avamposto verso Suez, il Levante ed il Nord Africa.

Le mafie come strumento inglese di destabilizzazione non sono una peculiarità del Sud Italia. Si considerino ad esempio le Triadi Cinesi che smerciano nell'Impero Celeste quell'oppio per cui Londra ha addirittura combattuto una guerra (1839-1842): le analogie con la mafia, come già notato da Giovanni Falcone, sono incredibili. Tatuaggi, mutua assistenza, omertà, segretezza, riti d'iniziazione, diversi gradi di affiliazione, struttura piramidale: anche le Triadi sono sette criminali paramassoniche e, non a caso, quando i comunisti prenderanno il potere nel 1949, ripareranno nella colonia britannica di Hong Kong.

"Il vice-Regno della mafia", il prefetto Mori ed il secondo sbarco mafioso

Scrive lo storico Domenico Novacco:

    "La storia della mafia coincide con l'introduzione dell'ordinamento liberale e democratico nella comunità civile (…). Lo stato liberale e democratico enuncia diritti (statuti e costituzioni) ed assume l'impegno di farli valere ugualmente verso tutti. Di fronte a tale "pretesa" la mafia si configura, nello stato liberale, come un quid anomalo, come un conato di potere locale, come un mini-Stato che non si eleva mai al rango di anti-Stato, ma solo di co-Stato, condizione ammessa, eccezione consentita e tollerata".

Mafia ed "ordinamento liberale", si è visto con la costituzione del 1812 patrocinata da Lord William Bentinck, procedono di pari passo. Non c'è alcun dubbio che "l'Italia liberale", fondata nel 1861, sia terreno fertile per lo sviluppo del crimine organizzato: mafia, camorra ed 'ndrangheta si sviluppano nelle rispettive regioni come Stati paralleli a quello unitario, prosperando più che ai tempi del Regno delle Due Sicilie: massoneria e mafie, benedette da Londra, sono i motori dell'Italia liberale, un edificio che sembra spesso vicino al crollo, totalmente ripiegato su se stesso. La mafia contribuisce a mantenere l'Italia in un perenne stato di fibrillazione, guidando ad esempio la rivolta del "sette e mezzo" che paralizza la Sicilia nel 1866, quasi l'antefatto di quel fatidico 1992 troppo spesso dimenticato.

Il fenomeno mafioso è contenuto finché la Destra storica, quella di Cavour, resta al potere, ma esplode con l'avvento nel 1876 della Sinistra storica: sotto la presidenza del consiglio di massoni come Agostino Depretis e Francesco Crispi, è inaugurato il "Vice-Regno della mafia" che dal 1880 circa si estende fino al 1920. "Lo Stato liberale abdica a favore del baronato" e l'intera Sicilia, formalmente governata da Roma, è in realtà un feudo anglo-mafioso: Londra non ha bisogno di staccare l'isola del governo centrale come ai tempi di Ferdinando II, perché esercita il controllo de facto con la "setta" criminale paramassonica. È la stessa organizzazione che negli Stati Uniti assume nomi evocativi come "Mano Nera" o "Anonimi Assassini": quando nel 1909 il commissario della polizia di New York, Joseph Petrosino, sbarca a Palermo per indagare sui legami tra mafia americana e siciliana, "i picciotti" non si fanno scrupoli a sparargli in testa.

Il trasformismo parlamentare dell'epoca giolittiana è terreno fertile per la malavita, determinante per l'elezione degli onorevoli espressi dalle popolose regioni meridionali. Un cambiamento si registra dopo la marcia su Roma del 1922: è vero che Benito Mussolini, una vecchia conoscenza di Londra sin dalla Prima Guerra Mondiale e dalla campagna interventista del "Popolo d'Italia", conquista la presidenza del Consiglio con l'appoggio determinante degli inglesi e della massoneria di piazza del Gesù, ma tende ad emanciparsi in fretta.

L'omicidio Matteotti del 1924 può infatti essere considerato il primo tentativo inglese di rovesciarlo ed ha certamente un certo peso sulla decisione del 1925 di abolire la libera muratoria (sebbene numerosi massoni, primo fra tutti, Dino Grandi, restino al governo). Fedele alla massima "tutto nello Stato, niente al di fuori dello Stato, nulla contro lo Stato", Mussolini non può ovviamente accettare la convivenza con istituzioni parallele al governo, come la mafia. Nell'ottobre 1925 Cesare Mori è nominato prefetto di Palermo e, in poco meno di quattro anni, infligge un duro colpo a Cosa Nostra, avvalendosi dei "poteri eccezionali" affidatigli da Mussolini: nel 1927 il tribunale di Termini Imerese condanna oltre 140 mafiosi a durissime pene. Chi, ovviamente, stigmatizza la condotta del governo italiano è l'Inghilterra. Scrive l'ambasciatore Ronald Graham al premier Chamberlain:

    "Il signor Mori ha certamente restaurato l'ordine (…). Ha eliminato numerosi mafiosi e ras ed anche numerosi innocenti con mezzi molto dubbi, comprese prove fabbricate dalla polizia e processi di massa".

Mafie e massoneria, sorelle inseparabili, piombano quindi "nel sonno", in attesa di essere risvegliate al momento opportuno: proprio come ai tempi delle guerre napoleoniche, sbarcheranno in Sicilia con gli inglesi, accompagnati questa volta anche dalle forze armate statunitensi.

È il 1943 e la mafia non solo facilita la conquista dell'isola attraverso Lucky Luciano, ma addirittura presenzia alla firma dell'armistizio di Cassibile nella persona di Vito Guarrasi, lontano parente di Enrico Cuccia (la cui famiglia è originaria del palermitano). Finché il "continente" è occupato dai tedeschi, gli angloamericani coltivano la ricorrente idea di separare la Sicilia dal resto dell'Italia: è il momento d'oro del separatismo e del bandito Giuliano, destinato a scemare man mano che le truppe alleate risalgono la penisola. Perché infatti accontentarsi della Sicilia se, come ai tempi d'oro dell'Italia liberale, è possibile costruire dietro lo Stato di facciata un secondo Stato, retto dalle mafie a dalla massoneria?

Inizia così la lunga stagione dei "misteri italiani" dove mafia, camorra e 'ndrangheta, figureranno a fianco di servizi segreti "deviati" e logge massoniche in decine di omicidi ed attentati: dal disastro aereo di Enrico Mattei alle bombe del 1993, dal sequestro Moro al rapimento dell'assessore campano, Ciro Cirillo. Come abbiamo appurato, il fenomeno rientra nella norma, perché sin dalle origini nella prima metà dell'Ottocento le mafie non sono altro che società segrete paramassoniche, dedite al crimine ed obbedienti alle logge inglesi ed americane. Ha affermato il pentito Giovanni Gullà, spiegando agli inquirenti i meccanismi di "Mamma Santissima", la nuova 'ndrangheta che contribuirà in maniera decisiva alla strategia della tensione:

    "La "Santa" si spiega nella logica della "setta segreta": si è inteso creare una struttura di potere sconosciuta agli altri per ottenere maggiori benefici. (…) Posso affermare con convinzione che la santa, come setta segreta, è l'esatto corrispondente della massoneria coperta rispetto a quella ufficiale. (…) Va chiarito che l'appartenente alla 'ndrangheta non può essere massone, ma questo vale per la 'ndrangheta "minore" e la massoneria pubblica. Ma come ho già detto la "Santa" rappresenta una struttura segreta dentro la stessa 'ndrangheta, pertanto se il fine mutualistico può essere soddisfatto con l'ingresso di massoni nella struttura e viceversa, nessun ostacolo può essere frapposto".

La "santa" è l'élite della 'ndrangheta, costituita negli anni '70 nel nome di tre personaggi storici, tutti risalenti al Risorgimento, tutti massoni, tutti ottime conoscenze di Londra: Giuseppe Garibaldi, Giuseppe Mazzini e Giuseppe La Marmora.

Si è detto come l'avanzata delle mafie sia coincisa con l'espandersi dell'ordine "liberale", che fu pax britannica dalle guerre napoleoniche sino al 1945 e pax americana dal 1945 ad oggi. È un sistema internazionale entrato ormai in crisi irreversibile, schiacciato dalla crisi del capitalismo anglosassone e dall'emergere di nuove potenze. Lo sfaldamento dell'egemonia angloamericana dovrebbe essere sfruttato per liquidare anche quelle società segrete paramassoniche che da due secoli corrodono il Meridione e l'Italia, impedendo di sfruttarne l'enorme potenziale come ponte naturale tra Europa ed Asia.


S.M.O.F. (Paladini Antisistema Controllati Ndr)


La carta si riferisce, in particolare, ad Alex Jones e Ron Paul che, negli U.S.A., fungono da paladini antisistema ma che in realtà, essendo entrambi ricattabili o comunque controllati, non hanno apportato alcun miglioramento significativo alla controinformazione o alla politica negli Stati Uniti. Ron Paul, nella carta, simboleggia i rappresentanti dei partiti controllati, che fingono di fare opposizione per intercettare il malcontento dell'elettorato. Analizzando l'altra metà di Tangentopoli ed i suoi protagonisti, vale a dire Umberto Bossi, Gianfranco Miglio ed i progetti secessionistici, ci si può facilmente accorgere che anche in Italia le potenze marittime (USA e GB) hanno portato avanti il loro diktat, schermati da partiti minoritari "di protesta" totalmente asserviti alle politiche di Washington.

Ogni fase politica della Repubblica italiana è stata scandita da un partito "di protesta", funzionale agli interessi dell'establishment atlantico: si comincia con L'Uomo Qualunque di Guglielmo Giannini per terminare col Movimento 5 Stelle di Gianroberto Casaleggio, passando per il Partito Radicale di Marco Pannella e la Lega Nord di Umberto Bossi. Fino alla recente svolta nazionalista, filorussa ed anti-euro, il Carroccio è infatti stato uno dei tanti prodotti di Washington e Londra, schierato su posizioni "thatcheriane" ed europeiste. Nei primi anni '90 la Lega Nord avrebbe dovuto essere lo strumento per attuare un ambizioso disegno geopolitico: la frantumazione dello Stato unitario e la nascita di una confederazione di tre "macroregioni", così da cancellare l'Italia come attore del Mar Mediterraneo. Il ruolo della Lega Nord durante Tangentopoli e la figura, determinante, di Gianfranco Miglio.

Non si muove foglia che Washington non voglia: anche in Padania

La democrazia liberale è simile al mercato dei beni di consumo: ogni segmento della domanda deve essere coperto, l'offerta deve essere costantemente rinnovata e nuovi prodotti possono essere lanciati grazie ad un'adeguata campagna pubblicitaria. Nel caso della politica, i beni di consumo non sono ovviamente bibite, detersivi o dolciumi, bensì i partiti. L'abilità di chi tira i fili della democrazia consistente nel rifornire gli scaffali della politica di partiti giusti, al momento giusto: ad ogni tornata elettorale, i votanti acquisteranno i loro prodotti preferiti, con grande soddisfazione di chi controlla il grande supermercato della democrazia.

C'è un segmento del mercato politico particolarmente interessante, molto ingrossatosi negli ultimi anni di crisi economica e sociale: i partiti di protesta. La loro origine non è recente e risale agli albori della Repubblica Italiana, quando Washington e Londra foggiarono per l'Italia una singolare democrazia, dove la seconda forza politica del Paese, il PCI, era esclusa de iure dal governo.

È per ovviare a questo opprimente immobilismo, che un po' stona con le logiche del mercato, che in 70 anni sono state immesse diverse sigle per intercettare il malcontento dell'elettorato e la domanda di cambiamento: si comincia, prima delle elezioni del 1948, con l'Uomo Qualunque di Guglielmo Giannini e si termina oggi con il Movimento 5 Stelle di Davide Casaleggio. Sia Giannini che Casaleggio sono, incidentalmente, inglesi da parte materna. Tra i due estremi, bisogna annoverare anche il Partito Radicale di Marco Pannella, che prestò non pochi servigi all'establishment atlantico: la campagna per le dimissioni del presidente Giovanni Leone, quella per l'aborto ed il divorzio, i referendum del 1993 contro "la partitocrazia" e "lo Stato-Padrone", etc. etc. C'è, infine, il caso della Lega Nord, nata e cresciuta nei travagliati primi anni '90, nutrendosi dei voti in uscita dal PSI e soprattutto dalla DC.

Ma come? Anche il folkloristico Carroccio, i raduni di Pontida, il dio Po ed il leggendario Alberto da Giussano, sono un prodotto dell'establishment atlantico?

La risposta, come vedremo nel proseguo di questa sezione, è affermativa. È una verità che probabilmente spiazzerà molti leghisti della prima ora, indispensabile però per capire, ad esempio, perché Umberto Bossi, padre-padrone della primigenia Lega Nord, contesti la recente svolta nazionalista, anti-euro e filorussa di Matteo Salvini, deciso a trasformare (con esiti incerti) il Carroccio nella versione italiana del Front National: "Lega, Bossi chiede il congresso: La base è stufa di Salvini" [67], "Bossi: La Lega nazionale morirà, Salvini al Sud crea solo caos" [68], "Attacco frontale di Bossi al segretario: secessione, il resto sono chiacchiere" [69]. Bruxelles è sempre stata ed è tuttora il faro di Umberto Bossi, sebbene il suo obiettivo fosse agganciarsi all'Unione Europea non attraverso l'Italia, ma tramite la "Padania", in ossequio a quella "Europa delle macroregioni" tanto cara all'establishment atlantico. Smembrare gli Stati nazionali per sostituirli, al vertice, con un governo sovranazionale e, alla base, con una costellazione di cantoni, regioni e feudi: l'oligarchia libera di comandare indisturbata su 500 milioni di persone ed i paesani appagati delle loro effimere autonomie.

La storia della Lega Nord è indissolubilmente legata al crollo del Pentapartito ed alle manovre, iniziate con la firma del Trattato di Maastricht, per traghettare l'Italia verso la nascente Unione Europea a qualsiasi costo: vergognose privatizzazioni, saccheggi del risparmio privato, attentati terroristici e giustizialismo spiccio. Studiare l'origine della Lega Nord significa quindi approfondire l'analisi dell'infamante biennio 1992-1993 che travolse la Prima Repubblica e forgiò la Seconda, dove Umberto Bossi ha giocato un ruolo di primo piano.

La Lega Nord nasce ufficialmente nel febbraio del 1991, come federazione della Lega Lombarda, della Liga Veneta, del Piemont Autonomista e dell'Union ligure: esula dalla nostra analisi, ma chi volesse indagare sul periodo proto-leghista, scoprirebbe quasi certamente che anche questi movimenti autonomisti nascono nel medesimo humus massonico-atlantista da cui germoglierà poi il Carroccio. È sufficiente dire che la Liga Veneta, certamente la lega più radicata ed "antica", risalendo ai primi anni '80, compie i primi passi presso l'istituto privato linguistico Bertrand Russel di Padova, dove nel 1978 è istituito un corso di storia, lingua e civiltà veneta. Chi volesse scavare più indietro ancora, potrebbe riallacciarsi alla lunga serie di attentati destabilizzanti, di matrice autonomista e secessionista, che colpiscono tra gli anni '50 e '60 il Nord-Est dove, è bene ricordarlo, la concentrazione delle forze armate angloamericane è più alta che in qualsiasi altra parte dell'Italia continentale (Camp Ederle ed Aviano). L'idea di superare le leghe su base "etnica" e di federarle in un'unica Lega allargata all'intero Nord, ribattezzato all'occorrenza come "Padania", è comunque ufficialmente attribuita ad Umberto Bossi.

È però legittimo chiedersi se il parto del Carroccio sia effettivamente naturale e se "il Senatur" (titolo che Bossi si conquista nel 1987 entrando in Senato) ne sia effettivamente l'autentico padre, oppure se, come nel caso del Movimento 5 Stelle, dietro la genesi della Lega Nord non si nasconda una regia molto più sofisticata ed altolocata. Diversi elementi fanno propendere per la seconda ipotesi, declassando Umberto Bossi al ruolo di capo carismatico di facciata, di semplice tribuno e di arringatore: la stessa funzione, per intendersi, svolta da Beppe Grillo nel M5S. Siamo infatti nel febbraio 1991, il muro di Berlino è crollato da due anni e l'Unione Sovietica collasserà entro pochi mesi: l'oligarchia atlantica ha già stilato i suoi piani per il "Nuovo Ordine Mondiale" che, calati nella realtà italiana, significano l'abbattimento della Prima Repubblica, l'archiviazione della DC e del PSI, lo smantellamento dell'economia mista e, se possibile, anche un nuovo assetto geopolitico per la penisola. Da attuare attraverso la Lega Nord e parallele leghe indipendentiste in Meridione e sulle isole.

L'accoglienza che la grande stampa anglosassone riserva al neonato Carroccio, simile a quella che il Movimento 5 Stelle riceverà a distanza di 15 anni, non lascia adito a dubbi circa l'interessamento che Londra e Washington nutrono per la neonata formazione nordista: il 4 ottobre 1991 il Wall Street Journal definisce la formazione di Umberto Bossi come "il più influente agente di cambiamento della scena politica italiana", nel gennaio 1992 il settimanale statunitense TIME definisce Bossi come il leader più popolare e temuto della politica italiana, il 28 marzo 1992 il settimanale inglese The Economist, megafono della City, accomuna la Lega Nord al Partito Repubblicano di Ugo La Malfa, definendolo come "l'unico fattore di rinnovamento nel decadente panorama politico italiano". Sono le stesse settimane in cui Mario Chiesa, esponente socialista e presidente del Pio Albergo Trivulzio, è arrestato per aver intascato una bustarella: è il primo atto di quell'inchiesta giudiziaria, Mani Pulite, destinata a travolgere il Pentapartito e la Prima Repubblica.

Non c'è dubbio che la Lega Nord debba "completare", nei piani angloamericani, l'inchiesta di Tangentopoli: il pool di Mani Pulite è incaricato di smantellare la DC ed il PSI, mentre il Carroccio ha lo scopo di intercettare i voti in fuga dai vecchi partiti prossimi al collasso. Il trait d'union tra il palazzo di giustizia milanese e la Lega Nord è fisicamente incarnato dal console americano Peter Semler: il funzionario statunitense che alla fine del 1991, un paio di mesi prima dell'arresto di Mario Chiesa, "incontra" Antonio di Pietro nei suoi uffici per discutere delle imminenti inchieste giudiziarie. Lo stesso funzionario che, quasi contemporaneamente, "incontra" i dirigenti della Lega Nord. Ha affermato Semler in un'intervista a La Stampa del 2012 [70]:

    "Ricordo che un primo gennaio (del 1992, Ndr) ebbi un pranzo con due leader della Lega e quello che mi colpì di più era un ex poliziotto, ex militare. Giocammo al golf club di Milano e mi dissero: "Cambierà tutto". Ma a Roma Secchia continuava a dirmi: "Basta perdere tempo con queste storie".

C'è da scommettere che non siano stati i due leader della Lega Nord ad avvertire il console americano che tutto sarebbe cambiato, bensì l'opposto. Il Carroccio, infatti, con la sua corrosiva e talvolta violenta retorica contro la partitocrazia, la vecchia classe dirigente della Prima Repubblica, lo Stato clientelare ed assistenzialista (si ricordi il cappio sventolato nel 1993 a Montecitorio, per "appendere" i politici corrotti), è parte integrante della manovra angloamericana per smantellare il PSI e la DC.

Perché, però, l'attacco è sferrato "su base regionale", attraverso una formazione che inneggia alla Padania onesta e laboriosa, contro la Roma corrotta e ladrona, sede di "un Parlamento infetto"? Perché la stessa funzione non è assolta da un partito di protesta "nazionale", come il Movimento 5 Stelle? Compito della Lega Nord è anche quello di attuare il piano geopolitico che l'establishment atlantico ha in serbo per l'Italia in questa drammatica fase della vita nazionale: passare dall'Italia unita all'unione, o confederazione, di tre macroregioni. La Repubblica del Nord (o Padania), una repubblica del Centro ed una del Sud: è il periodo, infatti, delle "stragi mafiose" e Cosa Nostra ed il Carroccio sembrano lavorare all'unisono (d'altronde, la regia a monte è comune) per ritagliarsi ognuno il proprio feudo, cannibalizzando lo Stato nazionale.

Veniamo così ad una figura chiave della Lega Nord delle origini, il personaggio politico che avrebbe dovuto essere "la mente" del processo di secessione della Repubblica del Nord: Gianfranco Miglio (1918-2001). Allievo del filosofo liberale Alessandro Passerin d'Entrèves (a lungo docente all'Università di Oxford e quella di Yale) e del giurista Giorgio Balladore Pallieri (primo giudice italiano alla Corte europea dei diritti dell'uomo), professore all'Università Cattolica di Milano, teorizzatore del decisionismo, studioso del federalismo ed ascoltato consulente in materia di riforme costituzionali, "giacobino di destra", Gianfranco Miglio è un intellettuale molto gettonato dai politici e dagli alti manager della Prima Repubblica in cerca di consigli: comincia coll'assistere Eugenio Cefis (presidente dell'ENI dal 1967 al 1971 e della Montedison dal 1971 al 1977), per poi diventare consulente del premier Bettino Craxi.

Nei tumultuosi anni che seguono la caduta del muro di Berlino, il professor Miglio compie una spettacolare e singolare metamorfosi: nel giugno del 1989, constatata la precarietà delle finanze pubbliche e del panorama politico italiano, suggerisce nientemeno che "sospendere le prove elettorali per un certo periodo, dar vita a un lungo Parlamento, bloccare il ricambio parlamentare, che so, per 8-10 anni." [71], affidando quindi poteri speciali al Pentapartito per fronteggiare le emergenze. Dopo nemmeno due anni, Miglio è invece diventato "l'ideologo" della costituenda Lega Nord ed il più severo e spietato censore della partitocrazia, dello Stato parassitario e della deriva mafiosa del Meridione: è difficile spiegare questo repentino cambiamento ed il suo "affiancamento" a Umberto Bossi, se non come un'operazione studiata a tavolino, concepita da quegli "ambienti liberali ed anglofoni" che Miglio frequenta sin dalla gioventù.

Gianfranco Miglio è l'architetto di quelle riforme costituzionali che dovrebbero scardinare l'assetto geopolitico dell'Italia, servendosi della Lega Nord e di Umberto Bossi come semplici grimaldelli. Esisterebbero, secondo il professore, due Italie: una europea, da agganciare alla nascente Unione Europea, ed una mediterranea, da abbandonare alla deriva verso il Levante ed il Nord Africa. Lo Stato unitario ha fatto il suo tempo e sulle sue macerie bisogna edificare uno Stato federale, o meglio ancora confederale, costruito da tre entità separate: una Repubblica del Nord, una del Centro ed una Sud. Al governo centrale della neo-costituita Unione Italiana, spetterebbero soltanto la difesa esterna e parte della politica estera ("perché una certa autonomia in questo campo dovrà spettare ai singoli membri della federazione"). Il disegno sottostante alle ricette di Miglio è chiaro: sfruttare l'inchiesta di Tangentopoli che sta sconquassando la politica, il crollo del Pentapartito, la strategia della tensione e l'emergenza finanziaria, per cancellare l'Italia unitaria come soggetto geopolitico. Un'Italia che, con Enrico Mattei, Aldo Moro e le politiche filo-arabe di Bettino Craxi e Giulio Andreotti, ha dimostrato di poter infastidire gli angloamericani nello strategico bacino mediterraneo.

Le elezioni politiche del 5 aprile 1992 vedono la Lega Nord raccogliere una discreta percentuale dei voti in uscita dalla DC e dal PSI: in Lombardia il Carroccio raccoglie il 23% delle preferenze, ad un solo punto dai democristiani, ma si ferma all'8,65% a scala nazionale e le varie leghe del Sud non decollano. "Non è andata così bene, dovevamo essere determinanti" commenta Bossi: già, perché la secessione della Repubblica del Nord dal resto dell'Italia, implica una forza elettorale che la Lega Nord, all'atto pratico, dimostra di non avere. I 55 deputati e 25 senatori sono comunque un prezioso patrimonio, utile per portare a compimento la demolizione della Prima Repubblica ed il rapido smantellamento dell'economia mista, come auspicato dai croceristi del Britannia.

Non c'è una singola mossa del Carroccio, infatti, che si discosti dall'agenda che l'establishment atlantico ha in serbo per l'Italia: la Lega è decisiva per bloccare l'elezione di Giulio Andreotti al Quirinale, si schiera contro l'ipotesi di una presidenza del Consiglio affidata a Bettino Craxi, è favorevole ad un aggressivo piano di privatizzazioni ("Gli economisti di Bossi credono nella Thatcher [72]" titola la Repubblica, riportando che la Lega vuole "privatizzare tutte le imprese di Stato dall' Iri all' Eni all' Efim. Senza risparmiare le banche pubbliche come Bnl, Comit, Credito italiano, San Paolo di Torino. Largo ai privati anche per le Ferrovie, l' Enel e le Poste"), è fautrice di un liberismo spinto contrapposto allo Stato-padrone, definito ovviamente come "parassitario, bizantino, romano-centrico, corrotto, ladrone, etc. etc. Non solo, il Carroccio gioca di sponda con "le menti raffinatissime" che stanno attuando una spietata strategia di destabilizzazione per meglio saccheggiare i risparmi degli italiani e l'industria pubblica: mentre i servizi segreti "deviati" piazzano bombe in tutt'Italia e gli squali dell'alta finanza si accaniscono sui Btp, la Lega Nord getta altra benzina sul fuoco, incitando allo sciopero fiscale, sconsigliando di comprare i titoli di Stato, evocando la separazione del Sud mafioso dal resto dell'Italia, gridando all'imminente secessione della Padania.

"Ma se la casa crolla, il Nord deve andarsene..." è un sintomatico titolo di La Repubblica del 31 dicembre 1992 [73]. Nell'articolo il professor Miglio dipinge un futuro a tinte fosche per l'Italia e pronostica un prossimo drammatico peggioramento della situazione economica, anticamera della secessione della Repubblica del Nord: "Se si arrivasse a non riuscire a controllare più niente, se non si riuscisse più ad avere i servizi, se la sicurezza e le garanzie crollassero è evidente che ciascuno penserebbe a se stesso. Probabilmente anche il Sud se ne andrebbe per conto suo". Le parole dell'ideologo del Carroccio sono musica per chi, a Washington e Londra, lavora per tenere l'Italia in costante fibrillazione.

Siamo ora nel 1993 e l'inchiesta di Mani Pulite ha sortito gli effetti sperati: la DC ed il PSI, i vincitori morali della Guerra Fredda, sono stati spazzati via dal pool di Milano. L'unico grande partito risparmiato dalle inchieste giudiziarie è stato il PCI, riverniciato ora come PDS, cui gli angloamericani contano di affidare il governo facendo affidamento sulla sua ricattabilità (nella Russia allo sfascio si comprano gli archivi del KGB a prezzo di saldo). Se dalle prossime elezioni uscisse un Nord saldamente in mano al Carroccio ed un Centro-Sud in mano alla sinistra, si concretizzerebbe lo scenario di una secessione de-facto della Padania dal resto dell'Italia.

Per la Lega Nord non resta, a questo punto, che ricevere la benedizione "ufficiale" da parte dell'establishment atlantico, dopo lunghi rapporti reconditi ed opachi: il 18 ottobre 1993 una delegazione del Carroccio si reca in visita al Quartiere generale della NATO a Bruxelles ed il 23 ottobre è la volta degli Stati Uniti, con una prima tappa a New York per incontrare il milieu dell'alta finanza e di Wall Street ed una seconda tappa a Washington, dove sono in programma pranzi di lavoro con deputati e senatori repubblicani ed esponenti della National Italian American Foundation (sic!) [74].

In questo quadro, "la discesa in campo" di Silvio Berlusconi annunciata nell'autunno del 1993 è un evento non previsto dall'establishment atlantico: la neonata Forza Italia si impone alle elezioni politiche del 27-28 marzo 1994, drenando buona parte dei voti in uscita dal PSI e dalla DC ed imponendosi come primo partito del Nord Italia. La Lega Nord, ferma all'8% delle preferenze su scala nazionale, dimostra ancora di non avere una forza sufficiente per strappare la secessione della Padania ed attuare gli ambiziosi cambiamenti costituzionali sognati da Gianfranco Miglio. Forte di 122 deputati e 59 senatori, la Lega Nord dispone però di un manipolo di parlamentari sufficienti per staccare la spina al primo governo Berlusconi, di cui è entrata a far parte nella cornice del Popolo della Libertà. Riemerge quindi la natura della Lega Nord come strumento politico nelle mani di Londra e Washington: quando Berlusconi, durante la conferenza mondiale dell'ONU contro la criminalità organizzata, riceve un invito a comparire dal pool di Milano, Umberto Bossi completa l'operazione per disarcionare il Cavaliere, togliendogli la fiducia ed avvallando "il ribaltone" che insedia l'ex-Bankitalia Lamberto Dini a Palazzo Chigi.

Si marcia così rapidamente verso nuove elezioni ed ancora una volta il Carroccio agisce in perfetta sintonia con l'establishment atlantico: scegliendo di correre da solo e di non rinnovare l'alleanza col Popolo della Libertà, spiana la strada ai governi di Romano Prodi e Massimo D'Alema: seguirà "il Contributo straordinario per l'Europa", la scandalosa privatizzazione della Telecom, "la marchant bank" di Palazzo Chigi, la liquidazione finale dell'IRI, il vergognoso cambio di 2.000 lire per ogni nuovo euro, l'avvallo alle operazioni militari della NATO contro la Serbia. E così, mentre quel che rimane dell'economia mista è smantellato a prezzi di saldo ed i risparmi degli italiani sono immolati sull'altare della moneta unica, Umberto Bossi continua a blaterare di secessione, di camicie verdi, di milizie armate del Nord, di rivolta fiscale, etc. etc.: utile idiota manovrato dall'oligarchia atlantica. La Lega Nord tornerà al governo solo dopo le elezioni politiche del 2001, quando i giochi "europei" sono ormai fatti.

Le vicende della Lega Nord, di Gianfranco Miglio e di Umberto Bossi sono legate a doppio filo alla nascita della Seconda Repubblica, alla perdita di qualsiasi sovranità nazionale ed all'avvento della moneta unica. Il Senatur ne è in fondo perfettamente cosciente e, intervistato dal Corriere della Sera, nel mese di marzo del 2017, ha affermato [75]:

    "Se venisse giù l'euro, verrebbe giù tutto, una situazione che nessuno saprebbe gestire. Tra l'altro, pagheremmo di più le materie prime, cosa che per un Paese di trasformazione come l'Italia sarebbe un disastro. Berlusconi parla di doppia moneta, il che è una presa per il culo. Ma non è che Berlusconi non sia in grado di capire le cose..."

Sono le ultime battute dell'ennesima "stampella del potere".

Se si considera invece il giornalista Alex Jones, la carta in Italia si riferirebbe a personaggi discutibili come il filosofo Diego Fusaro che, con i suoi discorsi articolati ma vani, non scalfisce nemmeno superficialmente il sistema..Ecco cosa scrive un anonimo dal nickname altisonante su una Rete sociale a proposito del filosofo erudito:
"Questo qua è un altro cazzaro che dice le cose a metà e confonde i mazzi coi cazzi. Di quelli che stanno ancora a ciancicare e a slogheggiare invettive fiume in sequele di pseudoparoloni in stile rivendicazione fiume dal megafono, da sessantottino in ritardo di 40 anni. Un altro atteggiato sagliuto cortigiano, mi pare strano che tu, Tommaso Minniti, non abbia riconosciuto il cialtroncello. Di quelli che ancora vanno cianciando le stronzate sul capitale e sul capitalismo, ciancicandosi la stecchetta degli occhiali per darsi un tono, l'avessi mai sentito dire che Marx era stato pagato dai Rothschild, che il capitale non l'aveva scritto lui, che il capitalismo è stato soltanto una conseguenza della fondazione della banca d'Inghilterra (eh si che nel capitale, che nessuno ha mai preso il disturbo di leggersi e soprattutto Fusaro, questa cosa viene abbondantemente spiegata nel capitolo "l'accumulazione originaria"). Va soltanto in giro a fare il guitto prezzolato, di quelli che stanno anche a darsi l'aria da filosofi intellettuali di questo cazzo, e concionare con paroloni roboanti per arringare la plebaglia semianalfabeta, di quelli del "senti come parla bene aho, si vede che ha studiato". Lo ascolti e non dice un cazzo, quando sta per arrivare quasi al punto ci gira intorno...non è casuale, ma non farebbe nemmeno la differenza. Soltanto che questa gentaglia ce l'ho avuta fra le palle per anni e anni anche a scuola e all'università, e ad intuito ho sempre pensato che fossero dei tromboni tonitruanti, e avevo ragione: non dicono un cazzo, hanno solo l'eloquenza del caccavellaro erudito, del bimbominkia cresciutello che cerca di stupire il prossimo col vocabolario inutilmente forbito...non fa parte anche un cazzaro come questo del contributo alla cosiddetta dissonanza cognitiva? Mescolare le puttanate con le cose quasi giuste non è peggio del dire solo stronzate? Non è proprio quello che segna la marcata e pericolosa differenza tra lo sbagliato e il deliberatamente falso? Scusa lo sfogo, è che le facce di cazzo come questo saputello convinto ed autoreferenziato mi hanno sempre dato fastidio. In una discussione sul signoraggio, in passato, gli ho anche sentito redarguire il suo interlocutore con la frase: lei non ha letto il mio libro. Questa cacatina secca..l'ho visto anche fare pesce e pesce con Borghi e Bagnai, e ho detto tutto. Che andassero a fare in culo, probabilmente rispetto ai suoi trascorsi da liceale vessato e preso per il culo, avrà conseguito finalmente qualcosa di utile: che forse, scopa, come diceva Alberto Sordi. Scusami ancora lo sfogo
Tommaso Minniti Eh, quello già la gente non capisce manco il cazzo, tu vuoi pure fargli fare il percorso settimana enigmistica? E quando se ne viene a capo? Costui, senza ombra di dubbio, fa parte di quelli che tentano di veicolare il dissenso su un binario morto. Si è pure rifatto il look, che qualche visagista look maker gli avrà detto che pareva la minchia, e non aveva abbastanza presa...che a istinto la gente magari lo avrebbe pesato per il coglione che è...scusami, non ce l'ho con te, è solo che a quest'ora sto abbastanza nervoso
Il filosofo di questa ceppa di cazzo, non lo metterei nemmeno a pulire i cessi. Sandro L., ci crederei se non si ammantasse della solita cialtrona autoreferenzialità e sedicenza. A me i coglioni col poster di Marx e la maglietta di Che Guevara (che considerato il personaggio sarebbe come se fra 50 anni la gente andasse girando con la maglietta con la faccia di Lapo Elkann) mi hanno rotto i coglioni oltre che avermi fatto perdere tempo. E quella foga e quella ferocia, come al solito degna di miglior causa, quelle intemerate affabulatorie e slogheggianti con cui si sono riempiti il tempo e la bocca, per come la vedo io, sono una aggravante. Il fatto che personaggi come il suddetto, abbiano il microfono e la possibilità di divulgare, mescolando le cazzate con le cose serie, ti assicuro, non  un caso. Rientrano sempre nel discorso della dissonanza cognitiva di cui ci parlava un nostro amico in un celebre video...
Tommaso Minniti Si ho compreso il discorso, il mio non voleva essere un attacco, mi dispiace se ho dato l'impressione di essere sarcastico. Il video qui sopra però, mi dispiace contraddirti, dissona eccome, sia in se sia dal contesto generale in cui di solito si muove il personaggio in questione. È soltanto che non mi vanno giù i cazzari come il professor filosofo di cui sopra, che ancora rimarca parlando di destra e sinistra, una dicotomia che non è mai esistita, creata a tavolino dagli stessi personaggi (i soliti, quelli che stampano e prestano) per tenerci come al solito impegnati a fare il ballo dei pezzenti. Non è mai esistita alcuna ideologia spontanea, è sempre stato tutto abilmente e volutamente indotto per creare una comoda disunione, il classico e banalissimo dividi et impera, che ormai ce lo mette nel culo da tempo immemore. Non è per volemosebenismo, sia chiaro, ormai quel che è fatto è fatto. È soltanto che, per come stanno le cose, mi resta soltanto l'amarezza e lo sputare veleno. Ti chiedo scusa se ti ho contraddetto su un tuo post, a casa tua praticamente. Non ce l'avevo con te, rispetto e amo troppo il tuo lavoro e i tuoi contenuti per poter anche soltanto minimamente pensare di criticarti. Per il resto, ti assicuro, la faccia in passato ce l'ho messa e la cosa mi ha danneggiato, nel mio piccolo (e non posso permettermi nemmeno quel mio piccolo di danno e nocumento). Comunque non ti perdi niente, ho una faccia di cazzo e un nome assolutamente irrilevante, di un non addetto ai lavori e di uno che non ha niente a che fare con l'ambiente, ne dal punto di vista divulgativo, ne giornalistico, ne professionale e soprattutto trollesco. Quando ascolto certe invettive da parte di saputelli come Fusaro mi piace semplicemente stare lì a gridare, come un pazzo scappato dal manicomio, che non solo il re è nudo, ma ha anche uno sturalavandini infilato su per il culo. Massimo rispetto a te, in ogni caso, che mi hai ispirato su un bel pò di cose, e non te ne sarò mai abbastanza grato...
Quod erat demonstrandum, pari pari. Se capisci quello che dice e non capisci che è sbagliato...un po' come mettere una bella coccarda su una pila di merda.

Crede che il capitalismo sia la causa o lo scopo, quando invece è soltanto il mezzo e la conseguenza."


Morte A Tutti I Fanatici


La carta "Morte A Tutti I Fanatici" si riferisce agli strani incidenti, più o meno gravi, accaduti ad esponenti politici di rilievo che in genere appartengono a partiti politici che contrastano i movimenti migratori.
Di rado le vittime sono invece esponenti dei partiti liberal e verrà di seguito spiegato perché i poteri atlantici talvolta preferiscono ricorrere al sacrificio delle proprie pedine per conseguire determinati fini (come nel caso della deputata Cox e della giornalista Daphne Caruana Galizia).

L'omicidio Cox svela il vero volto del potere

Precipita la situazione politica ed economica in Occidente ed il potere agonizzante si dibatte furioso: il momento è davvero unico perché mai come ora è così visibile la sua vera natura, talmente cinica e machiavellica da seminare morti con cadenza quasi giornaliera, prima delle grandi mobilitazioni sindacali francesi od al culmine della campagna referendaria britannica. L'omicidio della deputata Jo Cox, uccisa da un presunto estremista di destra a distanza di pochi giorni dal referendum inglese sull'Unione Europea, è emblematico: è l'epifania del potere, una grande operazione verità sull'indole delle élite euro-atlantiche. Il cadavere è ancora caldo ed i media già scrivono "La violenza allontana la Brexit".

Ecco il volto del potere, cinico e spietato

C'è chi sostiene che si conosca la vera natura di una persona solo nei momenti critici e di grandi avversità: solo allora, quando cadono freni inibitori e costrizioni morali, emerge la vera indole degli uomini.

Anche il potere è esercitato da semplici comuni uomini, poco importa se siedono nel consiglio d'amministrazione di una banca d'affari o nel direttorio della Banca Centrale Europea, e non sfuggono pertanto a questa regola: ne deriva che in questi mesi, un periodo drammatico per le oligarchie euro-atlantiche, è conoscibile finalmente il vero volto del "Potere". Sia chiaro: di occasioni per intuire di che pasta fossero fatti i "padroni del vapore" ce ne sono state in abbondanza anche in passato, ma mai come ora si hanno a disposizione così tanti spunti.

Ora che l'Unione Europea è vicina al collasso, ora che le banche centrali hanno esaurito le munizioni, ora che l'ondata "populista" si sta gonfiando, le oligarchie euro-atlantiche mostrano finalmente il loro viso: e non è un bel vedere. Emerge con forza il cinismo, le pulsioni stragiste, il nichilismo, il più basso machiavellismo delle élite atlantiche. E capita spesso, sempre più spesso, con cadenza quasi giornaliera: strage sabato sera in Florida, duplice assassinio lunedì in Francia, omicidio politico giovedì pomeriggio nel Regno Unito.

Per giocare così sporco e così pesante, ci deve essere davvero del panico nella stanza dei bottoni.

Già il duplice assassinio del 13 giugno a Magnanville, due poliziotti uccisi da un terrorista "dell'ISIS" alla vigilia della grande manifestazione dei sindacati francesi contro la riforma del lavoro, era stato un intervento a gamba tesa troppo eclatante, troppo clamoroso, perché chiunque, munito di un minimo di obbiettività, non lo riconducesse facilmente alla classica strategia della tensione. Logica avrebbe voluto che non si forzasse ulteriormente il gioco. Ed invece, a distanza di nemmeno 72 ore, c'è stato un salto di qualità: un'operazione così maldestra, un intervento falloso così evidente, un imbroglio al tavolo da gioco così spudorato, che farebbe sorridere se non si parlasse di vite umane.

Ci riferiamo, ovviamente, all'assassinio della deputata laburista inglese Jo Cox, avvenuto ad una settimana esatta dal referendum inglese sulla permanenza nel Regno Unito, referendum dove il fronte del "leave" è dato in testa da più sondaggi.

Riportiamo la cronaca, inquadrandola nel contesto generale.

Jo Cox, 42enne deputata laburista, laureata a Cambridge, per anni impiegata presso l'ong Oxfam, pacifista a tal punto da caldeggiare l'intervento militare britannico in Siria,[314] "astro nascente" del partito, europeista convinta, incarnava alla perfezione il modello della liberal muscolare o paladina bellicistica dei diritti umani, sul modello di Hillary Clinton.

La sciagurata deputata non doveva essere così preziosa per il partito laburista, se l'establishment liberal cui apparteneva l'ha giudicata più utile alla causa da morta che da viva. Giovedì 16 giugno, la Cox lascia la biblioteca pubblica dove ha incontrato gli elettori della sua circoscrizione a Birstall, nord dell'Inghilterra, e, scesa in strada, è aggredita da un uomo armato di una pistola artigianale e di un coltello da caccia. Tre colpi d'arma da fuoco ed una decina di coltellate sono fatali alla donna, dichiarata morta dai medici che le prestano il primo soccorso.[315] La narrativa del racconto, piuttosto semplice, prevede che la vittima sia il prototipo dell'elettore schierato per il "remain": donna, giovane, istruita, ben integrata nella società, sensibile alle tematiche sociali.

L'aggressore, l'uomo che secondo la ricostruzione di alcuni testimoni avrebbe infierito sulla Cox al grido di "Britain first!" (per inciso, nome anche di una formazione politica di destra che ha prontamente negato qualsiasi legame con l'assassino ed il crimine), rappresenta invece il modello "ideale" dell'elettore pro-Brexit: maschio, di mezz'età, disadattato, illetterato, razzista, antisemita. È, insomma, la parte più becera e sciovinista dell'Inghilterra, che prevarica con la violenza quella civile ed europeista.

Si tratta di Thomas Mair, 52enne, già sostenitore dell'organizzazione neonazista americana National Alliance, simpatizzante dei suprematisti bianchi dello Springbok Club, un'organizzazione "visceralmente ostile all'Europa", fabbricante artigianale d'armi ed ordigni grazie ai manuali acquistati per posta: questo è, almeno,  il profilo che ne danno i giornali basandosi sulle informazioni del Southern Poverty Law Center,[316] un'organizzazione statunitense che fornisce assistenza legale contro le discriminazioni razziali e monitora i gruppi razzisti negli Stati Uniti ("the premiere U.S. organization monitoring the activities of domestic hate groups and other extremists"[317]). È sul sito della Southern Poverty Law Center che, a distanza di poche ore dall'omicidio, sono pubblicati scontrini fiscali e ricevute (datate 1999) utili a dimostrare che Thomas Mair avesse acquistato in passato pubblicazioni neonaziste e volumi per costruire pistole rudimentali.[318]

Il parere fornito da parenti e conoscenti si discosta parecchio da questa versione: Mair è tranquillo, introverso ma educato, occupato in piccoli lavori di giardinaggio, "not violent and is not all that political", non violento e per niente politicizzato, secondo il fratellastro, che si definisce scioccato dell'accaduto,[319] come la maggior parte dei conoscenti di Thomas, o "Tommy".

Come conciliare questo profilo col precedente? Come può l'uomo che taglia il prato agli anziani vicini di casa, sparare alla Cox, per poi essere etichettato come "neonazi" dall'americana Southern Poverty Law Center? Bé, Thomas Mair ha alle spalle una "history of mental illness", una storia di disturbi mentali: è un'anima semplice e manipolabile, che si può facilmente circuire all'occorrenza, specie se il soggetto è sotto l'effetto di qualche sostanza stupefacente.

Apriamo qui una brevissima parentesi sugli omicidi politici, perpetrati o tentati da persone mentalmente instabili: restringendo il campo anche solo agli ultimi 30 anni, la storia è ricchissima di primi ministri o segretari di partito uccisi od aggrediti da malati di mente, che offrono ai mandanti il comodo paravento della pazzia, dietro cui nascondere veri e propri assassini politici.

Stoccolma, 1986: il carismatico primo ministro Olaf Palme, socialdemocratico, schierato su posizioni terzomondiste ed implacabile censore della politica estera statunitense, è ucciso con due colpi alla schiena esplosi, presumibilmente, da un alcolizzato e tossicodipendente. Colonia, aprile 1990: nel pieno della campagna elettorale, la prima della Germania riunificata, il leader della Spd, Oskar Lafontaine, fortemente critico dei metodi con cui la DDR è stata "fagocitata" dalla Repubblica Federale, è accoltellato più volte al termine di un comizio da una donna malata di mente. Si salverà nonostante le profonde ferite al collo.[320] Oppenau, Baden-Württemberg, ottobre 1990: Il ministro degli Interni Wolfgang Schaeuble, delfino di Helmut Kohl e vera "mente grigia" della riunificazione, è colpito da tre proiettili, sparati da un malato di mente sotto effetto di stupefacenti al termine di un comizio. Rimarrà paralizzato tutta la vita e, screditato dieci anni dopo dalla "Tangentopoli" tedesca, dovrà infine cedere la guida della CDU ad Angela Dorothea Kasner, alias "Merkel". Milano, 2009: al termine di un comizio elettorale Silvio Berlusconi è colpito al volto da un oggetto scagliato da un malato di mente. Alla Casa Bianca si è già installata l'amministrazione democratica decisa a sbarazzarsi del Cavaliere e, particolare significativo, Berlusconi esce dalla clinica in Provenza dove ha trascorso un periodo di degenza indossando un giubbotto col logo della Federazione Russa, evidenziando che ha protettori "di peso".

Nei sullodati esempi, persone con disturbi mentali sono impiegate per eliminare od intimidire esponenti politici d'intralcio alle oligarchie euro-atlantiche: non è certo il caso della sfortunata Jo Cox, figura di secondo piano del panorama politico inglese e perfettamente allineata all'establishment liberal. Nel caso della deputata laburista, l'assassinio non è il fine, bensì il mezzo: l'obbiettivo è, infatti, quello di sospendere la campagna elettorale inglese nel momento in cui i "leave" sono più dinamici ed agguerriti che mai, nella speranza che la pausa ridia fiato ai "remain" e sposti gli indecisi, scioccati dalla avvenuto, nello schieramento europeista.

La giornata sulle piazze finanziarie europee del 16 maggio, apertasi all'insegna del panico coll'affluire di nuovi sondaggi che confermavano il vantaggio del "leave", è letteralmente salvata dall'omicidio della Jo Cox: le perdite dei corsi azionari si arrestano alla notizia dell'aggressione della deputata e si dimezzano quando le agenzie battono la notizia della morte.

I titoli dei media dell'indomani sono capolavori di cinismo: "La violenza allontana Brexit, mentre le Banche centrali rassicurano le Borse" scrive il 17 maggio 2016 la Repubblica, asserendo che "per la prima volta da tempo i favorevoli alla permanenza nella Ue sarebbero in aumento: a spostare gli umori degli inglesi è stata la tragica uccisione della parlamentare laburista Jo Cox, assassinata in mezzo alla strada da un uomo che gridava slogan nazionalisti".

L'agenzia britannica Reuters non è da meno:[321]

"I sondaggi confermavano ancora ieri in vantaggio i consensi per la Brexit, ma gli ultimi tragici fatti potrebbero innescare un rapido cambio di scenario, a meno di una settimana dal voto: la campagna referendaria è stata sospesa e, secondo alcuni, l'emozione suscitata nel paese potrebbe far pendere nuovamente le intenzioni di voto a favore della permanenza."

Gli operatori di borsa calcavano intanto l'omicidio della Cox, lanciandosi in massicci acquisti sui mercati azionari che rimbalzano violentemente dopo sedute e sedute di ribassi: dell'umore dei mercati si fa interprete il Sole 24 Ore coll'impudente articolo di Leonardo Maisano, "Omicidio di Jo Cox, uno shock che potrebbe cambiare l'esito del referendum su Brexit".

Cambierà l'omicidio di Jo Cox l'esito del referendum?

I primi sondaggi, dopo il drammatico evento, sono stati pubblicati solo il giorno seguente, 18 maggio 2016, tuttavia, già durante il giorno in cui si è consumato l'omicidio, era possibile provare a dare una risposta basandosi sull'esperienza francese: la strategia della tensione che ha insanguinato l'Esagono per quasi 18 mesi non ha contribuito né a risollevare la popolarità di Hollande (che ha toccato in quelle settimane il minimo storico), né a placare le agitazioni dei sindacati, né a fermare l'avanzata dei "populisti".

Se i "leave" erano in testa prima dell'omicidio Cox, sono rimasti tali anche dopo. Ed è per questo motivo che non si possono escludere ulteriori colpi di scena prima dell'attuazione dellla fatidica Brexit.


Omicidio Caruana Galizia: la "Guerra Fredda" è tornata anche a Malta

Il braccio di ferro tra angloamericani e russi non ha risparmiato la piccola isola di Malta: un'autobomba è esplosa il 16 ottobre 2017, uccidendo la giornalista Daphne Caruana Galizia, finita recentemente sotto i riflettori grazie al filone maltese dei Panama Papers. Dalla sua indagine era emerso un presunto giro di tangenti ruotante attorno al premier laburista Joseph Muscat, costretto ad elezioni anticipate e poi rieletto: all'annuncio dell'assassinio di Caruana Galizia, i media hanno subito puntato il dito verso il "corrotto" governo laburista. La morte della giornalista è l'evoluzione dello scandalo Panama Papers: fallito il primo tentativo di defenestrare il premier Joseph Muscat, i servizi angloamericani tornano all'attacco , così che Malta abdichi alla propria sovranità e tenga i porti chiusi alle navi russe dirette in Siria.

Un attacco alla sovranità della Valletta

Decifrare la realtà, estrapolando la verità dal mare di propaganda alimentato dai media, è meno difficile di quanto si creda per chi abbia la capacità di sganciarsi dal contingente: il passato, più o meno remoto, è il principale alleato in questa ricerca. Imbattendosi in un omicidio politico, in un attentato, in un colpo di Stato, è necessario riallacciarsi ai fili della storia: ne scaturirà un'analisi che penetrerà i fatti, evitando passi falsi e illazioni fuorvianti. Il ragionamento vale anche per la cronaca del mese di ottobre del 2017: lunedì 16 ottobre 2017, la piccola isola di Malta è stata sconvolta dall'uccisione della giornalista Daphne Caruana Galizia, artefice di una recente inchiesta che ha portato La Valletta ad elezioni anticipate. Ci tocca, quindi, una breve ma interessante lezione di storia, che riguarda direttamente l'Italia.

L'isola di Malta, definita dal generale ingleseBernard Law Montgomery come "la chiave di volta del Mediterraneo", è strategica per il controllo del Mediterraneo e buona parte della nostra sconfitta in Nord Africa durante l'ultima guerra è riconducibile al mancato attacco di questa roccaforte inglese. Tra la fine degli anni ‘60 ed i primi anni ‘70, la potenza britannica entra in crisi irreversibile ed un numero crescente di Paesi reclama la propria indipendenza da Londra: a guidare la lotta per la piena sovranità di Malta è il premier laburista Dom Mintoff, che nel 1971 annulla gli accordi che concedono al Regno Unito la disponibilità delle basi navali. Mintoff, alla ricerca sia di libertà che di denaro liquido, avvia una spregiudicata politica estera che, allontanandolo dalla NATO, lo spinge tra i Paesi non allineati. A lungo la Libia di Muammur Gheddafi è il maggior "sponsor" del'isola.

Per sfruttare al massimo le potenzialità di Malta, Mintoff punta al riconoscimento internazionale della neutralità dell'isola: l'Italia democristiana ha tutto l'interesse a tenere la Valletta fuori dall'orbita inglese e, pertanto, sostiene apertamente i progetti del premier laburista, mettendogli a disposizione ingenti risorse finanziarie ed assistenza militare. L'assassinio di Aldo Moro (1978), mente di questo intraprendente piano, non affonda l'intesa italo-maltese e, l'8 settembre 1980, viene firmato l'accordo che impegna Roma a garantire la neutralità e l'indipendenza dell'isola: oltre a cospicui finanziamenti, La Valletta riceve anche aiuti nel settore della Difesa. Come ricorderà infatti l'ammiraglio Fulvio Martini nelle sue memorie,[322] è il SISMIche nei primi anni ‘80 contribuisce alla formazione dei servizi segreti dell'isola, fino a quel momento completamente dipendenti da Londra.

Mintoff, ora che ha ottenuto il formale riconoscimento della neutralità maltese, deve farla rendere: nel 1980 l'URSS apre la prima ambasciata sull'isola e, ferma restando la collocazione di Malta tra i Paesi non allineati, è avviata una proficua collaborazione tra Mosca e La Valletta, che mette a disposizione della flotta russa le cisterne di Has Saptan. L'affare si rivela molto proficuo e, nel 1984, Mintoff vola a Mosca per stringere nuovi accordi: gli efficienti cantieri navali maltesi sono aperti alla flotta sovietica per manutenzioni e riparazioni.

Ora, una fondamentale considerazione di natura logistica-militare: la neutralità di Malta e la disponibilità dei suoi porti come punto d'appoggio è una vera benedizione per la flotta sovietica, sottoposta a forti stress logistici nel Mediterraneo. L'URSS non dispone di basi navali nel Mare Nostrum, eccezion fatta per qualche punto d'appoggio in Egitto, Libia e Siria. Le navi da guerra russe, lasciata la Crimea ed attraversato il Bosforo, devono essere costantemente seguite da un numero uguale o superiore di battelli d'appoggio. Queste considerazioni, valide per gli anni ‘80, hanno maggior valore oggi: se è vero, infatti, che Mosca ha ampliato la sua base navale siriana di Tortosa, è altrettanto vero che i buoni rapporti con i Paesi nordafricani, stremati dalla Primavera Araba, non si sono ancora trasformati in nessuna concreta assistenza logistica.

Cade l'Unione Sovietica e, immediatamente, comincia l'allargamento di UE/NATO: nonostante l'ormai anziano Dom Mintoff si schieri contro l'ingresso della Valletta nell'Unione Europea (consapevole della vera natura di quest'ultima),[323] Malta entra nell'orbita di Bruxelles, sebbene rimanga fuori dal recinto dell'Alleanza Nordatlantica.

La Russia, nel frattempo, risale progressivamente la china e, dopo essere stata raggirata in Libia, avvallando un intervento militare che si è presto trasformato in un cambio di regime, decide di difendere a qualsiasi costo l'alleato siriano, finito nel mirino delle potenze occidentali (USA, GB, Francia, Israele e Germania) e di quelle sunnite (Turchia, Qatar, Arabia Saudita). L'invio, nell'autunno del 2015, di un corpo di spedizione in Siria, riversa nel Mediterraneo un numero di navi russe come non si vedeva dall'apice della Guerra Fredda. La flotta russa, concentrata nel Mar Baltico e nel Mare del Nord, deve circumnavigare l'intera Europa per raggiungere il teatro operativo: si torna così, come negli anni ‘80, al peso strategico di Malta per la Marina militare russa.

Come si può leggere nell'articolo "Russia's emerging naval presence in the Mediterranean" dell'emittente qatariota Aljazeera,[324] a più riprese, tra il 2014 ed il 2015, le navi da guerra russe attraccano sull'isola per rifornimenti. Più cresce il coinvolgimento russo in Siria, più il dispiegamento di navi sale (raggiunge il culmine nell'autunno del 2016, in concomitanza alla riconquista di Aleppo [325]), maggiore è l'importanza di Malta.

Che fare? Come convincere il premier laburista Joseph Muscat, al potere dal 2013, a chiudere i porti alle navi russe, aperti dal suo predecessore Dom Mintoff negli anni ‘80? Semplice, orchestrando uno scandalo mediatico che porti alla sua defenestrazione o, perlomeno, lo riconduca a più miti consigli.

Entra così in scena la giornalista Daphne Caruana Galizia, il cui recente assassinio è all'origine di questa sezione dell'articolo.

Caruana Galizia è la blogger che sviluppa in chiave maltese lo scandalo dei Panama Papers, uno scandalo, ricordiamolo, che nasce da un'inchiesta dell'International Consortium of Investigative Journalists (ICIJ), basato a Washington, avvalendosi del materiale "trafugato" dallo studio legale panamense Mossack Fonseca & Co., in storici rapporti con la CIA.[326] I Panama Papers sono il mezzo con cui i gli Stati Uniti spargono fango su tutti i nemici o sudditi ribelli del globo terracqueo, compreso il governo della piccola, ma strategica, Malta.

Secondo Curuana Galizia (il premier etichetterà lo scoop come fandonie), la nomenclatura dell'Azerbaijan avrebbe versato alla moglie del primo ministro una tangente in cambio di un proficuo accordo energetico stipulato tra i due Paesi, servendosi di una società panamense. Lo scandalo deflagra come una bomba nella piccola Malta: migliaia di persone scendono in piazza per protestare nell'aprile 2016 e, per un attimo, il governo sembra vicino alla caduta.[327]

Il premier Muscat capisce il "messaggio" inviatogli dai servizi angloamericani?

Si direbbe di sì, perché, nell'autunno del 2016, a distanza di pochi mesi dallo scandalo, La Valletta si rimangia la storica collaborazione con Mosca, avviata da Dom Mintoff 30 anni prima. Dopo la Spagna (anch'essa colpita dai Panama Papers), anche Malta nega alle navi russe l'attracco sull'isola per rifornimenti, scatenando la rabbia di Mosca, scioccata dal voltafaccia di un amico di vecchia data. "George Vella: Russian ships will not refuel in Malta"[328] scrive la stampa locale il 27 ottobre 2016: il ministro degli Esteri maltese nega l'ingresso in porto alle navi russe, asserendo che la Valletta non vuole essere complice di alcun aiuto al dittatore Bashar Assad. Un cambio di strategia di 180 gradi rispetto al "non allineamento" degli anni ‘70 e ‘80!

Nonostante Malta abbia ceduto alle pressioni angloamericane, il governo è ormai irreparabilmente compromesso dallo scandalo dei Panama Papers: nella primavera del 2017 sono quindi indette elezioni anticipate. La giornalista Caruana Galizia confida alla rivista americana-tedesca Politico, da cui è stata eletta tra le 28 persone più influenti dell'Unione Europea,[329] di temere per la propria sicurezza. Potrebbe addirittura lasciare il Paese nel caso in cui i laburisti vincessero nuovamente le elezioni. Dal canto loro, i servizi segreti angloamericani, artefici del terremoto politico, "avvertono" La Valletta che le imminenti elezioni potrebbero essere inquinate da Mosca come rappresaglia per la chiusura dei porti,[330] trasformando così i russi da vittime in carnefici.

Il 3 giugno 2017 si svolgono le elezioni: si fronteggiano il Partito Nazionalista, al potere per 25 anni, sino alla vittoria di Muscat del 2013, ed artefice dell'avvicinamento all'Unione Europea, ed il Partito Laburista del premier in carica: nonostante il forte disappunto della stampa liberal,[331] Joseph Muscat ha infatti deciso di presentarsi nuovamente come candidato premier. La vittoria, nonostante le rivelazioni della blogger Caruana Galizia e l'infamante campagna mediatica, arride di nuovo al laburista.

Per Washington e Londra è una sconfitta cocente: il governo di Valletta è nelle mani di un premier che "vende la cittadinanza europea agli oligarchi russi", di un losco figuro che potrebbe aiutare Mosca a raggirare le sanzioni di Bruxelles, di un erede di Dom Mintoff che, da un momento all'altro, potrebbe resuscitare la cooperazione russo-maltese e riaprire i porti alle navi dirette in Siria.

Non rimane che passare alle maniere forti per scalzare Joseph Muscat, portando allo stadio successivo lo scandalo Panama Papers: la giornalista che ha collaborato con l'americano ICIJ per spargere fango sul premier laburista sarà eliminata, lasciando intendere che il responsabile del clamoroso omicidio della blogger sia il "corrotto governo" di Joseph Muscat. Come nel caso di Giulio Regeni, una pedina dei servizi angloamericani è quindi sacrificata per il raggiungimento di obiettivi più alti.

Dopo aver denunciato, appena due settimane prima, minacce di morte, lunedì 16 ottobre, la giornalista Caruana Galizia sale sulla sua Peugeot 108 noleggiata, lascia casa e percorre solo poche centinaia di metri prima che un ordigno, probabilmente azionato da un telecomando, esploda, uccidendola sul colpo e carbonizzando il veicolo.

Immediatamente parte sui maggiori circuiti d'informazione la campagna per attribuire, neppure troppo velatamente, l'omicidio al governo laburista, come se questo avesse interesse, a distanza di pochi mesi dalla vittoria elettorale, ad eliminare con un'autobomba la propria principale avversaria, una nota blogger. A questo proposito è significativo l'articolo "Malta, intrigo internazionale: uccisa la reporter scomoda",[332] comparso il 17 ottobre 2017 su La Stampa. All'interno si legge:

    "Le tangenti pagate dall'Azerbaigian alla moglie del primo ministro per oliare la firma di accordi energetici multimilionari. Il presidente della banca che fugge dalla porta sul retro con le valigie piene di documenti. I passaporti venduti ai russi. Il trattamento fiscale di favore alle società straniere. Un traffico di droga internazionale. E un'auto che salta per aria uccidendo una donna, proprio la giornalista che con le sue inchieste aveva sollevato il coperchio sugli affari più loschi di Malta. Sembrerebbe la trama di un thriller politico, ma è solo cronaca. (…). Il principale bersaglio di Daphne si chiama Joseph Muscat e di mestiere fa il premier di Malta. (…) Il premier si è sempre detto convinto di poter dimostrare la sua innocenza ed è stato lui a chiedere l'apertura di un'inchiesta. Ma la vicenda si intreccia con altre indagini che hanno coinvolto l'ex capo dello staff di Muscat. Keith Schembri avrebbe infatti ricevuto tangenti per la vendita di passaporti maltesi ad alcuni magnati russi. (…)L'ultimo post di Daphne parlava proprio del processo a Schembri."

Ecco i mandanti dell'omicidio di Caruana Galizia secondo i media: i corrotti politici laburisti che hanno aperto i porti alle navi russe tra il 2014 ed il 2015, gli stessi che vendono i passaporti agli oligarchi moscoviti, gli stessi travolti un anno fa dal materiale "trafugato" dallo studio Mossack Fonseca & Co. Il dubbio sulla convenienza di assassinare la giornalista con un'autobomba non è neppure sollevato, perché sposterebbe l'attenzione verso i veri responsabili dell'attentato.

Caruana Galizia è stata uccisa dai servizi atlantici, gli stessi per cui lavorava, ne fosse cosciente o meno: la crescente frequenza con cui Washington e Londra sacrificano il loro personale, è l'ennesima spia della crisi sistemica che stanno vivendo.

13 Sfortunato e Jihad



La carta "13 sfortunato" si riferisce al periodo degli Interesting Times ed in particolare agli attentati terroristici falsi organizzati dalla DGSE e dalla CIA il 13 novembre 2015 a Parigi con l'ausilio di Crisis Actor. Nel dettaglio, la carta riguarda l'esplosione avvenuta davanti al ristorante Events nei pressi dell'ingresso D dello Stade de France, in zona Saint-Denis, venti minuti dopo l'inizio della partita amichevole fra le nazionali di calcio di Francia e Germania seguita, allo stadio, da 80.000 tifosi, tra i quali il presidente della Repubblica francese François Hollande, il presidente dell'Assemblea Nazionale Claude Bartolone e il ministro degli affari esteri tedesco Frank-Walter Steinmeier. Per non aggravare la tensione, la partita prosegue; a causa dell'esplosione vi fu un morto, di nome Manuel Dias, più l'attentatore, identificato col nome di battaglia di Ukashah Al-Iraqi.

Si notino gli oggetti ritratti nella carta, oggetti che comunemente si trovano sulle tovaglie imbandite dei ristoranti europei. La data del calendario è "venerdì 13" ed il titolo della carta è "venerdì sfortunato"; è oggi possibile ricostruire la dinamica degli attentati avvenuti il 13 novembre 2015 con sufficiente precisione ed evidenziare le prime incongruenze. Tutti gli indizi conducono ai vertici dei servizi segreti francesi, rinnovati sotto Nicolas Sarkozy e confermati sotto la presidenza di François Hollande; con il subentrare allo spionaggio transalpino di personaggi vicini agli angloamericani, è avviata nel 2012 la strategia della tensione. Dopo una pausa coincidente con i primi due anni della presidenza di Hollande, il terrorismo islamico riesplode in concomitanza alla caduta verticale del capo dello Stato nei sondaggi. Il ruolo della Direction générale de la sécurité extérieure (DGSE) diretta da Bernard Bajolet.

Sono disponibili parecchi video che ricostruiscono la notte di sangue del 13/11/2015: quello forse più chiaro e dettagliato è  pubblicato la sera di domenica 15 sul sito Le Monde.fr, cui deve però essere apportata qualche correzione: il numero di terroristi entrati in azione al teatro Bataclan è quattro e non tre, come sostiene il filmato, e l’esplosione della seconda bomba allo Stade de France è alle 21h23, non alle 21h30.

Riportiamo sinteticamente prima le dramatis personae e poi la scaletta degli avvenimenti: i dati sono aggiornati alle notizie del 16/11.

L’ordine cronologico degli eventi è il seguente:
21h20, Stade de France, partita amichevole tra Francia e Germania (annunciata dalla Fédération Française de Football il primo luglio 2015), presenti il presidente François Hollande ed il ministro degli Esteri tedesco Frank-Walter Steinmeier. Un kamikaze, , Ahmad al Mohammad, dotato di una cintura esplosiva composta da perossido di acetone concentrato e bulloni si fa esplodere all’ingresso D: è il solo a morire;
21h25 terroristi a bordo di una Seat Leon Nera aprono il fuoco in rue Bichat e rue Alibert, contro i ristoranti Petit Cambodge e Carrillon, 15 morti;
21h23 Stade de France, ingresso H, entra in azione un secondo kamikaze (Bilal Hafdi?): muore sul colpo senza causare vittime;
21h32 la Seat Leon nera arriva in rue de la fontaine au roi, i terroristi aprono il fuoco contro i i locali Casa Nostra e Bonne Bière, 5 morti;
21h36 la Seat Leon nera si ferma in rue de la Charonne, davanti al bistrot Belle Equipe, è aperto il fuoco e muoiono 19 persone;
alle 21h40, presso la place de la Nation, un terrorista sceso probabilmente dalla Seat nera, Brahim Abdeslam, si fa esplodere al locale Compte Voltaire: muore sul colpo e ferisce alcune persone. La Seat Leon nera, guidata presumibilmente dal fratello del kamikaze, Saleh Abdeslam, sarà ritrovata nel comune di Montreuil, ovest di Parigi, con tre AK-47 a bordo.
Alle 21h40, scendono da una Volkswagen Polo nera quattro terroristi, armati di fucili automatici e a pompa. Fanno irruzione nella sala da concerto Bataclan, durante un’esibizione degli Eagle of Death Metal: inneggiando ad Allah, alla Siria ed all’Iraq compiono una carneficina;
21h53, rue de la cokerie, nei pressi dello Stade de France, si fa esplodere un terzo kamikaze: nessuna vittima eccetto lui. Solo a questo punto, Hollande è trasportato al ministero degli Interni, mentre la partita continua fino al termine. Gli spettatori sono trattenuti ancora per un po' di tempo per motivi di sicurezza;
00h20, le teste di cuoio fanno irruzione nel Bataclan: tutti terroristi si fanno esplodere, tranne Samy Animour che è colpito a morte prima di azionare la cintura. Si contano 90 morti in totale e le foto pubblicate l’indomani, che immortalano l’interno del locale, mostrano una scena da mattatoio.
Primo elemento da notare: le cinture esplosive non hanno (fortunatamente) prodotto nessuna vittima tranne i kamikaze stessi. C’è da chiedersi perché i tre terroristi allo Stade de France si siano immolati senza causare nessuna vittima: il Wall Street Journal riporta la notizia che il primo attentatore viene fermato dalla sicurezza per una perquisizione e, divincolatosi, si fa esplodere prima di raggiungere le tribune dove siedono 80.000 persone. Secondo il testimone ascoltato dal WSJ, Hollande lascia lo stadio alla prima e non alla terza esplosione, ma le foto ritraggono il presidente nella sala stampa dello stadio alle 21h36, quindi è corretta la versione de le Monde: Hollande è trasportato all’esterno solo dopo l’esplosione dei tre attentatori, quando il rischio è ormai cessato.

Gli attentatori sarebbero dovuti entrare allo stadio? Quasi sicuramente sì, ma, nonostante non fossero in posizione per qualche imprevisto, hanno ricevuto comunque l’ordine di farsi saltare in aria, così da attrarre tutte le forze di polizia verso il quartiere Saint-Denis e consentire ai secondi due commando di agire indisturbati. Tra l’esplosione del primo e del terzo kamikaze intercorrono 33 minuti: è il tempo dell’azione terroristica nel suo complesso, anche se gli ultimi strascichi si protraggono al Bataclan fino alle 00h20. La terza deflagrazione nei pressi dello Stadio, in rue de la cokerie vicino al McDonald’s, era il segnale che Hollande aspettava per lasciare lo stadio?

Le Figaro riporta lunedì 16 una preziosa testimonianza oculare: la sera del 13 novembre un avventore del ristorante Cellar, a tre minuti dal Bataclan, siede all’esterno per bere un bicchiere. Alle 19h35 (due ore prima dell’inizio della strage al concerto) vede una Volkswagen Polo Nera, parcheggiare davanti al bistrot. Il parcheggio è pessimo, come se il conducente non sapesse guidare (o fosse in stato d’alterazione), quindi l’avventore si alza per consigliargli di fare manovra:

“Je suis allé les voir pour leur dire qu’ils étaient mal garés. Ils n’ont pas ouvert la fenêtre et m’ont regardé méchamment. On aurait cru des morts-vivants, comme s’ils étaient drogués.”

I quattro occupanti dell’auto, che all’avventore sembrano europei mussulmani (“Il était de type européen, portait une barbichette et un cheich. Il était vêtu d’un blouson noir et avait aussi un bandana sur la tête. Le conducteur, lui, était également de type européen, genre reconverti à l’islam”) sono in evidente stato di alterazione, sotto l’effetto di stupefacenti: il dato è interessante perché è risaputo che i tagliagole dell’ISIS in Siria ed Iraq facciano uso di anfetamine, sia per commettere atrocità a cuor leggero sia per sconfiggere la paura. Il 26 ottobre le autorità aeroportuali di Beirut hanno bloccato un carico di due tonnellate di anfetamine Captagon prima che fossero imbarcate su un aereo privato di un principe saudita: i consumatori finali erano quasi sicuramente gli uomini del Califfato in Siria ed Iraq. Il Captagon fa parte dell’equipaggiamento che gli angloamericani danno in dotazione alle truppe dell’ISIS?

Torniamo all’avventore: dopo una discussione senza esiti, torna al suo tavolo ed osserva la macchina che rimane ferma, fari spenti e motore acceso. Il viso degli occupanti è illuminato solo dallo schermo dei telefonini su cui digitano. Verso le 20h15 passa un’auto della polizia, qui ne semble pas remarquer la Polo noire mal garée (parcheggiata male) ed alle 21h30 l’uomo lascia il ristorante davanti cui stazionano ancora i quattro islamici. Pochi minuti più tardi, è informato delle bombe allo Stade de France e tenta immediatamente di contattare la polizia senza ottenere la risposta (“il tente à plusieurs reprises de joindre la police par téléphone «80 fois au minimum» mais sans réponse”): i kamikaze allo Stade de France hanno assolto alla loro funzione, ossia catalizzare l’attenzione di tutte le forze dell’ordine ed intasare i centralini.

Il commando del 13 novembre,  compresi i tredici elementi sopra citati, consterebbe nel suo complesso di 20-25 persone: una dozzina impiegata sul campo e le altre usate per l’organizzazione e logistica. Che un complotto riguardante un tale numero di persone, molte delle quali note ai servizi e per di più “calde”, a dieci mesi di distanza da Charlie Hebdo e a tre mesi dall’attacco terroristico sul treno Amsterdam-Parigi, sia sfuggito ai radar della sicurezza francese è una falla simile all’11 Settembre: impossibile, a meno che i servizi non siano complici.

Dove si sono poi procurati le armi i terroristi? A 48 ore dalla strage, e solo allora, emerge la notizia che il 5 novembre la polizia tedesca ha fermato in Baviera un 51enne del Montenegro, slavo ortodosso, a bordo di una Volkswagen carica di armi e kalashinkov diretta a Parigi (com’era desumibile dal navigatore): per il presidente bavarese Horst Seehofer è ragionevole ipotizzare una connessione con le stragi di Parigi. Come ai tempi della strategia della tensione italiana, i trafficanti d’armi della ex-Jugoslavia alimentano lo stragismo di Stato, solo che anziché armare Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale, equipaggiano il Califfato.

Quanto alle auto, sia le targhe che i biglietti dei parcheggi custoditi all’interno, sembrano essere studiati apposta per indirizzare le indagini in Belgio, dove anche agli attentatori di Charlie Hebdo avrebbero acquistato le armi: lo scopo è probabilmente alleggerire la posizione delle autorità francesi, rendendo più giustificabili all’opinione pubblica i continui smacchi subiti dalle forze di sicurezza. Le dichiarazioni di Hollande e Valls puntano infatti a scolpare la Francia ed evidenziare le responsabilità esterne.

La parte più assurda della vicenda è in ogni caso la pretesa che l’operazione sia stata pianificata ed organizzata in Siria.

Dice il premier francese Manuel Valls: “Quello che è successo ieri a Parigi e a Sant Denis vicino allo Stade de France è un atto di guerra commesso da un’armata terrorista,(…). È un atto di guerra preparato, organizzato pianificato all’esterno e con complicità interne che l’inchiesta stabilirà”.

Gli fa eco il presidente Hollande: “gli attacchi sono stati decisi, pianificati in Siria, organizzati in Belgio e condotti sul nostro territorio con complici francesi” (prima la Siria, poi il Belgio ed infine, vittima, la Francia).

Intervengono anche i fantomatici servizi iracheni che confermano: l’ordine è partito dal Califfo Al Baghdadi ed i Paesi occidentali, Francia in particolare, hanno ricevuto un avvertimento il giorno prima dell’attentato.

Ora, il Califfo Al Baghdadi, posto che sia mai esistito, è ufficialmente morto almeno due volte (2007, 2014) e le possibilità che sia ancora vivo sono le stesse di quelle che Osama Bin Laden (morto secondo la DGSE francese nel 2006) fosse in Pakistan davanti la tv durante il celebre blitz del 2011. Se anche Al Baghdadi fosse ancora vivo, proprio come lo Sceicco Bin Laden, non sarebbe comunque nient’altro che un prodotto dei servizi americani, sfornato dal famigerato carcere di Bucca gestito dalle truppe statunitensi in Iraq, crogiolo di quasi tutti i capi dell’ISIS.

In ogni caso, considerata l’attuale situazione strategica del Califfato, in rotta in Siria come in Iraq, è pura fantasia che un fantomatico “quartiere generale” dei terroristi sunniti abbia organizzato gli attentati in Francia. Infatti, se così fosse, come avrebbe potuto comunicare con il commando di 20-25 uomini operante tra Parigi e Molenbeek, senza farsi scoprire da NSA, CIA, Mossad, DGSE, etc etc.?

Qui viene il bello: l’ISIS, nella sua roccaforte a Raqqa, in Siria, è un passo avanti rispetto agli occidentali in fatto di tecnologia: a luglio la CNN riporta la notizia che, usando messaggi criptati, il Califfato riesce ad evadere la sorveglianza dell’FBI, ora si scopre che gli attacchi di Parigi sono stati organizzati attraverso la messaggeria della PlayStation 4.

È l’equivalente dei taglierini per dirottare i Boeing sulle Torri Gemelle.

Beh si dirà, se la rete è troppo sfuggente, almeno i terroristi in carne ed ossa sono braccati a vista: invece si scopre che “la mente” della strage di Parigi del 13/11, il marocchino Abdelhamid Abaaoud, si vanta sulla propaganda web del Califfato, di viaggiare  indisturbato tra Siria e Belgio pur essendo ricercato dalle polizie di mezzo mondo. Ricorda un po’ i brigatisti che, negli anni di piombo, riuscivano sempre ad evadere dal carcere in un modo o nell’altro.

Se il Califfo Al-Baghdadi è morto, se l’ISIS è sotto scacco in Siria ed Iraq e se il commando del 13/11 è composto da piccoli criminali della banlieu parigina e qualche reduce siriano in botta da anfetamine, chi ha coordinato e supervisionato gli attacchi?

Cherchez à la DGSE…

Il ruolo della Direction générale de la sécurité “americaine”
La DGSE è il servizio informazioni della Francia all’estero, l’equivalente transalpino della CIA e del MI6. Il rapporto con gli omologhi angloamericani non è sempre stato idilliaco anzi, ai tempi della “Vecchia Europa” di Jacques Chirac, di tanto in tanto i servizi francesi rifilavano qualche colpo basso, come la sullodata morte di Bin Laden, per ridicolizzare la “Guerra al terrore” di George W. Bush e Tony Blair.

La situazione cambia radicalmente con l’avvento al’Eliseo di Nicolas Sarkozy, espressione della “Nuova Europa”, quella filo-atlantica: tra i primi provvedimenti presi dal neo-presidente, oltre a riportare la Francia nel comando integrato della NATO, c’è, non a caso, il pensionamento dei vertici dei servizi fedeli a Chirac e la cooptazione di nuovi elementi, di provata fede atlantica. È una rivoluzione copernicana per i servizi d’informazione francesi, storicamente gelosi della propria autonomia: le Monde riporta che dal 2007 l’accesso del Government Communications Headquarters britannico, l’equivalente inglese dell’NSA, ai dati francesi, diventa pressoché illimitato.

Sarkozy crea poi un nuovo organismo, il Conseil national du renseignement, il cui scopo è coordinare le sei agenzie di spionaggio militare ed economico della Francia: a ricoprire il nuovo ruolo di “coordonnateur national du renseignement” è chiamato nel luglio 2008 Bernard Bajolet, ex-ambasciatore francese in Iraq (2004-2006) ed Algeria (2006-2008).

L’ex-diplomatico  è un esperto di mondo mussulmano, conoscitore del Corano e fluente in arabo. Nel 2011, ancora sotto la presidenza di Sarkozy, Bajolet è richiamato al ruolo di ambasciatore, questa volta in Afghanistan dove resta sin al 2013: a quel punto torna in Francia e, testimoniando la continuità politica di fondo tra François Hollande e Nicolas Sarkozy, è nominato dal nuovo presidente socialista direttore della DGSE.

Si noti che il periodo in esame coincide con i tentativi di Parigi, Washington, Londra, Tel Aviv e monarchie sunnite, di rovesciare Bashar Assad: Hollande arriva fino ad ipotizzare un intervento franco-americano contro Damasco nell’estate del 2013, prima che Obama si tiri indietro lasciandolo con il cerino in mano.

Un salto indietro ora: le elezioni presidenziali francesi della primavera 2012 vedono il primo assaggio di strategia della tensione.

Nicolas Sarkozy è ai minimi storici di popolarità tra i francesi (solo il 30% esprime un giudizio favorevole) e la sua rielezione è sempre più incerta. Entrano in campo i fedeli servizi de la République: sono gli attentati che insanguinano il sud-est della Francia tra l’11 ed il 22 marzo 2012, con una serie di omicidi che prendono di mira militari ed elementi della comunità ebraica, per un totale di otto vittime. A compiere gli assassini a bordo di un Yamaha TMAX è il franco-algerino Mohammed Merah, che si scoprirà in seguito essere un informatore della DGSE: quante cose avrebbe potuto raccontare il giovane magrebino se non fosse stato ucciso nel blitz delle teste di cuoio per “catturarlo”.

Le Figaro titola emblematico dopo gli attentati di Merah (e le stesse parole si potrebbero utilizzare oggi per Hollande): “Sarkozy s’est repositionné au cœur du système”. All’interno si legge:

“Avec Toulouse et Montauban, l’agenda a connu une très forte inflexion. Le thème des attentats donne à Nicolas Sarkozy une très forte crédibilité. Cette affaire fait apparaître que la France est dans un environnement troublé. Il y avait déjà la crise de la dette et la crise économique. Un nouveau trouble a émergé depuis quelques jours: la sécurité.”

Le presidenziali si chiudono, purtroppo per Sarkò, con la sua sconfitta e la salita all’Eliseo di François Hollande: la strategia della tensione è momentaneamente archiviata, finché i sondaggi di gradimento del presidente socialista raggiungono, nel breve volgere di tre anni, un record negativo storico.

Il giornale Le Parisien titola nell’autunno del 2014: “Sondages: la descente aux enfers continue pour Hollande, Valls plonge lui aussi”.

Ecco allora ripartire la strategia della tensione: Charlie Hebdo, Saint-Quentin-Favallier, il treno ad alta velocità Amsterdam-Parigi e, infine, la strage del 13/11.

Rispetto agli attentati di Tolosa e Montauban del 2012, lo stragismo di Stato ha però compiuto sotto Hollande un salto di qualità: sia per l’efferatezza e spettacolarità crescente degli attacchi, sia per la loro internazionalizzazione. La strategia della tensione in Francia si salda col tentativo, da parte del Likud israeliano e dei falchi americani, di trascinare il presidente Barack Obama in guerra, prima in Yemen (Charlie Hebdo) e poi in Siria, con la carneficina parigina del 13 novembre 2015.

Ecco perché è quasi sicuro il coinvolgimento del direttore della DGSE, Bernard Bajolet, ben inserito nei servizi segreti angloamericani ed israeliani.

Martedì 27 ottobre 2015, quando mancano circa due settimane agli attentati allo Stade de France ed al Bataclan, il capo della DGSE è a Washington, per la conferenza tenuta dalla George Washington University e dalla Central Intelligence Agency, dal titolo “The Ethos and Profession of Intelligence” (già il titolo suona strano, dal momento che etica e spionaggio vivono su due pianeti differenti, ma forse è sarcasmo). Chi interviene alla conferenza? I papaveri dei servizi americani, inglesi ed israeliani: John Brennan, capo della CIA, Mike Rogers, direttore della NSA, John Sawers, ex-capo del Secret Intelligence Service e Yaakov Amidror, ex-consigliere nazionale della Difesa israeliana.

Chissà di cosa avranno discusso a margine della conferenza Bernard Bajolet e colleghi? Noi sappiamo solo che a distanza di due settimane si è consumata la mattanza di Parigi.

La corresponsabilità dei servizi francesi nelle stragi dell’anno 2015 è certificata dalla sconcertante indulgenza di cui godono nonostante le incessanti e drammatiche debacle: nonostante nei primi undici mesi dell'anno 2015 siano morte quasi 150 persone in atti terroristici, né il direttore della DGSE, né quello della DGSI, né il ministro degli interni si sono dimessi. Anzi, l’ultimo, ennesimo, “11 Settembre” europeo, è stato colto al balzo da Hollande per avanzare la proroga dello stato d’emergenza fino a tre mesi: la misura eccezionale consente di perquisire i cittadini senza la autorizzazione della magistratura ed attuare controlli della stampa (un blog come il nostro dovrebbe probabilmente migrare su server tedeschi o scandinavi).

Per il resto, come avevamo anticipato nella nostra analisi, la strage del 13/11 è impiegata per altri due scopi: il tentativo di coinvolgere militarmente gli USA nella guerra siriana e quello di rianimare l’agonizzante Unione Europea.

Il primo è stato prontamente neutralizzato da Barack Obama che, a latere del G20, ha incontrato Vladimir Putin ed ha bocciato qualsiasi ipotesi di “stivali americani” sul suolo siriano. Il secondo si è finora concretizzato nei consueti articoli sui media d’establishment (vedi l’articolo “O si fa l’Europa o si muore”20 comparso su Il Sole 24 ore) e nello sterile appello che François Hollande ha lanciato all’Europa, rivendicando la clausola di solidarietà21 tra membri dell’Unione.

Si può dire che i vertici del sistema euro-atlantico da quel momento considerarono lo stragismo di Stato un arnese della politica simile alle mance elettorali sotto elezioni: l’avvicinarsi di tornate elettorali decisive tra il 2016 ed il 2017, consolidò il crescendo di violenza negli anni immediatamente successivi.

Gli attentati del 13/11 e la predisposizione della scacchiera

La strage di Parigi del 13/11 ha già prodotto un risultato finora impensabile: su iniziativa di Angela Merkel, la Germania schiera mezzi ed uomini in Medio Oriente, a fianco di Francia, Regno Unito ed USA, nonostante il Califfato stia subendo pesanti rovesci in Siria ed Iraq. Nel frattempo le condizioni economiche dell'eurozona volgono al peggio, con la Francia che registra ad ottobre 2015 un nuovo record di disoccupati e la deflazione che avanza ovunque. La guerra all'ISIS è solo un espediente per procrastinare lo sfaldamento della UE/NATO: l'avversario strategico degli angloamericani è infatti Mosca, capace di aggregare l'Europa post-euro su basi alternative al sistema euro-atlantico. Con l'ammassarsi degli occidentali nel sempre più affollato ed incandescente Medio Oriente, la scacchiera è predisposta: è sufficiente un casus belli simile all'abbattimento del Su-24 e sarà guerra.

L'Europa tra crisi economica e guerra all'ISIS

Una delle ricadute della strage del 13/11, coordinata dai servizi segreti francesi, è stata senza dubbio la possibilità di eclissare i dati francesi sul mercato del lavoro, pubblicati la settimana scorsa e relativi al mese di ottobre: cifre pessime che, col nuovo record di 3,81 mln di disoccupati [79], certificano la situazione critica della Francia, alle prese con un debito pubblico prossimo al 100% del PIL ed una bilancia commerciale in cronico disavanzo. Il primo ministro Manuel Valls ha altresì colto la palla al balzo per annunciare che Parigi, causa nuove spese per la sicurezza, non rispetterà i parametri di bilancio concordati con Bruxelles, già di manica larga rispetto agli altri membri dell'eurozona: il deficit è infatti atteso attorno al 4% del PIL nel 2015 ed è sfumato l'impegno ad abbassarlo al 3,3% nel 2016 e sotto il 3% nel 2017.

La strage di Stato del 13/11 serve quindi a ribadire l'eccezionalità della Francia, "potenza mondiale" impegnata nella lotta al Califfato per la sicurezza dell'Europa: poco importa se l'ISIS contro cui l'Eliseo spedisce la portaerei Charles De Gaulle è il principale strumento con il quale i francesi, in conbutta con angloamericani, israeliani ed autocrazie sunnite, si sono adoperati dal 2011 per la balcanizzazione del Medio Oriente, coll'obbiettivo di dissolvere la Siria e l'Iraq (missione riuscita in Libia). Nell'attuale contesto, preme infatti gridare urbi et orbi che "la France est en guerre!" e, di conseguenza, libera da qualsiasi pastoia europea.

Anzi, addirittura tutta l'Europa è in guerra contro il fantomatico Califfato che, peraltro, sta vivendo il momento più critico sul piano militare dalla sua apparizione nel 2013: i bombardamenti russi e l'istituzione a Baghdad di un centro per la condivisione di informazioni ed il coordinamento bellico tra Iraq, Iran, Siria e Russia [80] hanno inflitto drammatici rovesci all'ISIS, riuscendo dove aveva fallito per un anno la coalizione a guida americana (suscitando l'ilarità della comunità internazionale, l'ex-numero due della CIA, Michael Morell, ha giustificato il mancato bombardamento dei pozzi petroliferi controllati dall'ISIS adducendo scrupoli ambientali [81]).

Già, perché la situazione dell'intera Eurozona è critica, non solo in Francia, e quindi bisogna gridare all'unisono "l'Europe est en guerre!". Nella terza economia dell'euro, l'Italia, la situazione ha ormai assunto contorni da conflitto bellico, tra crollo verticale dell'attività produttiva e desertificazione demografica: in recessione dal 2008, il Paese chiude il 2015 con una crescita dello +0,9%, grazie ai maneggi contabili di ESA 2010, mentre la deflazione alza paurosamente la china (-0,4% i prezzi al consumo di novembre 2015 rispetto al mese precedente [82]) rendendo improbabile non solo la riduzione ma anche il contenimento del debito pubblico, tanto che il Tesoro ha iniziato a ricorrere alle disponibilità liquide in cassa per evitare lo sforamento dei 2.200 € mld. Sta poco meglio ovviamente la finanza privata dove, schiacciate da 200 € mld di crediti inesigibili, le banche scricchiolano e gli istituti di medie-piccole dimensioni saltano. In Spagna il deficit è previsto al 4,7% del PIL nel 2015 ed il debito pubblico, triplicato dall'inizio della crisi, si attesterà alla fine dell'anno al rapporto record di 1:1 col PIL; si avvicinano intanto le elezioni legislative di dicembre, e ci si domanda con inquietudine come voteranno gli spagnoli, oppressi da una disoccupazione al 21% della forza lavoro. A livello aggregato l'eurozona nel suo complesso flirta con la deflazione, nonostante da quasi nove mesi sia in atto l'allentamento quantitativo che ha regalato solo laute plusvalenze alle banche.

Quanto può durare lo stallo nell'eurocrisi, considerato che l'economia globale si dirige verso un brusco rallentamento? Non a lungo probabilmente, e qui si riapre la parentesi della strage del 13/11.

Sull'onda degli attentati la cancelliera Angela Merkel, fedele esecutrice delle direttive atlantiche, ha concesso a François Hollande un'apertura impensabile fino ad un mese prima: il dispiegamento di 650 soldati in Mali e, soprattutto, l'invio di uomini e mezzi in Medio Oriente, affiancando così i francesi nella loro "guerra all'ISIS". Si parla di 4-6 jet Tornado da ricognizione, supporto satellitare ed il dispiegamento di una fregata per proteggere (dai sottomarini dell'ISIS?) la portaerei De Gaulle per un totale di 1.200 soldati [83]. La mossa di Angie, che attende il parere del Bundestag, è una rivoluzione copernicana per Berlino, che dai tempi della Prima Guerra del Golfo ha sempre evitato qualsiasi coinvolgimento mediorientale, fatta eccezione per la disastrosa Operazione Enduring Freedom in Afghanistan. Se la cancelliera rischia tanto, la posta in gioco deve essere maledettamente alta.

Peraltro Berlino è in buona compagnia nella corsa "à la guerre à Daesh", dal momento che anche il premier inglese David Cameron potrebbe riuscire là dove fallì nella tarda estate del 2013, ovvero ottenere l'approvazione della Camera dei Comuni per un intervento militare in Siria, non più (formalmente) contro l'esercito di Assad, reo allora dell'impiego di armi chimiche (un'orchestrazione dei ribelli supportati dall'Occidente per giustificare i bombardamenti), ma contro l'ISIS, obviously. Il premier Cameron ha anche sfruttato la strage del 13/11 e la conseguente febbre militarista per annunciare la costituzione di due brigate di intervento rapido da 5.000 uomini cadauna e l'ulteriore stanziamento di 12 £ mld per la difesa [84].

Man mano che le condizioni dell'eurozona tornano a preoccupare, ecco quindi che la temperatura bellica sale di nuovo, con la significativa ed inedita aggiunta della Germania alla grancassa anti-ISIS.

Come abbiamo sempre evidenziato nelle nostre analisi, l'euro e l'UE sono tutto meno che un'unità di conto ed un'autonoma iniziativa politica delle nazioni europee: sono, al contrario, l'altra faccia della medaglia della NATO, ideate coll'obbiettivo, finora fallito, di creare di Stati Uniti d'Europa, inglobando così il Vecchio Continente e saldandolo al sistema atlantico. Le convulsioni dell'eurozona mettono quindi oggi a repentaglio l'intero apparato militare, economico e politico con cui gli angloamericani controllano l'Europa. La guerra all'ISIS è un'arma tattica per rallentare il disfacimento della UE, vincolando i membri in un comune impegno militare contro una minaccia creata ad hoc dallo stesso Occidente.

La fida cancelliera Angela Merkel, rispondendo senza esitazioni all'appello del presidente Hollande, può riuscire, previo assenso del Bundestag, dove mancò l'obbiettivo durante la crisi ucraina: legare mani e piedi della Germania alle avventure militari atlantiche. Non soltanto, favorendo l'ingresso di un milione di immigrati nel solo 2015, Angie ha posto le basi per la riproposizione anche in Germania di eventi simili alle stragi del 13/11, o forse anche peggio: le informazioni a disposizione di questa enorme massa di persone entrata in Germania sono poche o nulle, ma si sa che il nocciolo proviene da Siria ed Iraq ed è altamente plausibile che tra loro ci siano anche reduci dell'ISIS. L'intervento in pompa magna di Berlino a fianco dei francesi, giustifica ora dal punto di vista mediatico la perpetrazione di attentati sulla falsariga di quelli francesi e, non a caso, si moltiplicano già le notizie di attacchi "sventati" [85]: si evince che, presto o tardi, alle forze di sicurezza tedesche ne sfuggirà uno, come già successo a Parigi.

Come scrive sul Financial Times [86] John Sawers, l'ex-direttore del MI6 che si è incontrato a Washington con il direttore della DGSE Bernard Bajolet, il capo della CIA John Brennan ed il consigliere della Difesa israeliana Yaakov Amidror, due settimane prima della strage di Parigi del 13/11:

The next attack probably will not be in France. Isis wants to provoke division across Europe — in particular, hostility to the refugees flooding in. (…) Germany might be vulnerable as Isis would see an attack as weakening Chancellor Angela Merkel and dividing opinion. (…) Political calculation and available operatives will determine where Isis tries to strike next. There is little doubt that there will be further attacks. This will challenge not just our intelligence agencies. The wars in Europe's neighborhood are now washing on to our shores and governments in Europe — especially France, Germany and Britain — will have to lead the response.

È facile immaginare che la risposta a questi potenziali attacchi sarà, come sempre, più integrazione europea ed un maggiore coinvolgimento di Berlino a fianco di Washington, Londra e Parigi sui dossier mediorientali. Un altro, clamoroso, attentato in Germania, potrebbe inoltre spianare la strada ad una politica di difesa comune dell'Unione Europea. Come scrive l'influente pensatoio Carnegie Endowment for International Peace, basato a Washington [87]:

It is about Europe coming to terms—or rather, coming of age—by recognizing that its belief in soft power is not a security guarantee, and that Europe cannot continue to depend on the United States to be its hard-power backer. Earlier terrorist attacks in London, Madrid, and Brussels should have put paid to those assumptions. They didn't. The attacks in Paris may finally have the effect of persuading EU governments of the need for a credible security and defense policy, instead of one that is borne by just a few countries.

Queste sono però risposte tattiche all'eurocrisi, in grado di procrastinare il collasso dell'eurozona ancora per 12-18 mesi. A quel punto le criticità dell'Unione Europea esploderanno in tutta la loro virulenza e si porrà all'establishment euro-atlantico il problema strategico di come mantenere il Vecchio Continente subordinato al sistema militare e politico di Washington.

Emergerà a quel punto l'ineluttabilità di un conflitto armato con la Federazione Russa, unico attore capace di offrire al Vecchio Continente un progetto geopolitico alternativo credibile (l'integrazione euroasiatica) e dotato di risorse umane e naturali in grado di alterare gli equilibri mondiali se integrate con l'Europa e/o la Cina. Ecco quindi che l'ammassarsi delle forze armate di Stati Uniti, Regno Unito, Francia e Germania nel sempre più angusto ed affollato teatro mediorientale, non è finalizzato alla guerra contro il Califfato (già in dissolvimento e creato dallo stesso Occidente) bensì a creare un punto di frizione tra NATO e Russia, per di più in una zona che, come dimostra il recente affaire del Su-24 russo abbattuto, offre casus belli in abbondanza.

Tutti i pezzi al loro posto, la partita può iniziare

Non ha dubbi il ministro degli esteri russo Sergej Lavrov nel definire l'abbattimento del Su-24 per mano turca come una "provocazione premeditata".

Secondo la versione di Ankara il bombardiere russo avrebbe violato per 17 secondi lo spazio aereo turco, durante i quali sarebbe stato lanciato l'improbabile numero di 10 avvertimenti prima di dare via libera all'F-16 che ha abbattuto il Su-24 con un missile aria-aria. L'unico superstite del velivolo, il navigatore Konstantin Murakhtin, afferma invece di non aver ricevuto nessun messaggio radio e che il SU-24 è stato colpito alla coda senza preavviso [88].

Più fattori avvalorano la tesi dell'attacco premeditato.

In primo luogo il massiccio bombardamento russo di camion cisterna (ne sarebbero stati distrutti oltre un migliaio) e dei campi petroliferi attorno a Raqqa e Deir el-Zor controllati dall'ISIS, non solo ha privato la Turchia di una fonte a buon mercato di greggio (commercio nel quale sarebbe coinvolto il figlio stesso del presidente Recep Erdogan, Bilal [89]) ma sottraendo al Califfato la principale fonte di introiti per pagare stipendi ed armi, ha minato alle fondamenta l'intera strategia di destabilizzazione di Siria ed Iraq: sono infatti i russi dopo due mesi, non gli americani dopo un anno a distruggere i pozzi.

È quindi verosimile che la NATO, con l'abbattimento del Su-24, abbia inviato a Mosca il messaggio che la distruzione delle risorse petrolifere in mano al Califfato è un punto di non ritorno. Quest'ipotesi è corroborata dal fatto che né l'Alleanza Atlantica né Barack Obama hanno stigmatizzato la mossa di Ankara anzi, al contrario, il dossier dell'ingresso della Turchia nella UE, da sempre caro a Washington, ha subito un'improvvisa accelerazione ed i contribuenti europei hanno elargito 3 € mld al governo turco per arginare il flusso di profughi, generato dalla stessa politica di destabilizzazione del Medio Oriente condotta dalle autocrazie sunnite (tra cui la Turchia), israeliani ed angloamericani.

Non solo, l'abbattimento del SU-24 è accaduto a distanza di sole 48 ore da un'altra provocazione perpetrata quasi sicuramente su istigazione turco-americana: ci riferiamo al sabotaggio in Ucraina delle linee elettriche che riforniscono la Crimea, attuato da alcuni miliziani appartenenti alla minoranza turcofona dei Tatari [90]. Questi avrebbero agito congiuntamente con gli estremisti di Settore Destro, impedendo l'accesso alla zona delle squadre di riparazione [91]: peraltro, le autorità di Kiev hanno dichiarato a distanza di una settimana che l'assenso dei Tatari è indispensabile per la riparazione della linea elettrica, che sarà ripristinata nei tempi "concordati con gli attivisti" [92].

La reazione di Mosca non si è fatta attendere, né sul fronte della Crimea né su quello turco.

Per quanto concerne il primo, Mosca ha arrestato il flusso di gas diretto in Ucraina, bloccando anche le spedizioni del carbone estratto nella Federazione e nei territori del Donbass controllati dai separatisti filo-russi: calcolando che quasi il 50% della produzione elettrica ucraina viene dall'antracite, Kiev suda freddo.

Sul versante turco la reazione di Mosca è stata a più livelli. Un livello di natura economica, con l'imposizione di sanzioni per bloccare l'import di prodotti turchi (specialmente vestiario ed agroalimentare), disincentivare il turismo, impedire l'assunzione di lavoratori turchi nella Federazione e sospendere la collaborazione in campo energetico (il gasdotto Turkish Stream e la centrale nucleare di Akkuyu) [93]. A livello militare si è invece fatto martellante il bombardamento russo sul valico di Bab-al-Salam [94], principale snodo stradale tra Turchia e Siria ed accesso privilegiato per terroristi ed armi. È inoltre da registrare l'improvviso exploit bellico dei curdi siriani contro Al-Nusra e l'ISIS e, in parallelo, il crescere della tensione nei distretti turchi a maggioranza curda, con scontri a fuoco e l'imposizione di coprifuoco [95]: è quindi possibile che il Cremlino abbia deciso di giocare la carta curda per rovesciare Recep Erdogan.

Ciò però che muta radicalmente la situazione è il dispiegamento in Siria dei missili russi S-300 (capaci di abbattere i velivoli di quarta generazione come gli F-15, F-16 e F/A-18) e gli S-400 (in grado di colpire gli aerei "invisibili" di quinta generazione come il il B-2, l'F-22, l'F-35 e gli ormai datati F-117): in risposta alla provocazione turca, Mosca ha quindi instaurato de facto una zona d'interdizione al volo sotto controllo russo.

È una rivoluzione copernicana per il Medio Oriente, dove dall'ultimo dopoguerra sono stati gli angloamericani a detenere il monopolio dei cieli, tanto che ancora nel 2013 i falchi repubblicani invocavano un intervento di Washington per tenere a terra i velivoli di Assad [96]. La mossa rappresenta un ulteriore escalation nel conflitto siriano, perché qualsiasi aereo americano, israeliano o turco che entri nello spazio aereo di Damasco è ora intercettabile e distruggibile dalla contraerea russa: dal 25 novembre, data del dispiegamento degli S-400, sia gli Stati Uniti che gli alleati della coalizione "contro l'ISIS" hanno infatti sospeso i voli sopra la Siria [97].

Che ne sarà anche dei raid aerei (illegali) che Tel Aviv è solita compiere in territorio siriano per difendere i miliziani islamisti che occupano le alture del Golan e distruggere i depositi d'armi dell'Esercito arabo siriano?

È in questo scenario sempre più carico di tensione e affollato di potenze internazionali (cui si somma la Cina che ha inviato nelle acque siriane la portaerei Lianoning [98], forse per prendere parte ai bombardamenti contro il Califfato o forse solo per testimoniare il suo sostegno a Mosca), che si inquadra l'intervento di Francia, Germania e Regno Unito.

Damasco non ha mai concesso il proprio spazio aereo alla coalizione a guida americana, accusando i bombardamenti effettuati da Washington di essere al contrario la causa dell'avanzata dell'ISIS [99], né il governo di Baghdad sembra ora aver bisogno di soccorso, considerato che, grazie alla collaborazione instaurata a fine ottobre con la Russia, l'Iran e la Siria [100], l'esercito regolare ha velocemente ribaltato la situazione sul campo ed è ora ad un passo dalla liberazione di Ramadi, capoluogo del governatorato di Al Anbar finora controllato dal Califfato. Che ci vanno quindi a fare François Hollande, Angela Merkel e David Cameron in Siria ed Iraq? Perché questo pericoloso intervento delle cancellerie europee in Medio Oriente quando l'ISIS è in rotta sia in Siria che in Iraq?

È vero che il presidente francese ha incontrato Vladimir Putin per coordinare le operazioni militari contro l'ISIS ed ha ammorbidito i toni su Bashar Assad, ma la distanza tra gli angloamericani ed i russi, i veri dominus della situazione, sono tutt'ora incolmabili, con Barack Obama che insiste per il cambio di regime a Damasco. È lecito il sospetto che i fidi esecutori europei delle direttive atlantiche convergano verso il Medio Oriente proprio perché il Califfato è ad un passo dalla sconfitta, che sancirebbe la definitiva espulsione degli angloamericani dalla regione petrolifera e la sostituzione del defunto ordine (ormai tramutatosi in caos) statunitense, con un ordine russo-iraniano-cinese.

Come dimostra chiaramente infatti l'abbattimento del Su-24 russo, lo spazio tra Iraq e Siria è una polveriera che offre decine di casus belli al giorno, buoni per avviare un conflitto regionale o mondiale.

Con gli attentati del 13/11 di Parigi, gli strateghi angloamericani hanno quindi predisposto la scacchiera, mobilitando gli europei e riuscendo persino nell'impensabile impresa di coinvolgere Berlino. Manca poco perché tutti i pezzi siano al loro posto: USA, GB, Francia, Germania, Turchia, Russia, Iran e Cina. A quel punto basterà lo sconfinamento di un jet turco, un'incursione israeliana in Siria od una bomba caduta sul lato sbagliato della frontiera, per dare inizio alla partita. Sarà allora guerra, combattuta non contro l'ISIS, ma attraverso l'ISIS.


Autonomia e Riforma Fiscale




La prima carta, Autonomia, rappresenta i violenti scontri avvenuti a Parigi e presieduti dai gilet gialli, in seguito alle proteste motivate dal rincaro del prezzo del greggio.
Nella seconda carta, Riforma fiscale, è illustrata una ghigliottina, un simbolo della rivoluzione francese; durante la rivoluzione colorata del 2018 compiuta sotto l'egida dei gilet jaunes è stata più volte usata una ghigliottina per simboleggiare il sentimento di protesta. Entrambe le carte suggeriscono che le proteste dei gilet gialli sono finanziate dalle potenze marittime (USA e GB) per incendiare l'Europa.

Nell'ultimo scorcio del 2018 si assiste ad una molteplicità di crisi apparentemente inestricabile ed indecifrabile: la probabile uscita "caotica" di Londra dall'Unione Europea, il braccio di ferro tra Roma e Bruxelles, le proteste dei "gilet gialli" in Francia, il riaccendersi delle tensioni attorno alla Crimea, l'uscita degli USA dall'accordo sui missili nucleari a medio raggio, le pressioni americane sul Nord Stream 2, l'escalation politica-economica tra Cina e USA culminata con l'arresto della figlia del fondatore di Huawei. Nessuna di queste crisi si estinguerà in fretta, gettando le basi di un 2019 "esplosivo". È quindi opportuno fare un po' di ordine, riconducendo questi diversi eventi ad un unico discorso: la lotta delle potenze marittime contro l'Eurasia.

Dal golfo di Biscaglia al Mar cinese.

Chi osservi oggi il panorama internazionale non può che rimanere stupito ed intimorito dalla molteplicità di crisi che si accavallano senza sosta: il Regno Unito è quasi certamente destinato ad un rovinoso divorzio con la UE, la Quinta Repubblica sembra scricchiolare sotto l'onda d'urto dei "gilet gialli", il barometro finanziario dell'Italia segna tempesta, la Crimea è nuovamente motivo di preoccupazione per il braccio di ferro tra Russia e Ucraina attorno allo stretto di Kerch, gli USA minacciano di schierare nuovamente in Europa i missili nucleari a medio raggio, riportando così le lancette dell'orologio indietro agli anni più bui della Guerra Fredda, le tensioni politiche-commerciali tra USA e Cina hanno raggiunto una nuova vetta con il clamoroso arresto della figlia del fondatore di Huawei, colosso cinese delle telecomunicazioni finito nel mirino economico-militare degli USA. Il sommarsi di queste crisi potrebbe facilmente stordire l'osservatore, spingendolo a parlare genericamente di "caos" o "anarchia" internazionale. In realtà, questi fenomeni apparentemente scollegati sono riconducibili alla lotta delle potenze marittime a quelle continentali: nella fattispecie alla secolare guerra degli angloamericani all'Eurasia.

Partiamo mettendo in evidenza la dialettica Terra-Mare. Da una parte si hanno le tre grandi entità politiche continentali (Unione Europea, Russia e Cina), che occupano buona parte dell'Eurasia e, situate ai margini, le potenze marittime (USA e GB). Quella delle potenze marittime non è solo una marginalità geografica, ma sempre più una marginalità economica e politica. Un crescente numero di attori, dalla Turchia al Pakistan, passando per l'Iran e l'Iraq, guardano ormai alla Russia o alla Cina per sicurezza / investimenti; l'Unione Europea e la Cina rappresentano poi rispettivamente la prima e la terza (aspirante seconda, prima cioè degli USA) economia mondiale. Ora, sic rebus stantibus, l'integrazione tra queste tre grandi entità politiche non farebbe che aumentare col tempo, anche perché, a differenza del Novecento, non esiste più nessuna barriera ideologica a dividerle: Pechino costruirebbe la propria nuova via della Seta marittima / terrestre verso l'Europa e Mosca poserebbe volentieri i gasdotti, aprendo il proprio mercato agli investimenti europei. Nel volgere di un decennio scarso, l'influenza mondiale delle potenze marittime crollerebbe.

Occorre quindi agire. Cosa progettano gli strateghi angloamericani? La solita destabilizzazione continentale, già cara a Lord Palmerston, che incendi Europa ed Asia. Nessuna delle tre grandi entità politiche deve quindi essere risparmiata: Unione Europea, Russia e Cina. Ora, apriamo una piccola parentesi sull'Unione Europea: come abbiamo sempre sottolineato nelle nostre analisi, la UE è nata come il corrispettivo politico della NATO, tanto che entrambe le organizzazioni hanno la sede a Bruxelles. La UE, quindi, come "prodotto" angloamericano: nello specifico, come "testa di ponte" angloamericana in Eurasia (Zbigniew Brzezinski dixit). Qualsiasi organizzazione dotata di una propria struttura e di centri decisionali può però, ad un certo punto, emanciparsi, specie se esiste uno o più attori regionali (Germania e Francia), in grado di amministrare autonomamente l'unione. Per usare una similitudine, l'Unione Europea potrebbe ad un certo punto emanciparsi dagli angloamericani come i figli si emancipano dai genitori, andando per la propria strada. Possono USA e GB permettersi l'indipendenza dell'Unione Europea? Assolutamente no. Finché gli angloamericani conservavano l'indiscusso primato economico e militare (1945-2008), era loro interesse difendere ed estendere la CECA-CEE-UE: l'interesse scompare e si trasforma in volontà di distruzione quando questo primato viene meno.

La svolta "sovranista" di Londra (referendum per la Brexit) e Washington (elezioni di Donald Trump) coincide col mutato sentimento dell'establishement atlantico verso l'Unione Europea. L'Unione Europea ed il nocciolo dell'eurozona saranno destabilizzati. Sebbene molte banche d'affari diano ancora l'ipotesi come sfavorita [76], è probabile che Londra abbandoni l'Unione Europea nel modo più rovinoso possibile, ossia con l'opzione "no deal" e lasciando che l'Inghilterra esca dalla UE senza alcuna intesa, entro il 2021. Il burrascoso divorzio di Londra, con importanti ricadute finanziarie ed economiche, sarà l'innesco della "bomba" collocata nel lato meridionale dell'Europa, ossia l'Italia. Il rallentamento economico a livello globale e la nascita di un governo populista (benedetto da Goldman Sachs) rendono infatti la terza economia d'Europa più fragile che mai: è sufficiente uno choc esterno perché il nostro debito pubblico vada incontro a seri problemi di solvibilità. Possono l'eurozona e la UE sopravvivere ad un default italiano / Italexit?

Spostiamoci così al nord delle Alpi. Con il lento eclissarsi di Angela Merkel, la guida dell'Unione Europea è stata formalmente assunta da Emmanuel Macron, che si è fatto portatore del progetto (inconcludente) di riforma dell'eurozona. L'ex-banchiere Rothschild non è certamente popolare, resta il fatto che le possibilità dell'Europa di resistere all'assalto atlantico sono appese alla sua persona. La sua proposta, ai primi di novembre, di creare un esercito europeo per "nous protéger à l'égard de la Chine, de la Russie et même des États-Unis d'Amérique" [77], ha scatenato l'immediata ira di Donald Trump, che non si è certamente limitato a rispondere per le rime su Twitter. Se, infatti, il progetto di emancipazione militare europeo andasse in porto, per gli USA diverrebbe molto più difficile "incunearsi" militarmente tra Europa e Russia. Washington ha infatti in serbo per l'Europa un ritorno in grande stile alla Guerra Fredda, così da recidere qualsiasi legame politico-economico tra le capitali europee occidentali e Mosca: verso la fine di ottobre (prima quindi della clamorosa asserzione di Macron) gli USA hanno annunciato la loro uscita dal trattato INF del 1987 che, ritirando i missili nucleari tattici dal suolo europeo, aveva aperto al disgelo tra URSS e USA. Il 4 dicembre, il segretario di Stato Mike Pompeo ha lanciato un ultimatum di 60 giorni alla Russia perché smantelli i propri (presunti) euromissili, lasciando intendere che Washington sarebbe pronta a schierare nuovamente i propri. In questo modo, dalla Romania alla Polonia, si alzerebbe una nuova cortina di ferro, col dispiegamento di armi nucleari tattiche da un lato e dall'altro.

L'intenzione di Emmanuel Macron di emancipare la Francia e l'Europa dalla tutela americana è certamente all'origine della rivoluzione colorata nota come "gilet jaunes": anziché "la corruzione", si è scelta questa volta come pretesto per le manifestazioni, sempre più violente, il rialzo delle accise sui carburanti. Donald Trump ha rivendicato, piuttosto sfacciatamente, le proteste con un tweet che collega i "gilet jaunes" alla "military protection" degli USA (già il "maggio francese" fu un tentativo di rovesciare Charles De Gaulle e sabotare l'asse franco-sovietico).

Solida e monolitica è invece, come sempre, la Germania: talmente solida da osare l'inosabile. Portare cioè avanti il raddoppio del Nord Stream, nonostante la crescente ostilità di Washington: è probabile che, nel corso del 2019, gli USA tentino di affossare definitivamente il progetto, facendo forse leva sul peggioramento della situazione politica in Ucraina.

Ci spostiamo così ad est, dove negli ultimi giorni di novembre del 2018 è riesplosa la tensione attorno allo stretto di Kerch. L'Ucraina (cui dovrebbero guardare con attenzione i sovranisti italiani che sognano di essere "liberati" dagli USA) è impiegata dagli angloamericani per inasprire a piacimento i rapporti tra Russia ed Occidente. Il sogno degli strateghi angloamericani è probabilmente un intervento militare russo, che consentirebbe di erigere una cortina di ferro invalicabile: missili nucleari tattici, sospensione del Nord Stream e, nuovo round di sanzioni. Hard Brexit, Italia e Ucraina sono le maggiori minacce che gravano sul 2019 europeo.

Spostiamoci più a est ancora, per approdare nell'Impero celeste da cui si dovrebbe diramare la nuova via della Seta del XXI secolo. La Cina rappresenta per gli USA ciò che la Germania guglielmina rappresentava per l'impero britannico: il nemico più temibile. Più popolosa, dotata di una forza lavoro disciplinata ed efficiente, munita di infrastrutture avveniristiche, all'avanguardia nei campi più promettenti e redditizi dell'industria e delle telecomunicazioni, la Cina è naturalmente destinata al sorpasso sugli USA, proprio come Berlino era naturalmente destinata al sorpasso su Londra a inizio Novecento. Il riequilibrio degli scambi commerciali non è certamente sufficiente per gli USA, interessati a tarpare le ali alla potenza cinese prima che sia troppo tardi: il clamoroso arresto. per la presunta violazione delle sanzioni all'Iran. di Meng Wanzhou, figlia del fondatore di Huawei (finita nel mirino degli USA per la superiorità nel campo delle telecomunicazioni di quinta generazione), è una deliberata provocazione, con cui gli USA sembrano rinunciare alla diplomazia in favore della forza. Può un Paese orgoglioso come la Cina accettare che il numero due di un proprio colosso dell'IT sia arrestato dai concorrenti nella sfida per accapparrarsi il vitale mercato delle telecomunicazioni? Si è detto che Meng Wanzhou sia stata arrestata col pretesto di aver aggirato l'embargo all'Iran, un altro Paese che le potenze atlantiche getterebbero volentieri nel caos nel corso del 2019, sia per alleggerire la posizione strategica di Israele che per arrestare la crescente convergenza di Teheran verso Russia e Cina (persino Pechino ha dovuto sospendere le sue importazioni di greggio dall'Iran su pressione americana [78]).

Nel 2019, le potenze marittime attaccheranno quindi l'Eurasia dal Golfo di Biscaglia al Mar Cinese. Il coordinamento tra Parigi, Berlino, Mosca e Pechino è, forse, l'ultima chance per scongiurare la guerra.

Ammuina britannica e altre questioni continentali

Il Parlamento inglese ha inflitto una sonora sconfitta a Theresa May, affossando l’accordo Regno Unito-Unione Europea faticosamente redatto sin dalla primavera del 2017. La bocciatura dell’accordo era una condizione necessaria, ma non sufficiente, per arrivare alla No Deal Brexit, che Londra persegue segretamente sin dall’esito del referendum: è toccato ai partiti paralizzare il Parlamento inglese sino al 29 marzo 2019. Lo choc della No Deal Brexit infliggerà un durissimo colpo alla già debilitata Unione Europea, sempre più vicina alla recessione. Altri interessanti avvenimenti suggeriscono una politica angloamericana dall’inconfondibile sapore anti-continentale.

Pochi giorni alla No Deal Brexit

Che anno sarà il 2019? Beh, l’unica certezza riguarda le nostre azioni future.

Partiamo con la clamorosa sconfitta di Theresa May al Parlamento inglese che, con 432 voti contrari e 202 favorevoli, ha sonoramente bocciato l’accordo per l’uscita ordinata del Regno Unito dall’Unione Europea: si trattava del frutto di lunghi e faticosi negoziati, avviati nella primavera del 2017, quando la stessa Theresa May aveva attivato l’articolo 50 del Trattato di Lisbona. Correva allora il 29 marzo 2017 ed erano previsti due anni per raggiungere una qualche forma di intesa: ne deriva che, sic rebus stantibus, l’Inghilterra uscirà comunque dall’Unione Europea nel corso del 2021. Con o senza accordo.

L’obiettivo segretamente perseguito dall’Inghilterra sin dal referendum è proprio un’uscita senza accordo, un caotico divorzio del Continente che massimizzi i danni economici-finanziari e destabilizzi ulteriormente la già fragile e malconcia Unione Europea. Sul perché di tale strategia abbiamo già scritto e detto, ma è probabilmente opportuno rinfrescare la memoria del lettore: le potenze marittime angloamericane, con la svolta “populista-sovranista” del 2017, hanno dichiarato guerra alla loro ex-creatura, l’Unione Europea, nel timore che l’intera Europa centro-occidentale si integrasse con la Russia e la Cina, spostando definitivamente il fulcro del mondo dagli Oceani all’Eurasia. Per l’Unione Europea, perciò, è in serbo un futuro di caos, disgregazione, rigurgito di nazionalismi e (senza alcuna esagerazione), conflitti militari. Quando il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, asserisce che è interesse della Russia un’Unione Europea forte ed indipendente, non mente [102]: a Mosca sanno benissimo cosa significa la risurrezione dei nazionalismi appoggiati dagli angloamericani, avendolo prima sperimentato in Jugoslavia e poi in Ucraina.

Torniamo al voto sulla Brexit. Sin dalla Rivoluzione Inglese, la politica estera di Londra è sempre stata una e soltanto una: contro il continente. Il regime parlamentare permette di perseguire tale strategia in modo subdolo ed ingannevole: tory e whigh, imperialisti e liberali, conservatori e laburisti, pacifisti e guerrafondai, francofili e francofobi, germanofili e germanofobi, russofili e russofobi. Tutti costoro si alternano, litigano, strepitano, promettono, fanno e disfano. Ma la politica estera è sempre e soltanto una: contro il continente.

Nel caso in esame, tutto l’arco parlamentare mira segretamente alla No Deal Brexit, ma la vuole ottenere in modo quasi “accidentale”, cosicché le drammatiche conseguenze economiche e finanziarie sembrino il frutto non di un disegno lucido e preciso, ma del “caso”. Così, prima il voto sull’accordo è stato spostato dall’11 dicembre 2018 al 14 gennaio 2019, per ridurre di un mese il lasso di tempo per approntare una risposta. All’indomani della bocciatura dell’accordo UE-Brexit, la malconcia May, poco più che un cadavere politico, è stata mantenuta a Downing Street, sopravvivendo ad un voto di sfiducia (325 voti contro 306), ostaggio dell’ala più oltranzista del partito conservatore, quella che apertamente invoca il No Deal. Per i laburisti di Corbyn (che già si sente primo ministro), non ci può essere alcun negoziato finché i conservatori non rinunceranno all’opzione “No Deal”: ne scaturisce un insieme di veti incrociati che porterà il Regno Unito ad una rovinosa uscita dalla UE nel corso del 2021, dopo un “facite ammuina” al Parlamento inglese che, nel 2019, è durato una settantina di giorni.

Il No Deal Brexit si abbatterà così sull’Unione Europea alle prese con:
  • una recessione economica alle porte, con conseguenze esplosive per la tenuta del sistema bancario dell’europeriferia e della stessa eurozona;
  • una Francia in balia della rivoluzione colorata dei gilet jaunes;
  • governi populisti in Italia e Polonia, pilotati a piacimento dagli angloamericani.

L’effetto di questa molteplicità di crisi sulla sovrastruttura europea è facilmente immaginabile.

Il rapporto Italia e Polonia merita un piccolo approfondimento. Nel mese di dicembre, il vicepremier Matteo Salvini stupì molti proponendo un asse Roma-Berlino: il senso dell’operazione era tentare di rompere l’asse franco-tedesco, sfruttando la palese debolezza di Macron, ed infliggere il colpo di grazia alla UE. Non ci può essere Unione Europea, infatti, senza collaborazione tra Parigi e Berlino. I tedeschi hanno ovviamente rifiutato, obbligando così il vicepremier a ripiegare sulla Polonia nazionalista di Diritto e Giustizia. Si tratta della stessa Polonia che, insieme ai Paesi Baltici ed all’Ucraina, guida il fronte del “no al Nord Stream 2”, sotto l’ala protettiva degli angloamericani. La vicenda del gasdotto che dovrebbe unire Russia e Germania ha risvegliato le più profonde fobie delle potenze marittime, che vedono in questa infrastruttura la concretizzazione di un’alleanza (franco)tedesca-russa, già aborrita da Sir Halford Mackinder. L’ambasciatore americano a Berlino, Richard Grenell, è addirittura arrivato a minacciare l’imposizione di sanzioni economiche contro le società tedesche coinvolte nell’opera [103], ultimo passo di un’escalation tedesco-americana iniziata col Dieselgate.

L’UE quindi deve essere smontata, la potenza economica tedesca indebolita il più possibile e, tra Polonia e Romania, deve risorgere un “vallo” che separi le capitali dell’Europa occidentale da Mosca (e, in prospettiva, da Pechino): gli USA, il 2 febbraio 2019, si sono ritirati dal Trattato sui missili nucleari a medio raggio [104][105]. Difficilmente i missili tattici saranno ricollocati in Germania, che si sta molto agitando in merito, ma è facile che trovino ospitalità presso qualche Stato “sovranista e nazionalista” dell’Est Europeo.

Il Nuovo Ordine Mondiale annunciato nel 1991, basato su UE/NATO (l’ipotesi di un’uscita degli USA dall’Alleanza Nord Atlantica non deve affatto essere considerata un’idea estemporanea di Donald Trump [106] che, lungi dall’avvantaggiare i russi, sposterebbe il focus americano sui singoli nazionalismi), giunge quindi rapidamente al termine. Ma c’è poco da rallegrarsi, perché lo scontro tra potenze marittime e potenze continentali sta per entrare nel vivo.

Quando l’élite inventa "il popolo contro l’élite"

Dalla Brexit alla nascita dei gilets jaunes in Francia, passando per l’elezione di Trump e la nascita del governo pentaleghista, il dibattito pubblico è dominato dal tema "il popolo contro l’élite": gli stessi media avvalorano la tesi di una ribellione "nazional-popolare" contro le élite trans-nazionali ed il loro sistema socio-economico, ormai insostenibile per l’elettore medio Assodato che la storia è scritta dalle élite, i leader populisti rappresentano una "nuova élite" contro la precedente? Sono "il meglio" del popolo che sfida il vecchio ordine? No, semplicemente l’élite angloamericana ha "inventato" una ribellione del popolo contro se stessa e ne ha scelto persino i capi: la funzione dei "populisti" è quella di demolire un sistema internazionale che non fa più gli interessi di chi l’ha costruito.

E crearono i populisti a loro immagine

Qualsiasi forma di governo (monarchico, oligarchico, democratico) si basa su un’élite e, di conseguenza, lo scontro tra diversi Stati non è nient’altro che uno scontro tra élite diverse. L’élite esprime una linea politica di medio-lungo termine, sceglie il modello di sviluppo economico, stabilisce persino ciò che è buono e bello. Il popolo si può definire come uno "strumento al servizio dell’élite", che teoricamente avrebbe interesse al benessere delle masse non soltanto per "usarle" nello scontro contro le altre élite, ma anche per conservare il potere. Nulla vieta, infatti, che in seno al popolo si formi "una nuova élite" che, sfruttando le debolezze della precedente, si lanci alla conquista del potere: illuminanti, a questo proposito sono le "avanguardie del proletariato" di leninista memoria.

Posto che la storia è fatta dall’élite, possiamo quindi smontare la teoria del "popolo contro l’élite": il popolo segue, l’élite avanza. La domanda successiva è: i populisti rappresentano una nuova élite, in netta opposizione a quella precedente? Si può parlare di uno scontro tra élite? I brexiters, Trump, i pentaleghisti ed i gilets jaunes sono le nuove "avanguardie del popolo"? Beh, se così fosse, se rappresentassero davvero una nuova élite, dovremmo osservare un qualche cambiamento nel loro approccio in politica estera: lungi dal fare l’interesse del popolo, le "nuove élite" sembrerebbero portare avanti la stessa politica di potenza di quelle precedenti: opposizione alla Cina, contenimento della Russia, sfida alla Germania. Tra "l’Occidente" e gli "sfidanti" non si registra nessun cambiamento, lasciando pensare che i rappresentanti del popolo siano soltanto un camuffamento della vecchia élite.

È davvero così? E, se la risposta è affermativa, perché l’élite ha dovuto camuffarsi, creando la falsa (poiché priva di qualsiasi fondamento storico) dialettica del "popolo contro l’élite"?

Una risposta avventata ed errata sarebbe quella di affermare che l’élite ha concesso al popolo quel minimo di cambiamento necessario per tenerlo sotto controllo: dopo anni di impoverimento della classe media e di politicamente corretto, era necessario "raddrizzare" un po’ la rotta per evitare di schiantarsi contro gli scogli del malessere popolare. Niente di più errato: purtroppo i mezzi di manipolazione/repressione sono tali che l’élite avrebbe potuto proseguire indisturbata le proprie politiche. E allora perché inventare i populisti e la "guerra all’élite"? La risposta è: perché all’élite serviva distruggere l’attuale ordinamento internazionale, che non rispecchia più i suoi interessi. Ne è derivata la creazione della dialettica "popolo contro élite", per radere al suolo ciò che la stessa élite aveva edificato negli ultimi settant’anni. I brexiters, Trump, i pentaleghisti ed i gilets jaunes sono strumenti dell’élite per archiviare "il Nuovo Ordine Mondiale" consolidatosi dopo il collasso dell’URSS nel 1991.

Dopo il collasso dell’Unione Sovietica, l’oligarchia atlantica instaurò un sistema socio-economico, basato sulla libertà di spostamento di persone, merci e capitali, che, ideato per avvantaggiare in primis Londra e Washington, ha finito con l'avvantaggiare soprattutto Cina (tramite l’export di prodotti finiti), Germania (sempre tramite l’export di prodotti finiti) e Russia (tramite l’export di materie prime). L’élite atlantica era, in sostanza, "il garante" di un sistema internazionale dove gli altri prosperavano: il progressivo assottigliamento del vantaggio degli angloamericani sui contendenti, ha indotto l’élite atlantica a staccare la spina all’ordinamento costruito negli ultimi decenni. UE, NATO, libero scambio, organismi sovranazionali: niente si salva dalla furia distruttrice dell’élite atlantica che, per il lavoro di demolizione, si serve dei "populisti".

La rivolta del "popolo contro l’élite" è così, in Europa, soprattutto anti-tedesca: la Brexit, il governo pentaleghista ed i gilets jaunes mirano alla distruzione dell’Unione Europea, considerata un "moltiplicatore" della potenza tedesca. La rivolta del "popolo contro l’élite" è, negli USA, soprattutto anti-cinese: la guerra dei dazi imposta da Trump punta all’indebolimento dell’economia cinese, nella speranza che il Dragone entri in recessione. In nessun luogo, infine, il "popolo contro l’élite" si è tramutato in apertura alla Russia, prolungando l’accerchiamento economico-militare iniziato durante l’amministrazione Obama. Anzi, sembra che il "populista" Trump abbia deciso di aumentare la pressione sul colosso euroasiatico ritirando gli USA dal trattato sui missili nucleari tattici del 1987.

Se il confronto tra le potenze marittime e quelle continentali dovesse acuirsi, nulla impedisce che l’oligarchia atlantica trasformi gli attuali populismi in fascismi/nazionalismi che, oggi come negli anni ‘30, si definirebbero come antagonisti dell’élite pluto-guidaico-massonica.

Chiudiamo con una breve parentesi sull’Italia, l’unico grande Paese europeo storicamente carente di un’élite degna di questo nome. I piemontesi smisero di costituire l’ossatura dello Stato con la fine del periodo liberale; il fascismo affiancò ai (modesti) capitani d’industria del Nord Italia una struttura amministrativa basata sull’IRI; dal matrimonio partecipate statali-Democrazia Cristiana uscì l’ultima élite italiana, poi spazzata via da Tangentopoli. L’Italia è senza classe dirigente da circa 30 anni, tanto che la FIAT ha potuto trasferire nel 2014 sede fiscale e operativa all’estero senza sollevare nessuna protesta: impensabile per qualsiasi Paese europeo dotato di un’élite nazionale. Fa quindi ridere che in Italia proliferi il dibattito "popolo contro l’élite": in Italia c’è solo popolo, amministrato a piacimento da un’élite che sta oltre Oceano.

Via della Seta, un nuovo South Stream

L'annuncio della firma di un memorandum italo-cinese per lo sviluppo della Nuova Via della Seta ha innescato una tempesta: gli USA, anche tramite il canale indiretto di Bruxelles, hanno espresso la loro contrarietà all'iniziativa, scompaginando il quadro politico e alzando un immediato coro di allarmi. La geografia della penisola italiana, collocata nel cuore del Mediterraneo e allo stesso tempo connessa col Continente, ci rende la naturale destinazione di qualsiasi infrastruttura Est-Ovest: le stesse ragioni che hanno affossato il South Stream potrebbero però condannare anche la Via della Seta. Solo la Germania dimostra di essere sufficientemente forte da sviluppare i progetti euroasiatici.

Opportunità e realtà

Correva il maggio 2017 quando, unico premier tra i Paesi del G7, Paolo Gentiloni partecipava al Forum sulla Nuova Via della Seta nei pressi del suggestivo lago Yanqi, a Nord di Pechino. Il viaggio di Gentiloni era giustificato dalla prospettiva dischiusa dall'ambizioso piano infrastrutturale cinese, che, nella sua variante marittima, unirà Sud-Est Asiatico, Corno d'Africa e Europa: "L'Italia può essere protagonista in questa grande operazione a cui la Cina tiene molto: per noi è una grande occasione e la mia presenza qui significa quanto la riteniamo importante".[261] A distanza di quasi due anni, il percorso avviato da Gentiloni ha fatto un ulteriore passo in avanti, il 22 marzo 2019, con la firma di un memorandum d'intesa, durante la visita in Italia del presidente cinese Xi Jinping: si tratta di uno storico viaggio che, secondo quanto trapelato, ha toccato anche la Sicilia, cuore nevralgico del Mediterraneo.

La notizia della firma del memorandum (un documento di massima che, si noti, non implica alcuna azione concreta e ribadisce soltanto la volontà di collaborare) ha immediatamente scatenato la reazione euroatlantica: l'imput è partito da Washington, dove si è scomodato Garrett Marquis, portavoce del National Security Council, che ha sconsigliato l'Italia dal dare legittimità internazionale al progetto cinese.

A stretto giro, la Commissione Europea ha rincarato la dose, ammonendo l'Italia dall'intraprendere azioni unilaterali ed invitando ad affrontare la questione della Via della Seta nella cornice dell'Unione Europea: si tratta di un richiamo che nasce certamente al di là dell'Atlantico ed è recapitato all'Italia attraverso le istituzioni europee. Mai come in questo periodo critico, infatti, sta emergendo la natura più atlantica che europea della sovrastruttura di Bruxelles, decisa a bloccare la nascita di grandi colossi industriali (fusione Alstom-Siemens), menomare il Nord Stream 2 imponendo norme restrittive, fermare gli investimenti cinesi ovunque se ne presenti l'occasione, etc. L'azione congiunta di Washington e Bruxelles ha prodotto gli effetti di una granata tra le fila della politica italiana: se fino a quel momento, l'iniziativa della Via della Seta era andata avanti per forza d'inerzia, trascurata pressoché da tutti tranne che pochi addetti ai lavori, improvvisamente la politica si è polarizzata tra favorevoli e contrari al progetto, trovando nella Lega Nord (e persino nel PD di Zingaretti!) una sponda particolarmente sensibile agli ammonimenti di Washington e Bruxelles. L'Italia, così, si trova nella paradossale posizione di dover accogliere il presidente Xi Jinping per firmare un memorandum che, con ampia probabilità, già si riserva di non rispettare: non sarebbe la prima volta che l'Italia dà il via libera a un progetto euroasiatico che, sebbene rappresenti sulla carta un decisivo rilancio dell'asfittica economia nazionale, sia destinato a rimanere lettera morta.

Partiamo da alcune considerazioni squisitamente geografiche: lunga circa mille chilometri, la penisola italiana è, per sua stessa definizione, metà isola e metà continente. Le regioni meridionali la proiettano in modo naturale verso i Balcani, il canale di Suez e le coste tunisine, mentre quelle settentrionali la incastonano nel Continente, tanto che, fino alla Prima Guerra Mondiale, il nord-est era considerato parte integrante del sistema economico-militare di lingua tedesca. In sostanza, l'Italia è la cerniera perfetta tra Est ed Ovest, tra Europa ed Asia.

Il primo colosso euroasiatico a cogliere il potenziale dell'Italia è stato, nell'ultimo decennio, la Russia di Vladimir Putin che, non confidando (a ragione) sulla stabilità dell'Ucraina, aveva già valutato nel 2006/2007 (governo Prodi II) di diversificare la rete di gasdotti europei, usando l'Italia come principale testa di ponte in Europa Occidentale: Otranto e Tarvisio sarebbero dovuti diventare i due terminali del gas in arrivo dalla Russia, via Mar Nero, consentendo al nostro Paese di trasformarsi in uno snodo energetico di primo piano, con benefici in termini di minor costi energetici e maggiori introiti per il pedaggio del metano. L'intrinseca debolezza economica e politica dell'Italia, unita alla crisi ucraina (annessione della Crimea del marzo 2014), indussero i russi a rinunciare al South Stream nel dicembre 2014, poi riesumato in forma ridotta col Turkish Stream. L'Italia, così, non solo perse l'occasione di costruire il gasdotto tramite Saipem, ma soprattutto vide sfumare la possibilità di diventare il "ponte energetico" tra Russia ed Europa occidentale. È un ruolo, quello che avrebbe potuto essere dell'Italia, ereditato in buona parte dalla Germania: questo è punto decisivo, su cui bisogna affermarsi.

Il South Stream aveva un corrispettivo nel Mar del Baltico, il Nord Stream, con una capacità annua di 55 miliardi di metri cubi di gas sull'asse Germania-Russia: nonostante le rimostranze polacche ed angloamericane, il gemello nordico del Nord Stream è stato regolarmente terminato nel 2011. Non solo: i tedeschi hanno colto l'opportunità di trasformare il loro Paese in ciò che avrebbe potuto essere l'Italia, ossia lo snodo tra Est ed Ovest. Hanno così messo in cantiere il raddoppio del Nord Stream che, con i suoi 110 milioni di metri cubi annui di gas, rimpiazza de facto il defunto South Stream. Tutto si può dire, meno che quest'opera sia costata poco alla Germania, che ha dovuto reggere l'assalto angloamericano al sistema Paese (Dieselgate e Deutsche Bank), fronteggiare l'ostruzionismo di Bruxelles, incassare le minacce di Trump all'ONU (dove il presidente americano collocò Berlino, "totalmente dipendente dalla Russia", fuori dall'emisfero occidentale).[262] Stando agli ultimi sviluppi, non è nemmeno escludibile che le aziende tedesche coinvolte nella realizzazione del Nord Stream 2 siano oggetto di sanzioni economiche in un prossimo futuro, come una società iraniana o russa qualsiasi. Ciononostante, la Germania tira dritto in vista di un risultato ecclatante: diventare il centro di smistamento europeo del gas russo, un ruolo che avrebbe potuto essere anche dell'Italia.

Per la Nuova via della Seta, vale lo stesso discorso. Contando sul fatto che la Cina è ormai il primo partner commerciale della Germania, i tedeschi hanno costruito in silenzio la propria via della Seta, marittima e terrestre. La declinazione marittima, quella più strettamente in competizione con l'Italia, poggia su un sistema portuale "allargato" che inizia a Rotterdam e termina ad Amburgo: sono porti distanti 5 (Genova e Trieste) o 7 giorni di navigazione (se le navi attraccassero in Meridione) più lontani di quelli italiani, eppure più competitivi, grazie alle migliori infrastrutture. La declinazione terrestre, invece, poggia sui treni transcontinentali che fanno la spola tra Cina e Germania, via Russia: trenta treni alla settimana coprono ormai la tratta euroasiatica e la città tedesca di Duisburg, le cui fortune sono state a lungo legate al carbone e all'acciaio, si è "reinventata" come terminale ferroviario dei treni merci in arrivo dalla Cina.[263]

Se l'Italia, anziché cogliere al balzo l'opportunità offerta dalla Nuova Via della Seta, esiterà o, addirittura, cederà alla pressione euroatlantiche, rimandando sine die il progetto, avverrà quanto già sperimentato col South Stream: la Germania "risucchierà" i traffici italiani, con l'effetto di allargare ulteriormente il divario di ricchezza tra i due Paesi e condannare la penisola ad un ruolo periferico. C'è ancora un'alternativa, tutt'altro che remota: che solo un pezzo della penisola italiana entri nella Via della Seta. Il Nord Italia, cioè, potrebbe infine allacciarsi al piano cinese in virtù della sua dipendenza economica e geopolitica con il mondo tedesco, mentre il Sud, sede delle basi statunitensi strategiche e di importanti infrastrutture tecnologiche israeliane ed angloamericane, ne rimarrebbe tagliato fuori, spaccando il Paese in due. La Nuova Via della Seta, in conclusione, è l'occasione del XXI secolo per l'Italia: il precedente del South Stream, non consente però di essere ottimisti sulla sua realizzazione.


Sicurezza Informatica




La carta "Sicurezza Informatica" si riferisce ad uno degli aspetti della guerra ibrida che si delinea all'orizzonte ed in particolare all'attacco cibernetico compiuto ai danni del Venezuela il 7 marzo 2019.

Blackout in Venezuela: assaggi della prossima guerra

Nel quadro delle manovre atlantiche per rovesciare il presidente Nicolas Maduro, il Venezuela è stato oggetto di un attacco informatico che, paralizzando la rete di distribuzione elettrica, ha inflitto pesanti danni al Paese. Le autorità venezuelane hanno esplicitamente parlato di attacco cibernetico, poi confermato dalle autorità cinesi che hanno prestato il loro aiuto per il ripristino della rete. Si tratta di un tipico esempio di "guerra ibrida", anticipazione del prossimo conflitto tra grandi potenze: ogni contendente cercherà di annichilire l'apparato produttivo dell'avversario con sabotaggi informatici ma, come nel caso dei bombardamenti aerei, difficilmente questo tipo di operazioni sarà risolutivo per la sconfitta del nemico.

Attacchi cibernetici: falsa rivoluzione militare

Qualcuno di voi ricorderà come, già alla fine della Grande Guerra del 1914-1918, si stessero aggiungendo due nuove dimensioni alla tradizionale dicotomia terra-mare: l'aria, con lo sviluppo dell'aviazione militare, e l'etere, con il controllo e la trasmissione dei dati. Queste nuove dimensioni non alteravano però la tradizionale geopolitica basata sulla contrapposizione tra potenze marittime e potenze continentali: aria e etere sono solo "nuovi campi di battaglia" tra gli angloamericani ed i colossi euroasiatici. I recentissimi sviluppi in Venezuela confermano le nostre fortunate intuizioni: nel Paese sudamericano, infatti, si sta assistendo ad un braccio di ferro tra Cina e Russia da un lato, Usa ed Inghilterra dall'altro, anche col ricorso alla guerra cibernetica.

Riepiloghiamo rapidamente i fatti. L'amministrazione Obama prima (colpo di Stato giudiziario in Brasile del 2016) e quella Trump dopo, hanno stabilito la reintroduzione della dottrina Monroe nel continente americano, per fermare l'influenza cinese e russa in forte espansione: la dottrina Monroe, datata 1823, è una dichiarazione politica molto "elastica", che consente agli USA di intervenire ovunque avvertano i loro interessi minacciati, in primis in Centro e Sud America. Disarcionata Dilma Rousseff e traghettato il Brasile nell'orbita nazionalista-atlantica, l'attenzione angloamericana si è spostata sul Venezuela.

Spesso, a nostro avviso, si dà troppa importanza al petrolio, certamente non in cima ai pensieri degli strateghi angloamericani, considerata anche l'attuale sovrabbondanza di oro nero. A Washington e Londra preme la caduta del governo bolivariano di Nicolas Maduro per ristabilire la completa egemonia in Sud America ed indebolire la già difficile posizione di Cuba. Un Venezuela "terzomondista" significa, infatti, la possibilità per Russia e Cina di disporre di una "piattaforma" distante 4.500 km dagli Stati Uniti, ideale per il dispiegamento di forze aeronavali o missili nucleari tattici. Le manovre per rovesciare Maduro sono iniziate con le proteste del 21 gennaio scorso, sono proseguite con la proclamazione di un capo di Stato, Juan Guaidò, spalleggiato dall'Occidente e non riconosciuto da Caracas e hanno fatto ricorso al solito armamentario dei cambi di regime: congelamento dei fondi all'estero, sanzioni economiche, corruzione di ambasciatori ed attacchi militari all'estero, etc. etc.

Fin qui niente di nuovo, niente di risolutivo e niente, pertanto, che valesse la nostra attenzione. La situazione si è però fatta interessante il 7 marzo 2019, quando un blackout ha paralizzato per circa una settimana la rete elettrica venezuelana, infliggendo gravi danni al Paese in termini economici e sociali: industria estrattiva paralizzata, aeroporti e ospedali in panne, acquedotti fermi, linee telefoniche fuori servizio, frigoriferi industriali e domestici inservibili, etc. La città di Maracaibo, la seconda più grande del Paese, è stata anche oggetto di violenze e saccheggi senza precedenti sull'onda del blackout.[264] Secondo una stima del governo venezuelano, i danni per i sette giorni di malfunzionamento della linea elettrica ammonterebbero a 870 milioni di dollari.[265] Il blackout, in particolare, sarebbe stato causato dall'interruzione del flusso di energia elettrica prodotta dalla diga di Guri che, completata negli anni ‘70, fornisce tuttora circa i tre quarti del fabbisogno elettrico venezuelano.[266]

Fin dalle prime ore, chiunque avesse dimestichezza con la moderna guerra ibrida, ha subito pensato ad un attacco cibernetico condotto dagli Stati Uniti contro il Venezuela, col tentativo di accelerarne l'implosione politica. A distanza di circa una settimana, quando il guasto è stato riparato e la corrente elettrica ripristinata, lo stesso Maduro ha accusato esplicitamente gli USA di aver sferrato l'assalto alla rete elettrica venezuelana, usando come basi le città americane di Houston e Chicago; un autorevole conferma della natura dolosa del blackout è venuta dal portavoce del ministro degli Esteri cinese, Lu Kang, che ha pubblicamente parlato di attacco hacker, volto a destabilizzare l'ordine sociale: i cinesi possono avanzare accuse su solide basi, considerato che hanno fornito l'assistenza tecnica per neutralizzare l'attacco cibernetico e ripristinare la distribuzione elettrica.

L'episodio merita senza dubbio di essere analizzato, in quanto costituisce un "assaggio" della prossima guerra tra grandi potenze, cioè del prossimo scontro tra Terra e Mare.

Si può dire, innanzitutto, che il progresso della tecnologia tenda ad allontanare sempre di più gli schieramenti avversari. Dall'introduzione della polvere da sparo all'introduzione dei missili intercontinentali, lo spazio che separa i due contendenti è letteralmente esploso: nel caso dell'attacco alla rete elettrica venezuelana, i tecnici americani sedevano a circa 5.000 chilometri di distanza dal Venezuela, eppure erano in grado di recare danno alle sue infrastrutture come una nave cannoniera avrebbe potuto fare, a inizio Novecento, solo se dislocata davanti alle coste venezuelane. Tende poi a sparire qualsiasi differenza residua tra militari e civili, aumentando l'imbarbarimento di un'attività che, per quanto cruenta, era un tempo soggetta ad un diritto universalmente riconosciuto dai popoli civilizzati: che fine ha fatto, ad esempio, la dichiarazione di guerra? Maggiore sicurezza, quindi, per chi attacca. Maggiore cinismo, anche. Ma anche altrettanta efficacia?

Il caso venezuelano dimostra che anche la paralisi della rete di distribuzione elettrica, protratta per una settimana, non è di per sé sufficiente a piegare l'avversario. Viene così spontaneo un parallelismo con il perfezionamento, circa un secolo fa, dell'arma aerea. L'introduzione di velivoli sempre più potenti e capaci di imbarcare (e sganciare) un peso crescente di bombe, aveva indotto l'italiano Giulio Douhet (1869-1930), il "Mahan dell'aria", a ritenere che l'aereo ed il dominio dei cieli sarebbero stati decisivi nei successivi conflitti: ne "Il dominio dell'aria" del 1921, Douhet introduce il concetto di bombardamento strategico, volto ad annientare la capacità industriale dell'avversario e atterrire la popolazione, poi adottato dalle aviazioni angloamericane nei successivi conflitti: dalla Seconda Guerra Mondiale all'invasione dell'Iraq. In nessuno dei conflitti combattuti dagli Stati Uniti negli ultimi 70 anni, l'arma aerea è però mai stata risolutiva, o di per sé sufficiente a sconfiggere l'avversario.

Partendo dalla massima del prussiano von Clausewitz, secondo cui la guerra "è un atto di violenza per imporre all'avversario la nostra volontà", è ormai assodato che i bombardamenti aerei non siano di per sé sufficienti a imporre la propria volontà al nemico. Lo stesso si può dire degli attacchi cibernetici che, pur costando relativamente poco e infliggendo danni relativamente gravi alle infrastrutture del nemico, sicuramente non annientano la sua capacità offensiva, né azzerano il suo morale. Il Venezuela, dopo sette giorni di blackout, è ancora in piedi.

La guerra cibernetica è quindi uno strumento necessario, ma non sufficiente per piegare l'avversario, specialmente se strutturato, industrializzato e disciplinato come una potenza euroasiatica: resta l'eterno problema di "imporre la volontà", risultato che non si può ancora ottenere senza il confronto fisico tra forze armate avversarie. La guerra cibernetica può rallentare la capacità dell'avversario di proiettarsi all'estero, ma prima o poi uno scontro sul campo di battaglia è inevitabile: forse il blackout venezuelano sarebbe stato risolutivo se abbinato ad un fulmineo blitz delle forze aeronavali americane. Ma siamo sicuri che anche questo attacco combinato avrebbe infine indotto il regime di Maduro alla resa? O sarebbe servito il vecchio sbarco dei marines?

Immaginiamo ora il prossimo conflitto tra grandi potenze, ognuna delle quali sta costruendo le sue unità di guerra cibernetica. All'apertura delle ostilità, ciascuno cercherà di piegare l'avversario, menomandone le capacità di resistenza/offesa: fabbriche, ferrovie, aeroporti, dighe, acquedotti, linee telefoniche, niente sarà risparmiato. Dopo qualche settimana, ciascuno avrà subito e inflitto danni, ma avrà anche imparato a neutralizzare gli attacchi avversari: statisticamente, infatti, le capacità militari tra potenze industrialmente avanzate si distribuiscono in maniera piuttosto simile. Per piegare l'avversario, non resterà quindi che ricorrere all'armamentario classico: marina, aviazione, esercito e deterrente nucleare. Anche in questo caso, però, è facile che si crei in fretta un equilibrio in termini qualitativi. Chi vincerà, quindi, la guerra? Non chi padroneggia meglio gli attacchi cibernetici ma chi, già all'apertura delle ostilità, avrà costruito la coalizione più forte. L'eterna superiorità della geopolitica...


Economia Voodoo


La carta denominata "Economia Voodoo" suggerisce che gli embarghi economici perpetrati dagli USA sono strumentali e funzionali ad abbattere l'economia dei Paesi emergenti non allineati alle politiche di Washington o delle colonie statunitensi che osano ribellarsi al diktat delle potenze marittime (USA e GB). Tra le operazioni che mirano a smontare i bastioni portanti dell'economia di interi Paesi, colpendo determinati bersagli con precisione chirurgica, si può menzionare l'affare Regeni, pensato dagli ambienti anglofoni per incrinare i rapporti tra l'ENI S.p.A. e l'Egitto, o il boicottaggio di particolari prodotti vitali per l'economia di alcuni Paesi, come l'olio di Palma per l'Indonesia e la Malesia. Analizziamo ora il caso Regeni, atto ad indebolire i rapporti economici tra l'ENI ed il governo de Il Cairo. Con l'affare Regeni sono stati presi due piccioni con una fava, dal momento che è anche stato negato il diritto all'esportazione alla società informatica milanese Hacking Team, una realtà da 40 € mln di fatturato, poiché l'Italia è un Paese a sovranità limitata, che non appartiene ai Five Eyes.

Omicidio Regeni: un anno di intrighi ai danni dell’Italia

Il corpo di Giulio Regeni, scomparso a Il Cairo, sarebbe stato rinvenuto una decina di giorni dopo il 25 gennaio 2016, innescando una reazione a catena che avrebbe portato alla rottura diplomatica tra Italia ed Egitto. Nel giorno della commemorazione, le più alte cariche dello Stato hanno chiesto ancora "verità" sul caso: c’è da chiedersi quale verità vogliano. Quella oggettiva, che porta dritto ad un’operazione sporca dei servizi angloamericani, o quella interessata, che ha nel mirino i vertici dell’Egitto? L’assassinio di Regeni si è dispiegato come un’articolata manovra ai danni dell’Italia: sono finiti nel mirino l’ENI e la nostra collaborazione col Cairo sul dossier libico. Ma anche una piccola società d’informatica milanese, l’Hacking Team, diventata d’intralcio al club degli spioni anglosassoni, noto come "Five Eyes".

Verità per Giulio Regeni o "una" verità per Giulio Regeni?

Si direbbe che non tutti i morti abbiano lo stesso peso: a parità di contesto, alcuni monopolizzano l’attenzione di media e politica per mesi, altri finiscono rapidamente nel dimenticatoio. L’incongruenza basterebbe, di per sé, a sollevare diversi interrogativi. Perché giornali ed istituzioni hanno dedicato poche e stringate parole a Giovanni Lo Porto, il cooperante ucciso in Afghanistan nel gennaio 2015 da un drone statunitense? Perché le istituzioni ed i media hanno liquidato in pochi giorni la vicenda di Fausto Piano e Salvatore Failla, i due tecnici uccisi in Libia, dopo che un raid americano a Sabrata fece saltare le trattative per la liberazione? Perché, al contrario, la triste storia di Giulio Regeni, il ricercatore sequestrato al Cairo e poi ucciso, è stata oggetto per un anno intero del dibattito politico, di inchieste, di manifestazioni e di appelli? Si direbbe che fosse utile dimenticare le morti di Lo Porto, Piano e Failla, e facesse comodo tenere quella di Regeni sotto i riflettori, il più a lungo possibile.

Il 25 gennaio 2016, a distanza di un anno dalla scomparsa del giovane ricercatore friulano, le più alte cariche dello Stato sono tornate sul caso ancora una volta: Sergio Mattarella, Paolo Gentiloni, Angelino Alfano, Laura Boldrini, etc. etc. La Repubblica, il quotidiano che è apparso fin dalle prime fasi del delitto Regeni come un protagonista attivo della vicenda, ha scritto:

"È passato un anno dalla morte di Giulio Regeni, il giovane ricercatore universitario rapito, torturato e ucciso al Cairo. E ancora la verità è lontana, dopo mesi di depistaggi assurdi (…) E dal mondo politico, delle associazioni, della magistratura arrivano appelli al governo affinché si muova, faccia pressione sulle autorità egiziane, perché gli assassini di Regeni vengano scoperti e puniti. Qualsiasi sia la catena di comando che ha deciso, avallato o comunque coperto gli autori di un omicidio che, secondo molti, porta direttamente alle piu alte sfere del potere."

La locuzione "secondo molti" è molto interessante. Non solo il caso Regeni ha monopolizzato l’attenzione dei media per un anno intero, ma ha assunto connotati quasi ridicoli, inducendo blasonati giornali a dimenticare persino le regole fondamentali del mestiere: non dare credito a fonti non verificate, trattare con le pinze gli anonimi, evitare a qualsiasi costo i "si dice", i "secondo alcuni", i "gira voce che". Ad esporsi maggiormente in questo senso è proprio la sullodata Repubblica che, nell’aprile 2016, esce col surreale articolo "Ecco chi ha ucciso Giulio: l’accusa anonima ai vertici con tre dettagli segreti sul caso Regeni" [123] dove si racconta di "un Anonimo" che scrive alla redazione del quotidiano romano ed indica come responsabili dell’omicidio di Regeni il capo della polizia criminale egiziana, il ministero dell’Interno, i vertici dei servizi segreti e, dulcis in fundo, il presidente Abd Al-Sisi in persona: illazioni, fonti non attendibili, risponderà tranciante la magistratura italiana a distanza di poche ore.

La Repubblica è lo stesso giornale che, a distanza di pochi giorni dal ritrovamento del corpo di Regeni, informava il pubblico che l’ENI avrebbe dovuto a breve firmare con l’Egitto il contratto per lo sfruttamento del maxi-giacimento di Zohr, sostenendo che "congelarlo, fino ad una chiara identificazione e punizione degli assassini di Giulio, potrebbe essere una buona arma (diplomatica) di pressione" [124].

Un qualche interesse petrolifero che esulava dalla morte del povero Regeni? Il sospetto è più che legittimo: non solo perché, come diceva Andreotti, "a pensar male del prossimo si fa peccato ma si indovina", ma anche perché al battage del Gruppo l’Espresso contro l’Egitto si affianca da subito la martellante campagna di Amnesty International, sede a Londra e solidi legami col Dipartimento di Stato americano,ed il variegato mondo della vecchia sinistra extra-parlamentare (ex-Lotta Continua, ex-Potere Operaio, il Manifesto, etc. etc.) che da sempre gravitano nell’orbita NATO.

C’è da chiedersi quindi quale verità abbiano invocato per dodici mesi i media e le ong: la verità oggettiva, oppure una verità di comodo? Quella utile a scoprire i veri carnefici di Giulio Regeni, oppure quella utile all’establishment atlantico, lo stesso in cui si annidano i mandanti dell’omicidio?

È sufficiente sviscerare a fondo la dinamica dell’omicidio, per evidenziare tutti gli elementi che indicano una chiara regia atlantica, ed inglese in particolar modo, dietro il delitto. In questa sede ci limiteremo soltanto a ricordare i punti salienti dell’omicidio Regeni, indispensabili per decifrare gli intrighi avvenuti negli ultimi anni, fino al 2016, ai danni dell’Italia e del suo ruolo nel Mediterraneo:
  • nel luglio 2013, il feldmaresciallo Abd Al-Sisi opera un colpo di Stato ai danni della Fratellanza Mussulmana, manovrata da Londra sin dal secolo scorso e salita al potere dopo la rivoluzione colorata del 2011. Tra il nuovo Egitto nazionalista e l’Italia i rapporti si infittiscono: interscambi commerciali, investimenti, sintonia sullo scacchiere mediorientale;
  • 2014, l’ENI si aggiudica la concessione Shorouk a largo delle coste egiziane;
  • marzo 2015, il vertice di Sharm El Sheik coincide con lo zenit dei rapporti tra Roma ed Il Cairo: l’Italia si affida all’Egitto per risolvere il rebus libico, puntando così implicitamente sul generale Khalifa Haftar, già in buoni rapporti con i servizi segreti italiani;
  • luglio 2015, un’autobomba sventra un’ala del consolato italiano al Cairo: rivendicato dall’ISIS, l’attentato è un primo messaggio angloamericano affinché l’Italia si svincoli dall’Egitto;
  • agosto 2015: l’ENI annuncia la scoperta del maxi giacimento Zohr all’interno della concessione Shorouk: 850 miliardi di metri cubi, la più grande scoperta di gas mai effettuata in Egitto e nel Mar Mediterraneo;
  • settembre 2015: Giulio Regeni sbarca al Cairo. Reduce da un’esperienza alla società di consulente Oxford Analytica, il dottorando italiano all’università di Cambridge svolge un programma di studio/azione sul campo (Participatory action research) che lo mette in contatto con esponenti dell’opposizione di Al-Sisi: i suoi docenti, Anne Alexandre e Maha Abdelrahman, sono infatti legate al milieu della Fratellanza Mussulmana/rivoluzioni colorate. La decisione di "sacrificare" Regeni risale già a questa fase: il ricercatore è deliberatamente esposto all’ambiente dei dissidenti, informatori e spioni, così da creare il pretesto per il suo successivo sequestro ed omicidio;
  • dicembre 2015, al vertice marocchino di Skhirat che dovrebbe decidere le sorti della Libia, gli angloamericani "staccano" l’Italia dal generale Haftar e la spingono verso l’effimero governo d’unità nazionale libico: a questo punto, bisogna solo incrinare ulteriormente i rapporti italo-egiziani ed estromettere, se possibile, l’ENI dalle sue concessioni;
  • 25 gennaio 2016: Regeni è rapito su ordine dei servizi inglesi (le celle telefoniche testimoniano un traffico tra Regno Unito ed Egitto al momento del sequestro), [125] da criminali comuni o da qualche sgherro della Fratellanza Mussulmana: non è escludibile che i suoi rapitori abbiano agito in uniforme di poliziotti;
  • 3 febbraio: il cadavere di Regeni è rinvenuto alla periferia del Cairo. Se Regeni fosse effettivamente morto durante un interrogatorio della polizia, il suo corpo non sarebbe mai stato ritrovato. Grazie allo zelante ambasciatore Maurizio Massari, con una lunga esperienza a Londra e Washington alle spalle, la situazione precipita in poche ore e la delegazione del Ministro Federica Guidi, in visita in Egitto, è bruscamente richiamata in Italia. Massari sarà promosso qualche mese dopo alla carica di ambasciatore italiano presso la UE;
  • 9 aprile: l’Italia richiama l’ambasciatore, dopo un "fallimentare" vertice a Roma con le autorità egiziane. Lo sforzo per sabotare l’attività dell’ENI in Egitto raggiunge l’acme e si avanza esplicitamente l’ipotesi che il cane a sei zampe, "visto che ha in piedi in Egitto il più grande investimento, da circa sette miliardi di euro", [126] faccia le dovute pressioni sul Cairo. Come? Sospendendo i progetti. Si ventilano anche possibili sanzioni economiche contro l’Egitto:
  • 8 giugno: il filone delle indagini che porta in Inghilterra si schianta contro il muro di omertà dell’università di Cambridge. Il rifiuto di collaborare con gli inquirenti italiani, non genera però nessuna crisi diplomatica in questo caso: Londra e Washington godono infatti di una totale impunità in Italia, sin dagli accordi di Jalta del 1945.
Emerge quindi che i servizi angloamericani mirassero a due obiettivi uccidendo Giulio Regeni: sabotare la presenza italiana in Libia, separandola dalla coppia Al-Sisi/Haftar, ed estromettere l’ENI dal giacimento Zohr. A distanza di dodici mesi, che giudizio si poteva dare di questa efferata e spregiudicata operazione? Ha raggiunto o meno i suoi scopi?

Si può dire che la tradizionale "elasticità" della politica estera italiana, un po’ cerchiobottista e un po’ levantina, abbia limitato i danni: il governo ha adottato una linea intransigente contro l’Egitto, seguendo il copione impostogli da Londra e Washington, mentre l’ENI ha mantenuto toni concilianti e filo-egiziani, così da non compromettere gli interessi italiani nella regione. Nel complesso, i danni che i mandanti dell’omicidio Regeni volevano infliggere all’Italia, sono stati quindi circoscritti e limitati.

Il governo italiano si è infatti appiattito sulla linea angloamericana, richiamando l’ambasciatore e interrompendo la collaborazione col Cairo in Libia, puntando cioè sull’effimero Faiez Al-Serraj anziché sul generale Khalifa Haftar. Nel contempo l’ENI ha perfezionato il contratto per lo sfruttamento del giacimento Zohr ed ha ceduto alla russa Rosneft una quota del 30% nella concessione di Shorouk: [127] quasi un terzo del più grande giacimento di gas del Mediterraneo è così passato a Mosca, alleata di ferro del presidente Al-Sisi e dei nazionalisti libici. È chiara la manovra sottostante: l’ENI si prepara a tornare in Libia, non attraverso il governo d’unità nazionale libico che ha le settimane contate, ma attraverso i russi e Haftar. Dopotutto, ENI e Gazprom non si erano già spartite il giacimento libico Elephant, poco prima che Gheddafi fosse travolto dai bombardamenti della NATO [128] del 2011?

Lo sdoppiamento della politica estera italiana, metà a Roma e metà a San Donato milanese, ha così permesso di sopperire (per l’ennesima volta) ai limiti della nostra scarsa sovranità: con buona pace dei carnefici del povero Regeni, l’Italia ha discretamente tutelato i propri interessi.

C’è ancora un capitolo della vicenda Regeni che merita di essere trattato: un capitolo minore, ma non per questo meno interessante. Finora gli è stato dedicato poco spazio perché esula dai maxi-giacimenti di gas, dai pozzi petroliferi e dai relativi investimenti miliardari: è la storia della società informatica Hacking Team, inghiottita anch’essa dal ciclone Regeni perché unica azienda italiana che operi nel territorio di caccia dei Five Eyes. Il ristretto club di spioni anglosassoni: USA, GB, Canada, Nuova Zelanda ed Australia.

La curiosa storia dell’Hacking Team, una piccola società italiana nel mirino dei Five Eyes

Torniamo alle settimane successive al ritrovamento del corpo di Regeni: il fuoco mediatico è diretto contro il "regime egiziano", il "dittatore Al-Sisi" ed i rapporti italo-egiziani, da interrompere tassativamente finché il Cairo non fornirà "la verità" sul caso. C’è il nome di un’azienda italiana che rimbalza spesso sulla stampa in quei giorni bollenti, a fianco dell’ENI: si tratta di Hacking Team, una piccola società informatica milanese.

"Tra i clienti di Hacking Team c’era anche l’Egitto" scrive il Corriere della Sera il 9 febbraio 2016, [129] "Amnesty: basta con l’hacking di Stato, denunciamolo" attaccava a ruota la Repubblica citando la società, "L’ombra di Hacking Team sull’omicidio Regeni" insisteva La Stampa. All’interno di quest’ultimo articolo, si leggeva: [130]

Le tensioni con l’Egitto per l’uccisione di Giulio Regeni hanno lambito anche Hacking Team, l’azienda italiana che vende software di intrusione e sorveglianza a numerosi governi. Il 31 marzo infatti il Ministero dello Sviluppo Economico (Mise) ha revocato con decorrenza immediata l’autorizzazione globale per l’esportazione che era stata concessa alla società milanese, dallo stesso Mise, circa un anno fa. (…) La ragione del ripensamento del Mise va inquadrata probabilmente nell’attuale contesto geopolitico, con lo scontro (per alcuni troppo debole da parte italiana) tra il nostro Paese e l’Egitto sul caso Regeni. (…) L’Egitto sarebbe stato infatti un cliente di Hacking Team: lo mostravano i documenti della stessa azienda pubblicati online dopo l’attacco informatico subito la scorsa estate (del 2016 ndr)".

Software di intrusione e sorveglianza, blocco con decorrenza immediata dell’autorizzazione ad esportare, contesto geopolitico difficile, contatti con l’Egitto nazionalista di Al-Sisi, misteriosi attacchi informatici che riversano in rete la lista dei clienti della società? Si direbbe che questo piccolo produttore italiano di software, pur fatturando solo 40 €mln [131] rispetto ai 70 €mld dell’ENI, non sia finito accidentalmente nella bufera Regeni, ma gli stessi attori coinvolti nell’operazione per danneggiare i rapporti italo-egiziani (il Gruppo l’Espresso, Amnesty International, Human Watch Rights, etc. etc., dietro cui si nascondono le diplomazie ed i servizi segreti angloamericani) abbiano sfruttato la morte del giovane friulano per colpire anche una piccola ma scomoda realtà economica. Ma di cosa si occupa esattamente l’Hacking Team? E perché è finita nel mirino dell’establishment atlantico?

Nata nel 2003, l’Hacking Team produce programmi per sorvegliare telefoni e computer, con una peculiarità che la rende pressoché unica a livello mondiale: anziché decifrare i dati criptati, li legge direttamente "in chiaro" sul supporto fisico, introducendo virus sugli apparecchi elettronici (si veda la carta "Computer Virus").


Partecipata anche dalla Regione Lombardia, l’Hacking Team non è però un nido di pirati informatici: tra i suoi clienti figurano soltanto governi e forze di sicurezza, anche di un certo calibro, se si considera che si annovera anche il Federal Bureau of Investigation [132].
Essendo così ben introdotta negli apparati di sicurezza NATO, l’Hacking Team avrebbe dovuto dormire sonni tranquilli: la situazione, invece, si deteriora mese dopo mese a partire dal 2014, sino a culminare con l’accusa di essere complice del sequestro e l’uccisione di Regeni, con conseguente revoca dell’autorizzazione ad esportare. Se la società milanese fosse stata "sensibile" agli inequivocabili messaggi che le erano stati lanciati, avrebbe dovuto da tempo capire di essere finita nei radar dei servizi angloamericani (gli stessi "dell’operazione Regeni") e avrebbe dovuto notare come l’umore nei suoi confronti stesse velocemente cambiando.

Siamo infatti nel febbraio 2014 quando Citizen Lab, un laboratorio interdisciplinare dell’Università di Toronto (Canada, Five Eyes) specializzato in sicurezza delle telecomunicazioni e difesa dei diritti umani, accusa la società italiana di aver venduto un sofisticato sistema di monitoraggio di pc e telefoni ("Remote Control System is sophisticated computer spyware marketed and sold exclusively to governments by Milan-based Hacking Team") [133] a decine di Paesi (Azerbaijan, Colombia, Egypt, Ethiopia, Hungary, Italy, Kazakhstan, Korea, Malaysia, Mexico, Morocco, Nigeria, Oman, Panama, Poland, Saudi Arabia, Sudan, Thailand, Turkey, UAE, and Uzbekistan), tra cui alcuni governi "autoritari". Che uso fanno questi Paesi di dubbia democraticità dei programmi acquistati? Li usano per sorvegliare "attivisti e difensori dei diritti umani", ossia lo stesso humus dove sono state coltivate le rivoluzioni colorate che hanno sconquassato il Medio Oriente nel 2011. Sono, per inciso, gli stessi ambienti "studiati" anche dai docenti di Cambridge del defunto Giulio Regeni.

A distanza di un mese, nel marzo 2014, il rapporto canadese è prontamente ripreso da Privacy International, un’organizzazione non governativa inglese ruotante nell’orbita della London School of Economics, che prende carta e penna e scrive al Parlamento italiano: non solo, dicono gli inglesi, l’Hacking Team viola i diritti umani, ma riceve addirittura fondi pubblici dalla Regione Lombardia. Che lo Stato italiano intervenga subito, "to investigate and to take action to ensure that its invasive and offensive not exported from Italy and used in human rights violations". [134] Già in questa fase, come accadrà due anni dopo col caso Regeni, entra in campo il Gruppo l’Espresso: "Privacy International chiede chiarimenti al governo sull’attività di Hacking Team- Una delle più importanti organizzazioni internazionali per la difesa della privacy chiama in causa il governo italiano".

È quasi una prova generale dell’attacco che, di lì a due anni, sarà sferrato contro la società milanese, arrivando a revocarle l’autorizzazione ad esportare sull’onda dell’omicidio Regeni. Prima di procedere col racconto, soffermiamoci però sulle ragioni per cui l’Hacking Team, un tempo cliente persino dell’FBI, sia diventata improvvisamente d’intralcio ai servizi angloamericani:
  1. è una società italiana ed il nostro Paese non fa parte della ristretta cricca di spioni anglofoni nota come Five Eyes. L’Hacking Team è quindi "un’arma tecnologica" che per gli angloamericani sarebbe meglio inglobare o neutralizzare;
  2. opera in un lucroso mercato dove esistono pochi altri concorrenti (inglesi, americani ed israeliani) e la storia dell’Olivetti insegna che le eccellenze tecnologiche in un Paese a sovranità limitata, come l’Italia, sono spesso uccise in fasce;
  3. i suoi programmi per la sorveglianza delle telecomunicazioni venduti a "governi autoritari" (Turchia, Nigeria, Uzbekistan, Kazakistan, Egitto e Malesia) ed impiegati per monitorare "dissidenti ed attivisti", ostacolano le solite rivoluzioni colorate fomentate da George Soros, MI6 e CIA.
Siamo ora nel 2015 e l’assedio attorno ad Hacking Team si stringe. Nel mese di luglio un attacco informatico in grande stile scardina le difese della società milanese (l'autore delle carte dimostra, anche in questa occasione, come nel caso della carta Terrapiattisti, di essere dotato di una discreta dose di umorismo cinico, dato che la carta "Computer Virus" rappresenta ora anche il mezzo attraverso il quale la società informatica milanese, esperta nell'implementazione di codice malevolo, ha subito l'incursione, da parte di terzi, nei suoi dati confidenziali, quasi un contrappasso dantesco insomma) e, svuotatone gli archivi, riversa su Wikileaks (la piattaforma usata dai diversi servizi segreti per lanciarsi fango a vicenda) 400 Gb di dati: clienti, fatture, email, etc. etc. "Wikileaks pubblica un milione di email aziendali rubate ad Hacking Team" scrive la Repubblica, evidenziando le zone grigie dell’azienda, mentre la stampa inglese attacca ancora più pesantemente: "Hacking Team hacked: firm sold spying tools to repressive regimes, documents claim" titola il The Guardian (si veda la carta "Sicurezza Informatica" che assume pertanto una duplice valenza, dato che si riferisce anche ai sistemi di sicurezza informatica venezuelani che sono stati violati il 7 marzo del 2019, come indicato nell'apposita sezione). Il battage della stampa insiste, infatti, sulla natura "autoritaria e repressiva" dei clienti della società milanese: Azerbaijan, Kazakistan, Uzbekistan, Russia, Baharain, Arabia Saudita ed altri "regimi" che gli angloamericani rovescerebbero con piacere. La società milanese vacilla e, per alcune settimane, sembra che debba chiudere i battenti: poi, passata la tempesta mediatica, riprende la normale attività.



Torniamo così al punto da cui eravamo partiti: Egitto, primavera 2016. L’operazione con cui è ucciso Giulio Regeni ha, senza dubbio, come principali obbiettivi l’ENI e la politica estera tra Egitto e Libia, ma il fatto che anche l’Hacking Team fosse un fornitore del Cairo è prontamente sfruttato per revocare alla società l’autorizzazione ad esportare, così da chiuderle i mercati di sbocco, come auspicato da Londra e Washington. "Hacking Team, revocata l’autorizzazione globale all’export del software spia: stop anche per l’Egitto dopo il caso Regeni" titola il Fatto Quotidiano nell’aprile del 2016.

Quella dell’Hacking Team è l’ennesima prova avuta in questi dodici mesi che l’omicidio Regeni non è la storia di un brutale interrogatorio della polizia finito in tragedia, ma un vero e proprio attacco all’Italia ed al sistema-Paese, condotto con efficienza americana e puntualità inglese. Passiamo ora all'approfondimento dell'embargo commerciale eretto ai danni dell'Indonesia e della Malesia.



Olio di palma: come costruire un embargo commerciale

L’Occidente ha scoperto negli ultimi anni un nuovo nemico, meno appariscente ma non meno insidioso della Russia di Vladimir Putin: è l’olio di palma, che si nasconde in dolciumi e prodotti per la cosmesi. A quest’olio vegetale, apprezzato per le caratteristiche chimico-fisiche e la resa per ettaro, sono state imputate le accuse più svariate: dalla natura cancerogena alla distruzione delle foreste pluviali. Le solite ong inglesi, le star di Hollywood e l’Unione Europea si sono mobilitate per limitarne l’utilizzo, causando un ribasso dei prezzi e la reazione dei maggiori produttori mondiali, Indonesia e Malesia. Quella contro l’olio di palma è una vera guerra commerciale, con cui il blocco euro-atlantico ricatta i Paesi del Sud-est asiatico che oscillano tra Cina e "Occidente".

Olio di palma e geopolitica

Incombe sull’Occidente una nuova minaccia, meno appariscente ma non meno insidiosa della Russia di Vladimir Putin. Non vogliamo occuparci, infatti, degli agenti russi che si aggirano per l’Inghilterra avvelenando col gas nervino avversari e traditori, né degli hacker russi che sabotano elezioni e centrali elettriche, né degli organi di stampa del Cremlino che manipolano le fragili opinioni pubbliche occidentali, né delle affascinanti spie slave che si infilano nel letto di militari, politici e dirigenti per carpire i segreti dell’apparato militar-industriale nemico. No, vogliamo occuparci di un nemico più subdolo, più infido, più occulto: può colpire quando consumiamo la prima colazione, quando mordiamo una merendina, quando usiamo un prodotto di cosmesi. Sì, è lui: il nuovo nemico dell’Occidente è l’olio di palma, estratto dai polposi frutti della Elaeis guineensis, una famelica pianta che cresce nelle esotiche e barbare zone equatoriali.

Contro questo olio vegetale, apprezzato dall’industria alimentare per le proprietà chimico-fisiche (stabilità, neutralità e adattabilità e diversi processi) e l’elevata resa per ettaro (3,4 tonnellate per ettaro, rispetto ai 0,58 dell’olio di girasole e ai 0,32 dell’olio di oliva [107]), sono state scagliate negli ultimi anni le accuse più svariate ed infamanti: è nocivo alla salute, anzi è addirittura cancerogeno, è responsabile della distruzione delle foreste pluviali, è prodotto ricorrendo al lavoro minorile [108], è causa della "silenziosa strage degli oranghi"[109], etc. etc. La campagna mediatica è stata così violenta da costringere le industrie a correre ai ripari: chi ha potuto eliminarlo senza inconvenienti, si è prontamente accodato aggiungendo il logo "no palm oil" sulle confezioni, chi non ha trovato un succedaneo adatto, non ha potuto che difenderne l’utilizzo, lanciando pubblicità dove si mostrano soleggiati ed ordinati campi di palme, dai cui frutti è spremuto il brillante e fluido olio.

L’improvvisa acredine generalizzata contro un olio vegetale, la mobilitazione così vasta dei media (il solo Huffington Post Italia ha dedicato all’argomento una cinquantina di articoli negli ultimi tre anni),[110] l’allarmismo per una presunta minaccia che nessuno aveva mai percepito prima, destano di per sé diversi sospetti.

Sospetti che crescono ulteriormente se si analizza l’origine delle accuse: è lo stesso milieu dell’affare Regeni, sebbene declinato in chiave ambientalistica. Si tratta delle consuete organizzazioni non governative basate a Londra, da sempre braccio "umanitario" delle politiche liberal: Amnesty International che accusa i produttori di olio di palma di violazione dei diritti umani, Greenpeace che imputa alla coltivazione della palma i cambiamenti climatici che uccidono (nel solo Sud-est asiatico) 110.000 persone all’anno [111], il WWF che vede nell’olio di palma una minaccia per tigri, oranghi, foreste tropicali ed il pianeta stesso [112]. E poi l’immancabile battage delle riviste liberal, dei divi di Hollywood, dei volti più o meno noti della cultura.

Proseguendo il nostro parallelismo con l’affare Regeni, salta poi all’occhio la prontezza con cui il mondo politico si è piegato alla campagna mediatica contro l’olio di palma. Le istituzioni occidentali, specie quelle marcatamente "liberal" come l’Unione Europea, hanno spostato la battaglia sul piano politico-diplomatico, compiendo talvolta mosse fin troppo azzardate: nel 2015, l’EFSA (Autorità europea per la sicurezza alimentare) accusò l’olio di palma di contenere sostanze cancerogene [113], allarmando i consumatori e generando centinaia di articoli sulla "Nutella che provoca il cancro", salvo poi ammettere a distanza di tre anni che la dose giornaliera consumata mediamente è innocua. Ma intanto l’Unione Europea, che consuma una quantità di olio di palma 4,5 volte superiore agli USA ed è perciò il maggiore mercato di sbocco al mondo [114], non si è fermata: dopo aver allarmato i consumatori di dolciumi, Bruxelles ha messo nel mirino l’olio di palma nella veste di biocarburante, minacciando lo scorso gennaio di proibirne l’uso entro il 2021.

Immediata è arrivata la replica dei due maggiori produttori mondiali di olio di palma, Malesia ed Indonesia, che di fronte a questo embargo mascherato hanno minacciato di bloccare a loro volta l’importazione di prodotti europei: "Indonesia, Malaysia condemn European move to limit palm oil use [115]" scriveva l’agenzia Reuters lo scorso gennaio.

Già, perché Indonesia e Malesia producono insieme il 90% dell’olio di palma a livello mondiale, olio di cui l’Unione Europea è di gran lunga il maggior acquirente. La coltivazione della palma è una colonna portante dell’economia dei due Paesi, contribuendo al 2,5% del PIL di Giacarta [116] e al 6% del PIL di Kuala Lampur [117]. Soprattutto, la produzione è suddivisa in milioni di piccoli-medi coltivatori (più di 6 milioni tra Indonesia e Malesia) il cui benessere dipende dalla coltivazione della palma. Un’intera classe sociale è passata dalla condizione di povertà allo stato di piccola borghesia grazie all’olio di palma: si tratta, tra l’altro, di elettori. Elettori che rappresentano la base dei governi attualmente in carica nei due Paesi del Sud-Est asiatico. Di più, la minaccia di Bruxelles di proibire l’uso di olio di palma come biocarburante, è piombata proprio nel pieno della campagna elettorale malese, che vede il premier Najib Razak cercare la riconferma. "Months away from Malaysian election, EU’s move stirs discontent in palm groves" scriveva la solita Reuters a febbraio [118], evidenziando come la mossa della UE sia un macigno sulle spalle del premier Razak, considerato che il 10% dei malesi vive della coltivazione di olio di palma.

Il 90% della produzione mondiale concentrato in due Paesi, il maggior consumatore (la UE) che promette di tagliarne drasticamente l’importazione, adducendo come motivazione le accuse lanciate dalle solite ong inglesi: non potrebbe essere, la campagna contro l’olio di palma, un tentativo di destabilizzare la Malesia e l’Indonesia?

Dopotutto esistono due modi di imporre un embargo: quello formale, impedendo alle merci di superare fisicamente le frontiere, e quello informale, demonizzando le merci prodotte dall’avversario o proibendo la vendita per motivi ambientalistici-sanitari. L’esito è lo stesso: l’economia del Paese preso di mira va in cancrena, la disoccupazione sale, la politica entra in ebollizione e si prepara il terreno al cambio di regime. È una tecnica, quella dell’embargo, che le potenze marittime usano dalla notte dei tempi per "strangolare" i nemici, impedendogli di approvvigionarsi all’estero o di vendere i loro prodotti.

La campagna contro l'olio di palma, quindi, come un embargo neppure troppo velato contro Kuala Lampur e Giacarta? Ma manca il movente…

Ci arriviamo.

Come è ben visibile nella cartina sottostante, il 90% della produzione mondiale di olio di palma è concentrata in due Paesi equatoriali situati in una delle zone più cruciali del mondo: Malesia ed Indonesia si trovano rispettivamente a Nord e Sud dello Stretto di Malacca, da cui transita l’80% del petrolio importato dalla Cina [119]. Per le potenze atlantiche mantenere nella propria sfera di influenza questi due Paesi del Sud-est asiatico è perciò di importanza strategica: consente un controllo indiretto sul braccio di mare più prezioso del XXI secolo. A essere sinceri, sia la Malesia che l’Indonesia non sono molto inclini a restare nell’orbita angloamericana: il richiamo della Cina si sente. E da anni.


Prendiamo il caso della Malesia: un Paese tanto piccolo (conta meno della metà della popolazione italiana) quanto strategico, perché consente alla Cina di raggiungere Singapore via ferrovia. È la stessa Malesia che negli ultimi anni ha subito due dei peggiori disastri aerei della storia, a distanza ravvicinata: il Malaysia Airlines 370, scomparso nell’Oceano indiano l’8 marzo del 2014, e il Malaysia Airlines 17, abbattuto nei cieli dell’Ucraina Orientale il 14 luglio 2014. Due disastri aerei "anomali" per la dinamica, due disastri aerei che colpiscono la stessa compagnia nell’arco di quattro mesi, due disastri aerei che si abbattono sul premier Najib Razak colpevole di intessere legami troppo forti con la Cina e perciò "punito" ripetutamente con attacchi terroristici. Dal 2014 la situazione non è cambiata: gli investimenti cinesi si riversano copiosi in Malesia, concretizzandosi in una serie di infrastrutture strategiche che avvicinano Pechino ai porti dell’Oceano Indiano ed al porto più prezioso della regione, Singapore [120]. La campagna contro l’olio di palma è perciò l’ultimo degli attacchi (dopo i disastri aerei, gli scandali mediatico-giudiziari, le accuse di corruzione, etc. etc.) sferrato al premier Najib Razak, grande fautore dell’avvicinamento alla Cina.

Il discorso è analogo nel caso dell’Indonesia. Il presidente indonesiano Joko Widodo che ha duramente protestato contro la decisione dell’Unione Europea (coincidente anche in questo caso con una serie di importanti elezioni locali) per bandire l’olio di palma come biocarburante, è lo stesso accusato di atteggiarsi da "dittatore" per il pugno di ferro contro gli islamisti [121] ed è lo stesso, soprattutto, che ha aperto il Paese agli investimenti cinesi, inserendo Giacarta a pieno titolo nella "Nuova Via della Seta" di Pechino [122]. L’embargo informale contro l’olio di palma, colonna portante dell’economia locale, è pertanto un colpo sferrato dall’establishment atlantico sia contro la Malesia che contro l’Indonesia, colpevoli di divincolarsi dalla tutela angloamericana.

Di fronte a sfide geopolitiche di portata planetaria, nessuno può tirarsi indietro: consumare Nutella e dolciumi a base di olio di palma, è obbligatorio.

Analizziamo ora in dettaglio il caso Regeni, che tanto ha influito sui rapporti economici tra Italia e Egitto.

Omicidio Giulio Regeni, un'operazione clandestina contro l'Egitto e gli interessi italiani

Il barbaro assassinio di Giulio Regeni, il dottorando all'università di Cambridge, rapito e torturato a Il Cairo, tiene banco sui media ed è impiegato per dipingere a tinte fosche il governo dell'ex-feldmaresciallo Abd Al-Sisi, accusato di guidare un brutale apparato poliziesco. In realtà, il caso Regeni presenta tutte le caratteristiche della classica operazione clandestina: la tempistica del rapimento e del ritrovamento del cadavere, lo scempio del corpo secondo il copione di un brutale interrogatorio e la campagna mediatica di contorno, nazionale ed internazionale, rispecchiano un'attenta pianificazione, tesa a screditare il governo egiziano e minare la collaborazione tra Roma ed Il Cairo, dal dossier libico a quello energetico. Più che alla travagliata politica interna egiziana, l'omicidio Regeni va infatti ricollegato allo sfruttamento dell'enorme giacimento gasifero scoperto dall'ENI: un successo italiano che molti, da Tel Aviv a Washington, passando per Londra, non digeriscono.

Egitto, ultimo baluardo contro la destabilizzazione del Medio Oriente

Non c'è pace per l'Egitto che, dall'attentato al consolato italiano lo scorso luglio al disastro aereo del volo Metrojet di fine ottobre, finisce sempre più spesso nei nostri radar: il fenomeno non stupisce perché, come abbiamo più volte affermato, il Cairo è (insieme ad Algeri) l'ultimo baluardo contro la destabilizzazione angloamericana ed israeliana della regione.

Se l'Egitto dovesse cadere, l'incendio doloso che sta divorando il Medio Oriente, si estenderebbe a tutto il Nord Africa, dove la Libia è già adibita come base per la propagazione del terrorismo: man mano che ci si avvicina in Siria alla risolutiva battaglia di Aleppo, i miliziani dell'ISIS sono traghettati indisturbati verso i porti libici, così da proseguire la diffusione dell'instabilità nel Magreb. Davanti all'evidenza di questa spola tra Turchia e Libia (avvallata dalla NATO), anche la stampa più irregimentata non può tacere e su Il Sole 24 ore è apparso il 5 febbraio l'articolo "Il mistero dei cargo fantasma, porta d'ingresso dei terroristi nel Mediterraneo".[138]

La destabilizzazione del Medio Oriente persegue tre obbiettivi principali:
l'eliminazione di qualsiasi minaccia strategica (Iraq, Siria, Libano, Egitto, Libia) per Israele;
l'attivazione di imponenti flussi migratori verso l'Europa continentale, con chiare finalità eversive;
impedire che il vuoto di potere, lasciato da un impero angloamericano agli sgoccioli, sia colmato da Russia, Cina e Italia (può sembrare insensato paragonarsi a due colossi, ma non lo è, considerando la posizione geografica strategica).
L'ultimo aspetto è quello che merita di essere più sviluppato, dato il peso che riveste nel discorso dell'economia.

Con la prima (1991) e la seconda (2003) Guerra del Golfo, l'attivismo angloamericano tocca lo zenit: prima il Golfo Persico è disseminato di basi navali (Bahrein, Qatar, Kuwait, Emirati Arabi Uniti, etc..) e poi si tenta il controllo terrestre con l'invasione dell'Iraq. L‘Egitto che, dopo la lunga parentesi filo-sovietica di Gamal Nasser (1918-1970), è traghettato in orbita americana dal suo successore Anwar al-Sadat (1918-1981), ricopre un ruolo strategico, in quanto attraverso il Canale di Suez è possibile spostare rapidamente la flotta dal Mediterraneo al Golfo Persico secondo le esigenze: supera il miliardo di dollari annuo il flusso di denaro da Washington verso il Cairo, così da comprarsi la benevolenza dell'esercito egiziano, colonna portante del Paese e proprietario di un'ampia fetta dell'industria nazionale.

Il 2011 rappresenta il giro di boa: alla strategia imperiale dei neo-conservatori (ormai insostenibile), subentra quella della destabilizzazione, condotta dal duo Barack Obama-Hillary Clinton.

In Egitto scatta l'ora della classica rivoluzione colorata, condotta con il decisivo apporto dei servizi occidentali e di ONG straniere come la serba Otpor!: si legga a questo proposito l'illuminante articolo del febbraio 2011, "From Resistance to Revolution and Back Again: What Egyptian Youth Can Learn From Otpor When Its Activists Leave Tahrir Square",[139] edito dall'influente pensatoio americano Carnagie Council, dove è illustrato il ruolo dei movimenti di protesta eterodiretti dagli angloamericani.

Il presidente Hosni Mubarak, per vent'anni fedele servitore della causa atlantica, è brutalmente rovesciato come un "sanguinario dittatore" qualunque: al suo posto, invece, gli angloamericani preparano l'avvento dei Fratelli Mussulmani che, nell'estate del 2012, conquistano la presidenza con Mohamed Morsi.

La Fratellanza Mussulmana, nata in Egitto negli anni '20 sotto il protettorato britannico, è l'antesignano dell'ISIS: un movimento retrogrado ed oscurantista, ideato per catalizzare la protesta attorno agli ideali islamisti ed arginare il ben più pericoloso (nell'ottica delle potenze coloniali) nazionalismo panarabista. Negli anni '20 gli inglesi usano la Fratellanza mussulmana per frenare l'avanzata degli indipendentisti del Wafd, che tentano invano di liberarsi dal giogo britannico con la rivoluzione del 1919. Nel 1954 è deposto con un colpo di stato il filo-inglese re Faruq ed è proclamata la repubblica, guidata dal generale Gamal Nasser: lo stesso anno la neonata ENI di Enrico Mattei entra in Egitto, scatenando l'ira di Londra. Immediatamente la Fratellanza Mussulmana è aizzata contro Nasser e, dopo un primo tentativo di assassinio del presidente egiziano, l'organizzazione è bandita: rimarrà tale fino al 2011, quando gli angloamericani decidono che è giunto il tempo per il loro vecchio arnese di prendere in mano il Paese.

L'Egitto sotto la guida di Mohamed Morsi e della Fratellanza va velocemente a rotoli: le violenze interreligiose esplodono (la comunità dei cristiani copti è sottoposta ad una vera persecuzione),[140] aumentano gli episodi di attacchi terroristici, il turismo si liquefa, le riserve monetarie si assottigliano e la lira egiziana sprofonda. L'Egitto, che sotto la presidenza di Mubarack era un Paese a medio reddito ed in costante crescita, si avvicina al baratro: a porre fine all'esperienza dei Fratelli Mussulmani ci pensa l'esercito dalle cui fila esce, come nel 1954, il nuovo presidente Abd Al-Sisi. Nell'agosto del 2013 Mohamed Morsi è deposto e la reazione della Fratellanza duramente repressa: sarà già stata bandita quando il voto del 2014 elegge Al-Sisi nuovo capo di Stato.

Si ripropone uno scenario non dissimile da quello del 1954 con l'avvento di Nasser, cui, non a caso, si richiama espressamente Al-Sisi: da un lato Londra (con l'aggiunta ora di Washington) cerca di eliminarlo con il terrorismo islamico, dall'altro Mosca (con l'aggiunta ora di Pechino) cavalca la svolta politica. L'Italia che, proprio come nel 1954, ha tutto da guadagnare da un Egitto stabile ed indipendente (per questioni di economia e sicurezza), guarda con favore all'insediamento di un nuovo "nasseriano" alla guida del Paese: come ai tempi di Enrico Mattei, è sempre l'ENI la protagonista indiscussa della nostra politica estera.
Analizziamo più nel dettaglio la dinamica in atto.

La penisola del Sinai svolge il ruolo assolto in Siria dai confini con la Giordani e la Turchia: è la frontiera porosa da cui israeliani ed angloamericani introducono i miliziani dell'ISIS, che premono verso il canale di Suez ed il Mar Rosso. Si sono registrati già numerosi e sanguinosi scontri con l'esercito e ad essere presa di mira è in particolare la strategica industria del turismo, fonte di occupazione e valuta straniera: da ultimo, agli inizi di gennaio è stato sventato un attentato agli alberghi di Hurgada. Il turismo, che nel 2007 contribuiva quasi al 20% del PIL,[141] è sceso così al 14% attuale, nonostante il suo rilancio fosse uno dei cavalli di battaglia di Al-Sisi: l'attentato al volo Metrojet, seguito dal precipitoso rientro dei turisti occidentali sui voli militari, e lo stillicidio di attacchi alle località del Mar Rosso, sono funzionali alla destabilizzazione economica del Paese.

La Russia, al contrario, ha subito incrementato le sinergie con l'Egitto di Al-Sisi, firmando importanti accordi in campo economico e militare (tra cui l'ammodernamento della difesa aerea),[142] culminati con l'intesa per la costruzione di una centrale nucleare nei pressi di Alessandria:[143] come rappresaglia contro l'attivismo mediorientale di Mosca e per infliggere un durissimo colpo all'industria vacanziera, a fine ottobre è orchestrato l'attentato al volo russo Metrojet 9268. Non è da meno la Cina che, durante la recente visita del presidente Xi Jinping al Cairo, ha espresso il suo apprezzamento per la "stabilità e lo sviluppo" garantiti da Al-Sisi, perfezionando prestiti ed investimenti miliardari.[144]

Veniamo infine all'Italia che, storicamente in buoni rapporti con l'Egitto (la comunità italiana ad Alessandria ed al Cairo era sin dall'Ottocento una delle più numerose ed apprezzate), ha ulteriormente incrementato negli ultimi anni la collaborazione, per due motivi: geopolitici ed economici.

Geopolitici perché, dopo la destabilizzazione di Tunisia, Libia e Siria, è imperativo per l'Italia che l'Egitto non sia travolto dal terrorismo islamico o da qualche rivoluzione colorata ma, al contrario, collabori per la stabilizzazione della Libia. Economici perché l'Italia (primo partner commerciale dell'Egitto in Europa e terzo al mondo)[145] è stata artefice, proprio come nel 1954, di un ulteriore penetrazione economica dopo l'avvento del nasseriano Abd Al-Sisi: ad Intesa San-Paolo, Pirelli, Danieli ed Italcementi, si sono affiancate centinaia di imprese di medie dimensioni, consentendo un balzo del 10% dell'interscambio tra il 2013 ed il 2014.[146]

Già in passato intuimmo che vi fosse un legame tra l'esplosione dell'autobomba davanti al consolato italiano de Il Cairo ed il dinamismo politico ed economico dell'Italia ma, ex-post, si può essere ancora più precisi, riconducendo quell'avvertimento mafioso alla specifica attività dell'ENI: la bomba esplode l'11 luglio ed il 30 agosto il gruppo di San Donato milanese annuncia ufficialmente[147] la scoperta dell'enorme giacimento "Zohr" che, con i suoi 850 miliardi di metri cubi di gas, è capace di soddisfare i fabbisogni dell'Egitto per due decenni. Negli ambienti dei servizi segreti e delle compagnie petrolifere, la notizia doveva già circolare ad inizio luglio e l'attentato dinamitardo va senza dubbio ricondotto a ciò.

Per l'Egitto il giacimento Zohr significa un risparmio miliardario sulla bolletta del gas, liberando così risorse per lo sviluppo, e un accresciuto ruolo geopolitico, grazie all'indipendenza energetica; per l'Italia significa mettere a segno il secondo grande successo in Africa (dopo i maxi giacimenti del Mozambico) ed un'accresciuta influenza in un Paese cruciale per gli assetti del Mediterraneo, del mondo arabo e del Golfo Persico (attraverso Suez).

Italia ed Egitto marciano unite come ai tempi di Enrico Mattei e di Gamal Nasser: troppi ne sono infastiditi, a Tel Aviv, come a Londra e Washington. Segue a ruota il brutale omicidio di Giulio Regeni, di cui vanno attentamente analizzate dinamica e tempistica.

Regeni una spia? Più che altro l'uomo giusto nel posto giusto
Il 3 febbraio, in una fase cruciale dei rapporti tra Italia ed Egitto, viene trovato il corpo del 28enne friulano Giulio Regeni, scomparso al Cairo il 25 gennaio: il cadavere mostra segni di tortura, che i media collegano immediatamente agli interrogatori "energici" cui i servizi segreti egiziani e la polizia sottoporrebbero i dissidenti politici. Regeni, infatti, è in contatto con gli ambienti dell'opposizione ed emerge presto che il giovane ha pubblicato qualche articolo su Il Manifesto, con toni molto critici verso il governo: il regime egiziano, insinuano i giornali (vedremo quali), ha seviziato ed ucciso un giovane attivista italiano. Per la relazione Roma ed il Cairo è un colpo durissimo: i media parlano di "alta tensione", "crisi" e "bivio nei rapporti".

Il primo interrogativo da porsi è: chi era Giulio Regeni? Perché proprio lui è vittima di quest'omicidio, che ha tutte le sembianze della classica operazione clandestina di un servizio segreto?

Classe 1988, dottorando in economia all'università di Cambridge, un pluriennale studio della lingua araba alle spalle, Giulio Regeni era in Egitto dal settembre 2015, ospite dell'American University, per scrivere la propria tesi di dottorato sull'economia egiziana.

Il giovane friulano, "un marxista-gramsciano" interessato ai problemi del mondo operaio, non circoscrive la sua permanenza al Cairo alla semplice raccolta di informazioni per la tesi, ma entra in contatto con gli ambienti dell'opposizione ed, in particolare, i sindacati indipendenti: Regeni ha infatti una visione piuttosto politicizzata dell'Egitto di Al-Sisi, da lui definito "autoritario e repressivo". Dalle frequentazioni con i movimenti di protesta, Regeni ricava spunti per la redazione di alcuni articoli che non invia in Inghilterra, bensì in Italia, dove sono pubblicati su Il Manifesto con un "nomme de plume", così da proteggerne l'identità: è lo stesso giornalista de il Manifesto, Giuseppe Acconcia, a svelare la collaborazione di Regeni con la testata della "sinistra rivoluzionaria", asserendo che il giovane friulano usava uno pseudonimo perché "aveva paura per la sua incolumità"[148] (tesi poi smentita dai genitori del ragazzo).

Abbiamo più volte nominato il giornalista Giuseppe Acconcia nelle nostre analisi, notando la sua veemenza nell'attaccare e screditare l'ex-generale Al-Sisi in un momento in cui, al contrario, la collaborazione tra Roma ed Il Cairo si faceva, oggettivamente, più pressante che mai.

Acconcia, guarda caso, ha anch'egli un passato all'American University del Cairo, come è stato pure collaboratore dell'Opendemocracy[149] finanziata dallo speculatore George Soros. Azzardiamo quindi la prima ipotesi: è attraverso l'American University che Regeni avvia la collaborazione con Il Manifesto, una testata da cui partono sovente attacchi a testa bassa contro "il regime autoritario" di Al-Sisi. Lo stesso giornale marxista su cui scrive Acconcia ha una storia piuttosto originale: nato nel 1969 da una scissione a sinistra del PCI, il gruppo di intellettuali che ruotano attorno a Il Manifesto è, insieme ad altre formazioni come Lotta Continua e Potere Operaio, uno degli strumenti che Londra e Washington utilizzano per lavorare ai fianchi del Partito Comunista Italiano.[150] Il Manifesto, negli anni '70 e '80, attacca infatti frontalmente Botteghe Oscure, collocandosi su posizioni antisovietiche ed anti-berlingueriane.

A questo punto sorge spontanea la domanda: Giulio Regeni lavorava nel milieu delle rivoluzioni colorate, con cui israeliani ed angloamericani hanno rovesciato Mubarack nel 2011 e rovescerebbero volentieri anche il presidente Al-Sisi? Faceva parte Regeni di un servizio segreto inglese od americano?

La parola "spia" è più volte apparsa collegata al nome del giovane dottorando friulano in questi giorni, tanto che i servizi d'informazione italiani si sono visti costretti a negare pubblicamente qualsiasi collegamento con Regeni[151] (non parlando ovviamente a titolo di altri servizi NATO). Il titolo più significativo a questo è probabilmente quello che compare su La Repubblica l'8 febbraio: "Giulio Regeni torturato perché pensavano che fosse una spia"[152]. Regeni forse non era un agente dei servizi angloamericani, ma sicuramente poteva apparire tale nella narrazione (i principali quotidiani nazionali sembrano tuonare all'unisono il verdetto ufficiale.

Ricapitoliamo: abbiamo un giovane italiano al Cairo, dove frequenta l'American University ed è in contatto con gli ambienti dell'opposizione politica di Al-Sisi. Giulio Regeni è in sostanza l'uomo perfetto per inscenare una retata della polizia contro gli oppositori, seguita da un brutale interrogatorio che i servizi del "regime autoritario" riservano alle "spie", seguita infine dal ritrovamento del corpo martoriato, così da mettere in crisi i rapporti tra Italia ed Egitto in una fase cruciale.

Giulio Regeni non era forse una spia, ma sicuramente era l'uomo giusto, nel posto giusto: il suo passaporto, i contatti con l'opposizione, la conoscenza dell'arabo e la frequentazione dell'American University, lo rendevano perfetto per simulare il brutale interrogatorio di una potenziale spia finito in tragedia, propedeutico alla crisi diplomatica tra Roma ed Il Cairo.

Gli ingranaggi di una operazione clandestina

Per avvalorare la nostra tesi, che Regeni sia stato cioè rapito ed ucciso su mandato dei servizi angloamericani, la tempistica e la dinamica ricoprono un ruolo centrale.

Cominciamo con la data della sparizione, il 25 gennaio: non è un giorno qualsiasi in Egitto, perché coincide con il quinto anniversario della rivoluzione che nel 2011 spodesta Hosni Mubarack. Scegliendo di agire in quella specifica data, gli aguzzini di Regeni intendono dare da subito un connotato politico al rapimento ed alla successiva morte, utile ad inquadrare l'assassinio nella cornice della "repressione del regime". I media complici, non a caso, riporteranno in un primo momento la notizia (poi rivelatasi falsa) che Regeni è scomparso dopo una retata della polizia contro i manifestanti del 25 gennaio: "Giulio Regeni arrestato con 40 oppositori e torturato per due giorni all'oscuro di Al Sisi" scrive l'Huffington Post a distanza di due giorni dal ritrovamento.

La verità è però un'altra: Regeni, la sera del 25 gennaio, quando esce di casa non è diretto a nessuna manifestazione, bensì ad una festa tra amici: il movente politico del rapimento, fondamentale nella narrazione, traballa. Si cerca quindi di correre ai ripari e nell'articolo "Giulio Regeni, la pista dei detective italiani: "Ucciso per le sue idee"", che compare su La Repubblica il 6 febbraio, si legge:[153]

"Anche perché il 25 gennaio non è un giorno qualsiasi per il Cairo: è l'anniversario delle proteste di piazza Tahir ed è possibile, dicono fonti dell'intelligence italiana, che Giulio abbia incontrato alcuni ragazzi pronti a manifestare. E che qualcuno, magari pezzi deviati dalla polizia egiziana, abbia deciso di punirli prima che scendessero in piazza."

Un giovane dottorando, che secondo i genitori non si sente minacciato, esce di casa per recarsi ad una festa la sera del 25 gennaio, forse incontra dei manifestanti e, magari, la polizia li arresta, prima che scendano in piazza: è un'evidente forzatura. La nostra tesi è che gli aguzzini abbiano invitato Regeni ad una manifestazione, ma lui ha preferito la festa tra amici ; a quel punto, comunque, si è deciso di agire la sera del 25 gennaio, anniversario della rivoluzione, secondo la tabella di marcia iniziale.

In ogni caso, ora, Giulio Regeni è nelle mani dei suoi rapitori: si aprono tre scenari.

Nel primo, Giulio Regeni non è la vittima inconsapevole di un'operazione clandestina: la polizia od i servizi segreti lo arrestano perché in compagnia di dissidenti e manifestanti in odore di Ong straniere, lui ha interesse a dire che è italiano per non subire qualche interrogatorio "energico", gli agenti controllano il passaporto e appurano che Regeni è cittadino di un Paese amico, il dottorando è etichettato come "persona non gradita" ed è costretto a lasciare l'Egitto entro 48 ore. Fine della storia. L'8 febbraio il ministro degli Interni egiziano ribadisce però, è bene ricordarlo, che Regeni non è mai stato imprigionato da nessuna autorità dello Stato,[154] mentre Regeni viene ritrovato morto e con evidenti segni di tortura.

Secondo scenario, variante del primo: Regeni è prelevato da qualche apparato opaco dello Stato o corpo paramilitare, è pestato per estorcergli qualche informazione, il dottorando muore nell'interrogatorio. A questo punto i suoi aguzzini hanno tra le mani il corpo di un cittadino europeo che mostra evidenti segni di tortura (le unghie strappate a mani e piedi e le orecchie mozzate): per non generare un incidente diplomatico potenzialmente esplosivo, il corpo di Regeni viene fatto sparire ed il friulano diventa un "cittadino scomparso", rimanendo tale per sempre. Non solo il corpo di Regeni è invece ritrovato, ma l'autopsia dimostra che non è morto in maniera fortuita durante "l'interrogatorio" (arresto cardiaco o emorragie interne), bensì gli è stato deliberatamente spezzato il collo.[155]

Terzo scenario: Regeni è vittima di un'operazione clandestina, tesa a danneggiare i rapporti tra Italia ed Egitto. I suoi aguzzini (non necessariamente "servizi deviati", ma anche semplice manovalanza locale o qualcuno della rete dei Fratelli Mussulmani), lo rapiscono il 25 gennaio, lo sottopongono a tortura, non per estorcergli informazioni ma per simulare un interrogatorio "da regime oppressivo". Al termine lo uccidono spezzandogli il collo e, infine, fanno in modo che il corpo straziato del ricercatore, l'amico dei dissidenti scomparso l'anniversario della rivoluzione, sia ritrovato. Questo è quanto avviene e questa, quasi sicuramente, è la ricostruzione corretta: la tempistica del ritrovamento del corpo e gli avvenimenti successivi corroborano la tesi.

Il cadavere di Giulio Regeni è rinvenuto il 3 febbraio su un cavalcavia dell'autostrada tra il Cairo ed Alessandria e l'artefice della macabra scoperta è un tassista, fermatosi sul ciglio della strada per un guasto all'auto:[156] al momento non si è ancora stabilita la data del decesso, ma il fatto che il corpo non sia stato abbandonato in un posto isolato, ma sui bordi della strada, significa che i suoi aguzzini volevano che il corpo fosse rinvenuto nella giornata del 3 febbraio. Perché?

Perché quel giorno è in programma un incontro ai massimi livelli tra il ministro dello Sviluppo Economico, Federica Guidi, e le autorità egiziane, compreso il presidente Abd Al-Sisi. Così recita l'Agi,[157] poco prima che il corpo di Regeni sia ritrovato: "Guidi è giunta oggi in Egitto alla guida di una delegazione di 60 aziende e dei rappresentanti di Sace, Simest e Confindustria. Il programma della visita prevede incontri con il presidente della Repubblica Abdel Fatah al Sisi, con il primo ministro Sherif Ismail, tutti i ministri economici, l'Autorita' del Canale di Suez e altri interlocutori".

Appena si diffonde la notizia del ritrovamento del cadavere di Regeni, la Guidi, volente o nolente, rientra immediatamente a Roma e la delegazione è sospesa.[158]

Non solo, ma a leggere la Repubblica, il rinvenimento del corpo del giovane friulano cade anche in un momento decisivo per il perfezionamento dei contratti tra l'ENI e le autorità egiziane, concernenti lo sfruttamento dell'enorme giacimento Zohr. Così scrive Fabio Scuto, esperto di Medio Oriente che ha seguito per conto di La Repubblica tutte le vicende dell'Undici Settembre:[159]

"L'Italia attraverso l'ENI firmerà con l'Egitto la prossima settimana un accordo per lo sfruttamento di un giacimento di gas nel Mediterraneo. Un contratto che vale solo per i primi 3 anni 7 miliardi di dollari. Congelarlo, fino ad una chiara identificazione e punizione degli assassini di Giulio, potrebbe essere una buona arma (diplomatica) di pressione."

Hai capito, Scuto? Blocchiamo il contratto miliardario dell'ENI in Egitto, così puniamo quei cattivoni degli egiziani che rapiscono e torturano i giovani dissidenti! L'omicidio di Regeni si tinge di blu petrolio…

L'imbarazzo per le autorità egiziane è palpabile e, non è chiaro se le notizie siano autentiche oppure (più probabile) ulteriori tentativi dei media di screditare il Cairo, inscenando un tentativo di depistaggio, si parla nelle prime ore di un incidente stradale e di un omicidio a sfondo sessuale.

A questo punto parte la grancassa delle tre principali testate dell'establishment euro-atlantico (La Repubblica, il Corriere della Sera, Il Sole 24 ore) per screditare l'Egitto di Al-Sisi, coll'obbiettivo di infliggere il massimo danno possibile alle relazioni italo-egiziane. Riportiamo sinteticamente qualche titolo: "Italiano ucciso in Egitto, dove il regime reprime gli oppositori";[160] "Il vero volto dell'Egitto che nessuno vuole vedere";[161] "Gli affari miliardari tra Egitto e Italia che fanno dimenticare i diritti umani";[162] "Egitto, le testimonianze: "Torture nelle carceri di al-Sisi. Elettroshock e abusi sessuali". Hrw: "Peggio di Mubarak"";[163] ""Giulio Regeni torturato perché pensavano che fosse una spia"";[164] "Giulio Regeni, la pista dei detective italiani: "Ucciso per le sue idee"".[165] (si veda la carta "Connessioni tra i mezzi di comunicazione")


Già, perché a dare un'impronta tutta "politica" al rapimento ed all'uccisione di Giulio Regeni, ci hanno pensato i suoi amici de Il Manifesto che, contro la volontà dei suoi genitori (tanto che per un certo momento è ventilata un'azione legale),[166] diffondono (dietro pressione di chi?) l'ultimo articolo inviato dal giovane ricercatore alla redazione del giornale, spedito a metà gennaio, ma mai pubblicato sino ad allora: è il pezzo "In Egitto, la seconda vita dei sindacati indipendenti",[167] utile a dimostrare che Regeni era politicamente attivo, un avversario del "regime" e quindi pericoloso per lo stesso.

Esattamente come l'attentato al volo Metrojet si prefiggeva il duplice obbiettivo di punire la Russia per la sua ingerenza nello scacchiere mediorientale ed infliggere un colpo letale alla strategica industria vacanziera egiziana, così anche l'omicidio Regeni da un lato tenta di frenare l'attivismo italiano, dall'altro è l'ennesimo attacco al già debilitato turismo sul Nilo: i media occidentali diffondono urbi et orbi l'appello dell'attivista Mona Seif a non visitare in Egitto, perché si muore ogni giorno, la polizia tortura la gente, quando questa non sparisce nel nulla. "Caso Regeni, l'attivista Mona Seif: "Stranieri, non venite in Egitto. Qui si muore ogni giorno""[168] titola Repubblica il 5 febbraio: quanti posti di lavoro sono stati distrutti dalla diffusione internazionale di questo messaggio? In quanti centinaia di milioni è quantificabile il danno inflitto all'economia egiziana dalla 29enne Seif, già coinvolta nella rivoluzione colorata del 2011?

Quanto finora abbiamo detto è noto ai servizi segreti italiani ed egiziani, tanto che tra i fiumi d'inchiostro versati sull'omicidio Regeni, di tanto in tanto affiora qualche voce fuori dal coro, sommersa presto dalla martellante propaganda atlantica. È il caso dell'ambasciatore egiziano in Italia Amr Helmy, secondo cui:

"Regeni non è mai stato sotto la custodia della nostra polizia. E noi non siamo cosi ‘naif' da uccidere un giovane italiano e gettare il suo corpo il giorno della visita del Ministro Guidi al Cairo (…) Dovete capire che lanciare delle accuse pesanti contro le forze di sicurezza egiziane senza alcuna prova può danneggiare i nostri rapporti. Spero che la verità venga fuori il prima possibile. Non abbiamo nulla da nascondere".

Sia da parte italiana che da parte egiziana prevale la tendenza ad non esacerbare i toni, compromettendo la collaborazione su dossier strategici come quello libico ed energetico: i primi ad accorgersi che la vicenda è lasciata scivolare progressivamente nel dimenticatoio, vanificando gli obbiettivi per cui l'operazione clandestina è ideata, sono proprio gli angloamericani.

Parte quindi una seconda campagna diplomatica e mediatica, che trascende Roma ed il Cairo, e si colloca sull'asse Londra-Washington, sfruttando il fatto che Regeni studiava in atenei inglesi e statunitensi.

Dall'Inghilterra è lanciata la raccolta di firme tra figure del mondo accademico affinché, partendo dall'omicidio di Regeni, sia condotta un‘investigazione imparziale su tutti i casi di "sparizione, tortura e morte in carcere consumatesi tra gennaio e febbraio". Il documento che appare sul The Guardian sotto forma di lettera ("Egypt must look into all reports of torture, not just the death of Giulio Regeni")[169] dipinge l'Egitto di Al-Sisi come una dittatura sudamericana degli anni più bui della Guerra Fredda, basandosi, ovviamente, sulle informazioni prodotte dalle solite ONG (Amnesty International, Human Rights Watch, Freedom House) che, etichettando gli Stati ostili come "regimi", aprono la strada a bombardamenti/rivoluzioni.

Non sono da meno gli Stati Uniti, dove Barack Obama, le cui mani grondano sangue per aver gettato nel caos il Medio Oriente, sceglie di interessarsi del caso Giulio Regeni, per evitare chiaramente che italiani ed egiziani neutralizzino il tentativo di lacerare i rapporti: "Regeni, Obama a Mattarella: Usa pronti a collaborare per verità" pubblicano le agenzie.[170]

Si arriva così alla situazione per cui i probabili aguzzini di Regeni sono i più strenui sostenitori di un'approfondita indagine, da estendersi, coll'occasione, alle altre "brutalità del regime oppressore di Al-Sisi". Come direbbero all'università di Cambridge: such a paradox, isn't it?

Dagli all'Egitto! Chi c'è dietro Amnesty International e gli ex-LC che invocano la linea dura sul caso Regeni?

Sono trascorsi tre anni dal ritrovamento del corpo di Giulio Regeni alla periferia del Cairo e nuovi elementi sono emersi nel frattempo, corroborando la nostra tesi che dietro il rapimento ed il barbaro assassinio del giovane ricercatore si nascondesse un'operazione clandestina di quei servizi interessati a danneggiare i rapporti tra Italia ed Egitto: gli stessi cinici servizi angloamericani con cui Regeni era in contatto. Nonostante gli sforzi diplomatico-politici per compromettere le relazioni, il 21 febbraio l'ENI ha completato con le autorità egiziane l'iter autorizzativo per lo sfruttamento del maxi-giacimento Zohr: quasi in concomitanza è partita una seconda campagna mediatica, che invoca la linea dura contro il Cairo e chiede il congelamento degli investimenti dell'ENI. A guidarla, oltre la Repubblica di Carlo De Benedetti, è Amnesty International, coadiuvata da un nutrito stuolo di politici ed intellettuali che hanno in comune un passato in Lotta Continua. C'è un nesso? E se sì, quale?

Regeni tradito dai circoli della Oxford Analytica

A distanza di appena un mese dal rinvenimento del corpo di Giulio Regeni, erano già emerse informazioni sufficienti ad irrobustire il nostro impianto analitico, piuttosto che a scalfirlo. Elementi dell'inchiesta, sfaccettature del profilo di Regeni prima sconosciute, sviluppi dei rapporti commerciali tra Roma ed Il Cairo, reazioni di un certo tipo di stampa, avevano confermato le conclusioni cui eravamo giunti quando il cadavere del giovane ricercatore era stato appena rinvenuto, le ipotesi erano le più disparate ed il fragore mediatico, alimentato ad hoc, più assordante che mai.

Giulio Regeni, è ormai assodato, ruotava (anche se il suo inquadramento formale è, e probabilmente resterà, sconosciuto) nella galassia dei servizi d'informazione angloamericani, più che mai desiderosi di rovesciare l'ex-feldmaresciallo Abd Al-Sisi, per proseguire i disegni di destabilizzazione / balcanizzazione della regione ed ostili a qualsiasi iniziativa di chi, come l'Italia, ha l'interesse contrario a consolidare il quadro politico, per motivi di sicurezza e commerciali: l'omicidio del giovane dottorando friulano si colloca proprio su questa linea di faglia, che divide italiani ed angloamericani.

Regeni, che a Il Cairo era in contatto con il milieu politico che Londra e Washington adoperano abitualmente per fomentare le rivoluzioni colorate, è stato rapito, torturato ed ucciso su mandato degli stessi servizi atlantici con cui era in contatto, così da compromettere le relazioni italo-egiziane, proprio quando la scoperta dell'enorme giacimento gasifero da parte dell'ENI rilanciava il ruolo di Roma nella regione ed imprimeva una svolta all'economia de Il Cairo, assetato di crescita per normalizzare la precaria situazione interna.

Sin da subito, le sue frequentazioni dell'università di Cambridge, dell‘American University a Il Cairo, dei sindacati e degli attivisti politici più ostili alla presidenza di Al-Sisi e, dulcis in fundo, la sua collaborazione con il Manifesto, quotidiano da cui partono sovente duri attacchi contro il "regime egiziano" e da sempre in odore di NATO, avevano indotto a pensare che il giovane ricercatore friulano fosse legato al mondo dei servizi angloamericani: sospetta era anche stata l'immediata smentita dei servizi italiani che ci fosse qualche collegamento con Giulio Regeni,[171] quasi a dire: "sì, era del giro, ma non del nostro".

Oggi, si posseggono più informazioni per completare il profilo del dottorando.

Nel Regno Unito da una decina di anni, dopo una laurea in lingua araba e società mussulmana [172] all'università di Leeds, Regeni sbarca nel 2011 all'università di Cambridge per un master di taglio economico e, attraverso i canali della facoltà, trascorre un primo periodo lavorativo al Cairo, presso gli uffici delle Nazioni Unite.[173] A questo punto (ed il merito della scoperta va imputato al quotidiano La Stampa, con l'articolo del 16 febbraio "Regeni a Londra lavorò per un'azienda d'intelligence",[174] senza il quale gli inglesi avrebbero taciuto sul particolare), Regeni collabora per un anno con la società angloamericana Oxford Analytica, una delle innumerevoli ramificazioni privatistiche dei servizi d'informazione atlantici. È sufficiente una rapida occhiata al sito, per rendersi conto che la Oxford Analytica è la continuazione sul terreno privato delle agenzie governative, con cui condivide, in un rapporto simbiotico, finalità e risorse (illuminante è il rapporto "New ‘de facto' states could reshape the Middle East").[175]

Nel 2014 Regeni ritorna all'università di Cambridge per un dottorato di stampo economico e, aggiungiamo sulla base degli ultimi sviluppi, ormai è inquadrato nel mondo dei servizi angloamericani, presumibilmente come agente non-official cover: si noti che nella narrazione della storia questa sfaccettatura del profilo di Regeni non avrebbe mai dovuto emergere (ed ora che è venuta alla luce del sole, è stata velocemente relegata al dimenticatoio). Regeni, infatti, doveva presentare le caratteristiche equivoche di una simil-spia, così da poter inscenare il rapimento a sfondo politico e la tortura di un giovane italiano da parte del "brutale regime di Al-Sisi". Mai si sarebbe dovuto scoprire che Regeni era effettivamente legato ai servizi angloamericani, perché in questo modo si perdeva "l'innocenza" della vittima.

Ora, un breve, ma fondamentale, intermezzo geopolitico-economico: l'11 luglio esplode l'autobomba al consolato italiano a Il Cairo, da leggere come un avvertimento mafioso che i servizi israeliani ed angloamericani inviano all'Italia per il suo attivismo in Egitto. Poche settimane dopo, il 30 agosto per la precisione, l'ENI annuncia la scoperta del giacimento gasifero di Zohr, capace con i suoi 850 miliardi di metri cubi di metano [176] di regalare al Cairo l'indipendenza energetica.

Dopo il primo anno di dottorato a Cambridge, Regeni torna al Cairo, per trascorrere l'anno accademico 2015/2016 presso l'American University in Cairo: gli studi che Regeni dovrebbe compiere nella capitale egiziana sono la continuazione, o meglio "l'aggiornamento", del libro che la sua docente a Cambridge, Maha Abdelrahman, ha pubblicato nel 2014, dal titolo "Egypt's Long Revolution".[177] L'opera collima perfettamente con la visione che Londra e Washington hanno dell'Egitto: tanto la Fratellanza Mussulmana che alimentava gli odi settari e le divisioni politiche era ben vista, quanto la restaurazione laica e nazionalista di Abd Al-Sisi è indigesta.

Regeni entra quindi in contatto con il mondo dell'opposizione, frequenta le assemblee dei sindacati critici verso il governo, e confeziona qualche articolo che invia al Manifesto ed all'agenzia stampa Nena News (il cui fondatore è corrispondente da Gerusalemme del Manifesto):[178] come già evidenziammo, è quasi sicuramente l'American University che instrada Regeni verso la collaborazione con la testata "marxista". Al Manifesto lavora infatti anche Giuseppe Acconcia, anch'egli con un passato proprio all'università americana del Cairo, oltre che all'Open Democracy di George Soros. Il giornalista lo rincontreremo fra poco.

Siamo ai primi di dicembre (Regeni è in Egitto da poco più di tre mesi) ed il piano di rapire, torturare ed assassinare il giovane ricercatore italiano, per poi farne ritrovare il cadavere al momento più opportuno, è ormai maturato nei circoli della Oxford Analytica: lo dimostra il fatto che Regeni, ospite di un'assemblea sindacale, si accorge di essere fotografato da uno sconosciuto. L'evento lo inquieta, tanto che ne parla ai suoi colleghi universitari, che poi lo riferiranno agli inquirenti:[179] il dettaglio è rilevante, perché assesta un altro duro colpo alla tesi del prelevamento "accidentale", durante l'anniversario della rivoluzione del 25 gennaio, avvalorando invece la tesi dell'operazione clandestina premeditata.

Quella fatidica sera del 25 gennaio, contrariamente alle prime ricostruzioni fornite dai media, utili ad inquadrare in una cornice politica il rapimento e l'assassinio dell'italiano, Regeni non ha in programma di partecipare a nessuna manifestazione per l'occorrenza: al contrario, agendo con circospezione come d'abitudine, il dottorando ha addirittura consigliato un'amica di non uscire di casa fino al 28 gennaio, poiché sono previste agitazioni e violenze.[180] Per qualche motivo (l'ipotesi non ancora smentita è la festa di compleanno presso amici), Regeni invece esce la sera del 25, per sparire nei pressi della stazione metropolitana, non distante dalla sua abitazione. L'ultimo tentativo di avvalorare la tesi del prelevamento da parte della polizia egiziana lo farà il 12 febbraio il New York Times il 16  febbraio, citando fonti anonime:[181] –"They figured he was a spy," one of the officials said. "After all, who comes to Egypt to study trade unions?"-. Le autorità egiziane smentiranno prontamente la ricostruzione del quotidiano americano,[182] che lascerà cadere le accuse con la stessa facilità con cui le ha avanzate.

Il corpo di Giulio Regeni è rinvenuto il 3 febbraio 2015, giusto in tempo per sabotare la missione economica del ministro dello Sviluppo economico, Federica Guidi, costretta a ritornare precipitosamente in Italia sull'onda dello sdegno generalizzato per l'uccisione del giovane italiano. La campagna mediatica, dove La Repubblica ed il Manifesto fanno la parte del leone, è infatti martellante e mira a dipingere il dottorando come una vittima innocente della macchina repressiva del "regime egiziano". Scende in campo Giuseppe Acconcia che rivela come il giovane italiano avesse scritto alcuni articoli sul Manifesto, fosse vicino agli ambienti dell'opposizione ed "avesse paura per la sua incolumità":[183] quello che la redazione del giornale "marxista" si guarda bene dal dire (ed il silenzio è molto eloquente) è che Regeni avesse lavorato per la Oxford Analytica. Il particolare non collimerebbe, infatti, con la narrazione della vittima catturata per un malinteso e torturata a morte.

Se si ignorano aspetti decisivi della personalità di Regeni, in cambio, si ha un'approfondita conoscenza della dinamica delle relazioni tra Italia ed Egitto. Su Repubblica del 6 febbraio, appare un articolo a firma di Fabio Scuto che riporta alcune informazioni molto addentro al dossier, tanto che chi, come noi, avesse cercato altrove una conferma, non ne avrebbe trovata alcuna traccia. Scrive Scuto:[184]

"L'Italia attraverso l'Eni firmerà con l'Egitto la prossima settimana un accordo per lo sfruttamento di un giacimento di gas nel Mediterraneo. Un contratto che vale solo per i primi 3 anni 7 miliardi di dollari. Congelarlo, fino ad una chiara identificazione e punizione degli assassini di Giulio, potrebbe essere una buona arma (diplomatica) di pressione."

La Repubblica di Carlo De Benedetti non sbaglia: a distanza di due settimane, nonostante il polverone sollevato dal caso Regeni, sul sito del gruppo di San Donato milanese appare il comunicato stampa "Eni completes the authorization process for the development of Zohr gas field".[185] È il 21 febbraio e l'intera operazione condotta dai servizi atlantici per sabotare l'accordo ha, chiaramente, fallito l'obbiettivo principale

L'ultimo tentativo in extremis di esacerbare le relazioni tra Roma ed Il Cairo è stato attuato pochi giorni prima, con la campagna mediatica, tuttora in corso, "Verità per Giulio Regeni", "per non permettere che l'omicidio del giovane ricercatore italiano finisca nell'oblio, catalogato tra le tante "inchieste in corso" o peggio, collocato nel passato da una "versione ufficiale" del governo del Cairo".[186] A guidare la campagna, subito rilanciata da Repubblica, è Amnesty International, coadiuvata da un nutrito stuolo di politici, scrittori ed intellettuali uniti da un comune passato in Lotta Continua.

C'è un nesso tra l'organizzazione non governativa con sede a Londra ed i reduci della sinistra extraparlamentare? E se sì, quale?

Amnesty International e Lotta Continua, più vicini di quanto si possa immaginare

Roma, via Salaria, 25 febbraio. Davanti all'ambasciata dell'Egitto si svolge una manifestazione di Amnesty International nell'ambito della campagna "Verità per Giulio Regeni": cartelli, bandiere ed un grande striscione steso a terra, tutti rigorosamente in giallo e nero, i colori del logo di Amnesty International. Il numero dei partecipanti è modesto, compensato però dalla virulenta retorica:[187]

"Il corpo di Giulio Regeni porta una firma, la firma della tortura di Stato e dobbiamo scoprire nomi e cognomi di chi ha messo quella firma. Non accetteremo nessuna verità di comodo (…) Il governo italiano deve andare fino in fondo".

Non usa mezzi termini Amnesty International, che da mesi conduce una serrata campagna contro il governo egiziano,[188] etichettato come "regime oppressore", ed ha prontamente abbracciato la causa dell'omicidio Regeni, brandendola come arma contro le torture di Stato e le "sparizioni forzate" che, secondo l'ong, sono la quotidianità dell'odierno Egitto.

Peraltro Amnesty International è in buona compagnia: è sufficiente dire che, subito dopo il ritrovamento del cadavere di Regeni, un ruolo di punta nei tentativi di demolire l'immagine del presidente Al-Sisi è stato ricoperto da Human Rights Watch e dai suoi bollettini sulle condizioni politiche in Egitto. Nel Paese, secondo la ong statunitense, è in atto una dura repressione, il dissenso interno è combattuto, le manifestazioni proibite, gli oppositori imprigionati e la principale forza d'opposizione, la Fratellanza Mussulmana, combattuta senza quartiere: nessun interrogativo, però, sull'origine del terrorismo islamico che destabilizza la popolosa nazione araba.

La campagna di Amnesty International è focalizzata su un preciso obbiettivo politico: impedire che l'omicidio scivoli nel dimenticatoio e sia archiviato, in virtù della ragion di Stato e degli interessi, dal dossier energetico a quello libico, che uniscono Roma al Cairo. Già perché nel momento in cui il governo italiano ed egiziano afferrano la vera natura dell'omicidio Regeni, ossia un'operazione clandestina concepita negli ambienti angloamericani, prevale la tendenza ad accantonare l'affaire Regeni, così da impedire che i mandatari dell'assassinio raggiungano i loro scopi. Interviene allora Amnesty International e lo fa, si noti, con precisione chirurgica: se alla base dell'omicidio Regeni c'è la scoperta del giacimento Zohr, se la campagna che segue il ritrovamento del cadavere mira al congelamento dei rapporti commerciali tra Italia ed Egitto, se l'ENI ha, nonostante tutto, siglato l'accordo per lo sfruttamento del bacino gasifero, chi può finire nel mirino di Amnesty International? Ma ovviamente il gruppo di San Donato Milanese.

L'ong basata a Londra prende carta e penna e, attraverso il direttore generale di Amnesty International Italia, Gianni Rufini, scrive direttamente all'amministratore delegato di ENI spa, Claudio Descalzi, affinché "solleciti le autorità egiziane a svolgere un'inchiesta approfondita, rapida e indipendente sull'omicidio di Giulio Regeni".[189] È perlomeno originale che ci si appelli ad un soggetto privato per un caso trattato a livello intergovernativo: una persona un po' maliziosa potrebbe pensare che le attività dell'ENI in Egitto ronzino continuamente nella testa dei dirigenti di Amnesty International, trovando conferma alla tesi che dietro l'omicidio Regeni si nasconda proprio la volontà di sabotare i rapporti commerciali italo-egiziani.

Il 25 febbraio, davanti all'ambasciata egiziana a Roma, manifesta insieme ad Amnesty International anche lo scrittore Erri De Luca che, intervistato dal solito Giuseppe Acconcia (ex-American University del Cairo ed ex-Open Democracy di George Soros), lancia una dura invettiva contro le autorità italiane ed egiziane, accusando le prime di voler insabbiare il caso per non danneggiare le attività dell'ENI e le seconde di essersi macchiate di un delitto di Stato. Afferma Erri De Luca:

"Il governo invece è del tutto reticente. Questo caso disturba il business italiano in Egitto. In particolare siamo in subordine alle autorità egiziane per i contratti in materia di gas. Non è un caso che sia stato appena firmato un contratto da Eni con il Cairo. Per questo il governo italiano colpevolmente non chiede un intervento più incisivo all'Europa. (…) Ci troviamo di fronte ad un delitto di Stato. Giulio è stato prelevato con la forza. Tutto fa pensare che le responsabilità siano di un corpo professionale e organizzato. Giulio è stato torturato a morte in maniera scientifica. Il suo corpo è stato martorizzato. Il cadavere di Giulio Regeni è stato scartato via come un rifiuto."

Erri De Luca, classe 1950, una gioventù in Lotta Continua, si schiera a fianco di Amnesty International, contro il governo egiziano e quello italiano, accusato di esercitare insufficienti pressioni sul Cairo per via degli interessi energetici in ballo.

Il profilo di De Luca presenta forti analogie con quello di Luigi Manconi, classe 1948, già responsabile del servizio d'ordine di Lotta Continua,[190] oggi senatore del Partito Democratico. Sull'Huffington Post del 2 marzo compare l'articolo "Caso Regeni, richiamare l'ambasciatore? È il minimo", dove Manconi afferma:[191]

"La più recente pagina, quella scritta ieri sulla tragedia dell'assassinio di Giulio Regeni è, forse, la più oltraggiosa (…) Si tratta di un comportamento ormai intollerabile che ridà attualità e forza a quanto detto qualche giorno fa da Pierferdinando Casini. Il presidente della Commissione Esteri del Senato ha dichiarato: "Se non arrivano risposte vere, va richiamato in Italia il nostro ambasciatore al Cairo". (…) Nei rapporti economici tra l'Italia e l'Egitto siamo noi il soggetto forte e se, dunque, è interesse di entrambi i partner garantire la continuità di questo tipo di relazioni, nel caso attuale è il nostro paese a poter e dover utilizzare tutte le risorse capaci di esercitare una adeguata pressione nei confronti dell'Egitto, anche attraverso un'azione concertata con i principali investitori italiani in quel Paese. Chi ha orecchi per intendere intenda."

E poi, avanti con gli altri ex-Lotta Continua, tutti ad attaccare l'Egitto di Al-Sisi: Paolo Hutter con l'articolo "Giulio Regeni e il dovere di denunciare"[192] pubblicato sul Manifesto il 12 febbraio, Adriano Sofri con l'articolo "Caro Renzi, per risarcire la memoria di Regeni l'Italia riconosca il reato di tortura. Lettera aperta di Adriano Sofri"[193] pubblicato sul Foglio il 19 febbraio. E così via.

Amnesty International e gli ex-Lotta Continua, uniti contro l'Egitto di Al-Sisi e concentrati sulle attività dell'ENI. Un caso? Una coincidenza dovuta alle affinità di sentimenti tra la ong con sede a Londra e gli ex-militanti della sinistra extraparlamentare. O c'è dell'altro?

Cominciamo con Amnesty International: nell'immaginario comune la ong è associata ai banchetti che si incontrano nelle aree pedonali ed ai giovani volontari che chiedono una firma o una donazione per nobili cause, dal rispetto dei diritti umani in Burkina Faso alla liberazione di un prigioniero politico in Venezuela. Ci deve essere però un motivo se, dopo il varo delle due leggi contro le ong straniere (2012 e 2015), le autorità russe hanno effettuato approfondite ispezioni negli uffici di Amnesty International:[194] temono, forse, che la ong sia l'ennesimo paravento dietro cui si nascondono le attività eversive propedeutiche alle solite rivoluzioni colorate angloamericane? Il sospetto è lecito, perché dalle dure critiche al Cremlino durante la seconda guerra cecena,[195] ai recenti raid russi in Siria contro l'ISIS tacciati come "crimini di guerra",[196] passando per la difesa delle Pussy Riot, si direbbe che ci sia una forte sintonia tra Amnesty International e la politica estera di Londra e Washington.

I dubbi assumono consistenza se si studia l'organigramma di Amnesty International. Si prenda ad esempio la succursale negli Stati Uniti, persino più rilevante per risorse ed influenza della casa madre nel Regno Unito: ebbene si scopre che la direttrice esecutiva della ong, dal 2012 al 2013, è Suzanne Nossel, con un passato al Dipartimento di Stato americano ed un lavoro di ricercatrice presso due influentissimi pensatoi liberal come il Center for American Progress ed il Council on Foreign Relations. Alla Nossel subentra nel 2013 Margaret Huang,[197] che nel curriculum vitae vanta un impiego presso il Comitato per gli Affari Esteri del Senato americano. Sorge spontaneo il dubbio: assumendo la loro carica di direttrici esecutive di Amnesty International, hanno reciso ogni legame con il governo americano o, piuttosto, svolgono lo stesso lavoro in altre vesti? A giudicare dalle campagne della ong, si propenderebbe per la seconda ipotesi.

Non è sufficiente? Si può indagare sui finanziamenti di Amnesty International. Le fonti di approvvigionamento della ong sono piuttosto nebulose ma, scartabellando i rapporti annuali del 2010 [198] e del 2011 [199] si scopre che tra i maggiori sostenitori figurano la Ford Foundation e la Open Society Foundations: la prima è tra le più ricche fondazioni statunitensi e, sin dalle sovvenzioni al nascente gruppo Bilderberg nel lontano 1954, si comporta come l'alter ego del Dipartimento di Stato americano, la seconda è la cassaforte da cui lo speculatore George Soros attinge le risorse per fomentare rivoluzioni colorate e sommosse in giro per il mondo, dalla Libia all'Ucraina.

Ecco, quindi, chi manifesta il 25 febbraio davanti all'ambasciata egiziana a Roma: sono il Dipartimento di Stato americano e la Open Society del miliardario Soros.

E di Lotta Continua, che possiamo dire? Oggigiorno ci si imbatte in questa sigla della sinistra extraparlamentare, solo scorrendo la biografia di qualche illustre personaggio, confluito chi nell'intellighenzia di sinistra, chi in quella di destra, dopo la fine degli anni di piombo e della dualità DC vs PCI: Adriano Sofri, Marco Boato, Toni Capuozzo, Paolo Cento, Erri De Luca, Luigi Manconi, Paolo Hutter, Gad Lerner, Paolo Liguori, Andrea Marcenaro, Giampiero Mughini, Carlo Panella, Carlo Rossella sono alcuni dei nomi più famosi, firme illustri di la Repubblica, l'Espresso, il Manifesto, Panorama, il Foglio, etc. etc.

Ai fini della nostra analisi è però utile tornare indietro nel tempo ed indagare sulle origini di Lotta Continua, così da poter capire perché i suoi ex-militanti attaccano frontalmente l'Egitto di Al-Sisi a fianco di Amnesty International ed esercitano forti pressioni affinché l'ENI congeli i suoi investimenti.

Lotta Continua nasce ufficialmente nell'autunno 1969, poche settimane prima che a Milano una valigia bomba esploda nell'atrio della Banca Nazionale dell'Agricoltura, il 12 dicembre: muoiono 17 persone e ne rimangono ferite più di 80, nella strage che sancisce l'inizio della strategia della tensione, finalizzata a frenare l'avanzata del PCI ma anche, se non soprattutto, a mantenere l'Italia in uno stato di crisi permanente, così da garantirne la subordinazione agli interessi angloamericani. Il collegamento tra Lotta Continua e la strategia della tensione, e l'attentato di Piazza Fontana in particolare, non è solo questione di date, ma anche di cronaca, come testimonia l'omicidio Calabresi di cui parleremo tra poche righe.

Per sfibrare il PCI (allora primo partito comunista dell'Europa occidentale) e conservare l'Italia in uno stato di costante fibrillazione, Londra e Washington si avvalgono di due strumenti: i gruppi di estrema destra riconducibili alla rete Gladio/Stay Behind (come Avanguardia Nazionale ed Ordine Nuovo, responsabili materiali della strage di Piazza Fontana) e gli elementi della sinistra extra-parlamentare, incaricati di erodere da sinistra il consenso del PCI e di compiere atti terroristici, così da screditare lo stesso, alimentando la domanda di "ordine e sicurezza". Lotta Continua, insieme ad altre sigle come Potere operaio, Avanguardia operaia, Lotta comunista, Gruppi rivoluzionari marxisti-leninisti, sono ascrivibili a pieno titolo alla seconda categoria.

Emblematico a questo proposito è il quotidiano "Lotta Continua", diretto tra il 1972 ed il 1975 da Fulvio Grimaldi: il direttore della neonata testata "rivoluzionaria", sposato con una cittadina inglese, non è un novizio alle prime armi, ma vanta nel suo curriculm vitae una quinquennale esperienza presso la BBC inglese, strumento per eccellenza della politica estera di Londra. Ecco come Grimaldi ricorda tuttora la sua lunga permanenza nel Regno Unito:[200]

"Un passo indietro ci porta all'inizio del mio effettivo lavoro giornalistico, quando vinco un concorso della BBC e vado a lavorare a Londra alla radio di quell'emittente, con un contratto di cinque anni. Straordinaria scuola di professionalità, neanche sognata dai media italiani, la BBC mi insegna a occuparmi dell'universo mondo (…)".

Nello stesso periodo in cui Grimaldi, reduce dal suo soggiorno nella sua amata "swinging London", prende in mano il quotidiano "Lotta Continua", si consuma il 17 maggio 1972 l'omicidio di Luigi Calabresi. Il vice-capo dell'Ufficio politico, contro cui la stampa di sinistra aveva anni addietro lanciato una violenta campagna denigratoria per la morte dell'anarchico Giuseppe Pinelli (deceduto nel lontano 16 dicembre 1969, dopo un volo di quattro piani dalla stanza in cui era interrogato), è quasi certamente giustiziato per aver capito, risalendo il flusso delle armi, che dalla strage di Piazza Fontana si dipana un filo che porta dritto agli ambienti atlantici.[201]

L'omicidio di Calabresi, di cui la tragica morte di Pinelli risalente a tre anni prima è solo un pretesto, è materialmente compiuto da Ovidio Bompressi e Leonardo Marino, entrambi militanti di Lotta Continua, su istigazione di Giorgio Pietrostefani e Adriano Sofri, figure apicali del movimento rivoluzionario.

Ebbene Giorgio Pietrostefani, a testimonianza di quali interessi si nascondessero dietro Lotta Continua, è assunto all'inizio degli anni '80, prima di riparare in Francia da cui non sarà mai estradato, dalle Officine Meccaniche Reggiane,[202] operanti nel settore militare, ed insignito di un Nulla Osta di Sicurezza:[203] il profilo del capo di Lotta Continua ricalca perfettamente quello dei brigatisti Antonio De Luca e Marco Mezzasalma, impiegati presso la Litton Italia Spa, muniti di NOS, e responsabili rispettivamente dell'omicidio del senatore Roberto Ruffili e del giuslavorista Marco Biagi.

Concludendo, è sufficiente scavare un poco per scoprire cosa unisce Amnesty International e gli ex-Lotta Continua nella virulenta campagna contro Al-Sisi e l'attivismo dell'ENI in Egitto: non è tanto l'omicidio del giovane Giulio Regeni che sta loro a cuore, quanto, piuttosto, la difesa degli interessi angloamericani.

Caso Regeni: entra in scena "l'Anonimo egiziano" de la Repubblica. Perché proprio in quel momento?

Il quotidiano La Repubblica è storicamente uno dei principali strumenti dell'establishment atlantico per influenzare la vita politica italiana: nel caso Regeni il giornale di Carlo De Benedetti ha svolto, spalleggiato da Amnesty International, il ruolo di caporione della campagna mediatica contro il presidente Abd Al-Sisi e gli interessi italiani in Egitto. I successivi colpi di scena, "l'Anonimo egiziano" che accusa lo stesso ex-feldmaresciallo della morte del giovane italiano, sfiorano il ridicolo. Discreditare ed isolare il governo egiziano è diventata una priorità per gli angloamericani: il fragile esecutivo libico di Faiez Al-Serraj, primo passo verso la spartizione dell'ex-colonia italiana, è appeso infatti alla volontà del generale Khalifa Haftar, a sua volta appoggiato dal presidente Abd Al-Sisi.

Quando gli aguzzini sono i paladini della verità

Per appurare la verità su un omicidio è prassi comune studiare il contesto in cui il delitto matura e le evoluzioni successive; anzi, spesso è proprio quanto accade dopo il delitto che consente agli investigatori di risalire ai colpevoli. Il caso di Giulio Regeni rientra in questa casistica: la campagna politico-mediatica che segue il suo assassinio è più utile a stabilire mandanti e complicità della ricostruzione dei fatti che intercorrono tra la sua scomparsa (25 gennaio) ed il ritrovamento del cadavere (3 febbraio).

Fin dai primi giorni una serie di indizi (il precedente dell‘autobomba al consolato dell'11 luglio 2015, la scomparsa di Regeni in occasione dell'anniversario della "rivoluzione di piazza Tahir", la sua frequentazione dell'American University of Cairo, l'immediato prodigarsi de Il Manifesto e del giornalista Giuseppe Acconcia per dare un connotato politico all'omicidio, il ritrovamento del cadavere in concomitanza alla delegazione economica del ministro Federica Guidi, la pronta evocazione da parte di Repubblica del contratto dell'ENI per lo sviluppo del giacimento Zohr e la richiesta di sospenderlo) avevano indotto a pensare che dietro la scomparsa e la brutale uccisione del giovane friulano si celasse la classica operazione clandestina, mirata al deragliamento della collaborazione tra Italia ed Egitto.

In base a questa ricostruzione elaborata a caldo, la morte di Giulio Regeni era riconducibile agli ambienti angloamericani ruotanti attorno all'Università di Cambridge e dell‘American University of Cairo che, "sacrificando" il ricercatore italiano (ricorrendo per l'esecuzione materiale del delitto alla criminalità comune oppure a qualche affiliato della Fratellanza Mussulmana) perseguivano diversi obbiettivi: sabotare l'attività dell'ENI, infliggere un ulteriore colpo alla stabilità dell'Egitto ed alla già debilitata industria turistica, rompere la collaborazione tra Roma ed Il Cairo sul dossier libico.

A riprova di quanto stesse a cuore il caso Regeni agli angloamericani, l'8 febbraio Barack Obama, incontrando a Washington il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, assicurava piena "collaborazione" per la ricerca della verità (sinistro presagio dei successivi sviluppi); in contemporanea negli ambienti accademici anglossassoni diventava "virale" la lettera "Egypt must look into all reports of torture, not just the death of Giulio Regeni"[204] che, cogliendo al balzo la morte del giovane ricercatore,  sferrava un violento attacco contro l'Egitto di Al-Sisi, reo di centinaia di casi di"sparizioni, torture e morti in cella" ogni anno. Era un documento dal forte contenuto politico, che bene si inquadrava nella diffusa tendenza dei più blasonati atenei angloamericani a mischiare ricerca scientifica e politica estera: emergeva infatti poco dopo che la referente a Cambridge di Giulio Regeni, Anne Alexander, fosse una convinta oppositrice del presidente egiziano Al-Sisi, come testimoniato dalle riprese del comizio dove la docente etichettava, davanti alle bandiere sventolanti della Fratellanza Mussulmana, l'ex-feldmaresciallo come "assassino".[205]

L'affaire Regeni passava allo stadio successivo: si acquisivano nuove informazioni sul giovane ricercatore e la cornice politica-mediatica di accompagnamento corroborava le prime supposizioni che dietro l'omicidio si nascondesse la mano angloamericana. Il quotidiano La Stampa scopriva che la vicinanza di Regeni ai servizi atlantici fosse stata più sostanziale di quanto apparso in principio, figurando nel suo curriculum una trascorsa collaborazione con la società Oxford Analytica. Nel frattempo, l'ong Amnesty International, coadiuvata da uno stuolo di politici ed intellettuali uniti dalla passata militanza in Lotta Continua, si faceva carico di tenere il caso sotto i riflettori con la campagna "Verità per Giulio Regeni". Notavamo come Amnesty International fosse una semplice filiazione del Dipartimento di Stato Americano e come gli ex-LC fossero nati come "cavallo di Troia" angloamericano insinuato nella sinistra italiana: le richieste di ritirare l'ambasciatore al Cairo e sospendere le attività dell'ENI in Egitto rispondevano perciò ad una precisa agenda, quella angloamericana, e portavano ulteriore acqua al mulino dell'operazione clandestina condotta da Londra e Washington "immolando" una pedina (Giulio Regeni) scelta unicamente per il suo passaporto italiano.

All'operazione, un vero colpo al cuore alla politica mediterranea dell'Italia ed agli interessi nazionali in Egitto, si prestava (come già accaduto durante il suicida intervento militare in Libia del 2011), tutta quella schiera di politici che, per debiti da saldare od ambizioni da inseguire, deve omaggiare i poteri atlantici. Spiccavano tra i tanti l'aspirante presidente della Repubblica Pier Ferdinando Casini, ora presidente della commissione Esteri al Senato ("senza delle risposte vere, richiamare l'ambasciatore"),[206] l'onorevole Francesco Boccia, già ricercatore alla London School of Economics, ("per rispetto alla famiglia Regeni l'unica cosa che l'Egitto può fare è ammettere l'errore e chiedere scusa")[207] ed il segretario del Copasir Felice Casson, che per conto degli USA gestì lo scoppio della "bolla" Gladio ("l'Italia non può accettare di farsi mettere in piedi in testa con un atteggiamento inaccettabile").[208]

A questo punto, sfortunatamente per Londra e Washington, si poneva un problema.

Un po' per via del fatto che in Italia non si è ancora del tutto ebeti e si è perfettamente a conoscenza di chi si nasconda dietro l'omicidio Regeni (vedi la lettera di Luigi Bisignani al Tempo: "il ricercatore Giulio Regeni non era una spia e non si occupava di petrolio ma è stato torturato e ucciso come segnale per colpire Matteo Renzi e l'Eni, considerati troppo attivi nel nuovo corso egiziano. Il presidente Al Sisi rappresenta ormai per l'Italia di Renzi quello che l'ultimo Gheddafi era per Berlusconi: uno strategico interlocutore politico e una grande opportunità per le nostre aziende. (…) A Thames House, sede operativa del MI6, l'intelligence inglese segue con molta accuratezza il caso Regeni, forse perché «attenzionato» a sua insaputa").[209] un po' perché l'agenda atlantica dei mesi vicini ad aprile del 2016 è fitta (vedi l'attentato del 22 marzo di Bruxelles), diventa difficile mantenere il caso Regeni al centro dei riflettori, così da svilupparne tutto il potenziale: si è visto con la morte di Fausto Piano e Salvatore Failla, i due dipendenti della Bonatti uccisi in Libia in circostanze non ancora chiarite, che casi analoghi, se non debitamente alimentati, scompaiono dai radar nel volgere di una settimana.

Si passa così al terzo stadio dell'affaire Regeni, quello in svolgimento: più la partita si allunga però, più emergono le forzature e più diventa facile cogliere i veri interessi e le vere responsabilità dietro l'omicidio del giovane ricercatore. L'assassino torna più volte sul luogo del delitto, indugia maniacalmente sul luogo dove ha consumato il crimine ed esponendosi in prima persona con gli investigatori per indirizzare le indagini in un certo senso, finisce col tradirsi. Così capita ad Amnesty International ed alla Repubblica di Carlo De Benedetti.

Il 29 marzo, ospite di casa Luigi Manconi (già responsabile del servizio d'ordine di Lotta Continua e intimo dei poteri atlantici che si nascondevano dietro la sinistra extra-parlamentare) si tiene nella Sala Nassiryia del Senato la conferenza stampa cui intervengono i genitori di Giulio Regeni ed il portavoce di Amnesty International Italia, Riccardo Noury.

L'avvenimento cade a distanza di cinque giorni dall'eliminazione da parte delle forze di sicurezza egiziane della presunta banda di sequestratori responsabili della morte di Regeni: in un appartamento collegato ai presunti rapitori sono rinvenuti i documenti del ricercatore. La stessa dinamica (ritrovamento di una carta d'identità e morte violenta dei presunti responsabili) che i media si bevono per l'attentato a Charlie Hebdo del 7 gennaio, diventa, se avanzata dal Cairo, una "messa in scena", "una grande bugia", "un balletto", "un depistaggio": i genitori di Regeni (manipolati da qualcuno?) non ci stanno. Esula dalla nostra analisi stabilire in che misura la famiglia del ricercatore sia stata inconsapevolmente strumentalizzata ed in che misura condivida le finalità della campagna in atto (senza afferrare che, attaccando Al-Sisi, fiancheggia in ultima analisi gli aguzzini del figlio): ci è sufficiente dire che se gli intenti dei genitori di Regeni differissero da quelli angloamericani, difficilmente riceverebbero un simile spazio mediatico.

Scopo della conferenza del 29 marzo è "chiedere al governo italiano una "risposta forte" alle purtroppo prevedibili nuove manovre diversive degli egiziani":[210] per qualche misterioso motivo, infatti, i responsabili del "martirio" di Regeni non possono essere né criminali né poliziotti dai ranghi. Ci deve essere necessariamente lo zampino del "regime di Al-Sisi", cui è accostato evocativamente l'aggettivo "nazifascista". Se da parte del governo italiano non giungesse l'agognata "risposta forte" all'Egitto (e qui sorge il dubbio che i famigliari di Regeni siano più interessati alla politica che alla ricerca della verità) i genitori si riservano di mostrare al pubblico la foto del corpo martoriato del figlio. Interviene a quel punto il senatori Luigi Manconi che, dopo aver già chiesto la sospensione dei contratti dell'ENI, torna alla carica invocando il richiamo dell'ambasciatore e l'inserimento dell'Egitto nella lista dei "Paesi non sicuri" stilata dalla Farnesina, così da azzerare i flussi turistici.[211]

La palla ora è in campo e spetta alla Repubblica farla girare: il giorno successivo appare sul giornale di Carlo De Benedetti l'articolo "Caso Regeni, l'Italia pensa a sanzioni e black list verso l'Egitto"[212] che, falsificando clamorosamente il contenuto della conferenza stampa del giorno prima ed agganciandosi all'appello lanciato ai primi di marzo da Amnesty International ("d'accordo con la famiglia di Giulio"), batte nuovamente sul tema delle attività dell'ENI in Egitto e sulla necessità di bloccarle. Si legge nell'articolo:

"Cinque miliardi di investimenti, dal maxi giacimento di gas di Zohr al business sull'edilizia e l'energia attorno a Suez. Tanto vale la partita diplomatica che si muove attorno all'omicidio di Giulio Regeni. Una storia che riguarda l'Italia, secondo partner europeo del Cairo dopo la Germania, ma evidentemente tutta la comunità internazionale che, come dimostrano anche le campagne che i giornali americani hanno lanciato in questi giorni sul caso Regeni, ha acceso le luci sul governo di Al Sisi e sui suoi metodi, così come denunciato dalle Ong internazionali. (…) Ma la famiglia Regeni chiede anche la sospensione degli accordi già in essere, a partire proprio dall'affare dell'Eni che, già ai primi di febbraio, si era mossa per chiedere al governo del Cairo risposte credibili e in tempi brevi. L'invito, evidentemente, è stato disatteso (…)".

L'articolo, firmato da Giuliano Foschini (lo stesso che ha firmato, qualche settimana prima, il pezzo sull'"appello di Amnesty e della famiglia del ricercatore ucciso al Cairo al colosso del petrolio")[213] è un vero e proprio bluff: minaccia nel titolo fantomatiche "sanzioni all'Egitto" ricamando sulle esternazioni di Luigi Manconi e rispolvera arbitrariamente la sospensione dei contratti dell'ENI fingendo che i genitori di Regeni ne abbiano parlato nella conferenza stampa. La pulsione a tirare in ballo l'ENI nell'affaire Regeni è talmente forte che alla Repubblica non si esita a falsificare la realtà, tradendo i veri interessi dietro l'omicidio del giovane ricercatore.

Il meglio di sé, però, il giornale di Carlo De Benedetti deve ancora darlo.

Chi avesse aperto il sito di la Repubblica il 6 aprile, sarebbe incappato in una vera e propria "perla": un pugno allo stomaco alla deontologia della professione giornalistica, certo, ma allo stesso tempo un perfetto esempio di disinformazione ascrivibile alla guerra psicologica. Entra infatti in scena "l'Anonimo egiziano" (con la "a" rigorosamente capitale per conferirgli autorevolezza) e lo fa attraverso l'articolo, firmato questa volta da Carlo Bonini, intitolato "Ecco chi ha ucciso Giulio: l'accusa anonima ai vertici con tre dettagli segreti".

Secondo la ricostruzione, una violentissima accusa all'establishment egiziano, il disgraziato Giulio Regeni è rapito dietro ordine del capo della Polizia criminale e del Dipartimento investigativo di Giza, Khaled Shalabi; nella caserma locale è pestato da chi "vuole conoscere la rete dei suoi contatti con i leader dei lavoratori egiziani e quali iniziative stessero preparando"; quindi "per ordine del Ministero dell'Interno Magdy Abdel Ghaffar, Regeni viene trasferito in una sede della Sicurezza Nazionale a Nasr City" e "viene avvertito il capo della Sicurezza Nazionale, Mohamed Sharawy, che chiede e ottiene direttive dal ministro dell'Interno su come sciogliergli la lingua"; "tre giorni di torture non vincono la resistenza di Giulio. Ed è allora che il ministro dell'Interno decide di investire della questione il consigliere del Presidente, il generale Ahmad Jamal ad-Din, che, informato Al Sisi, dispone l'ordine di trasferimento dello studente in una sede dei Servizi segreti militari, anche questa a Nasr city, perché venga interrogato da loro. È una decisione che segna la sorte di Giulio".

Gran finale col botto:[214]

"La decisione viene presa in una riunione tra Al Sisi, il ministro dell'Interno, i capi dei due Servizi segreti, il capo di gabinetto della Presidenza e la consigliera per la sicurezza nazionale Fayza Abu al Naja ", nelle stesse ore in cui il ministro Guidi arriva al Cairo chiedendo conto della scomparsa di Regeni. "Nella riunione venne deciso di far apparire la questione come un reato a scopo di rapina a sfondo omosessuale e di gettare il corpo sul ciglio di una strada denudandone la parte inferiore. Il corpo fu quindi trasferito di notte dall'ospedale militare di Kobri a bordo di un'ambulanza scortata dai Servizi segreti e lasciato lungo la strada Cairo-Alessandria".

Ora, qualsiasi giornalista che rispetti la deontologia della professione, ed ancora di più se lavora per una testata "blasonata", prima di pubblicare un simile articolo (messo per di più in primo piano) avrebbe attivato qualsiasi canale per appurare l'attendibilità della fonte e, nel dubbio, non avrebbe pubblicato: si accusano infatti i vertici di un Paese alleato di essere responsabili di un omicidio, con il rischio (ma nel caso di Repubblica è l'intento) di scatenare una tempesta diplomatica. Carlo Bonini, invece, scrive l'articolo basandosi sulle rivelazioni dell'Anonimo che "scrive a Repubblica da qualche giorno da un account mail Yahoo, alternando, nei testi, l'inglese, qualche parola di italiano, e la sua lingua, l'arabo. Si dice della polizia segreta egiziana. Lascia intendere di essere collettore e veicolo di informazioni di chi non può esporsi in prima persona, se non a rischio della vita".

Il giornale di Carlo De Benedetti getta quindi fango a piene mani sul governo egiziano, dall'alto delle confessioni di un anonimo che, usando un account di posta privata, afferma di essere un agente segreto e "collettore" di spiate di terzi, a loro volta senza nome. Bé si dirà: se Carlo Bonini si presta all'operazione, avrà qualche solido motivo, ed infatti:

"L'Anonimo svela almeno tre dettagli delle torture inflitte a Giulio Regeni mai resi pubblici e conosciuti solo dagli inquirenti italiani, perché corroborati dall'autopsia effettuata sul cadavere di Giulio nell'Istituto di medicina legale di Roma".

Se i tre dettagli non sono mai stati resi pubblici, come fa Carlo Bonini, che inquirente non è, ad esserne a conoscenza? Si direbbe che la cerchia delle persone a conoscenza dei tre particolari non è poi tanto ristretta; nulla vieta poi che "l'Anonimo" sia a conoscenza dei macabri particolari perché presente al momento dell'omicidio. Si scivola, insomma, nel ridicolo, tanto che la testata gemella di Repubblica, l'Huffington Post, è costretta a distanza di poche ore dalla pubblicazione ad abiurare il pezzo:[215]

"Gli inquirenti italiani, tuttavia, fanno sapere di "non prendere in considerazione la mail anonima". "Si tratta di un anonimo, uno dei tanti casi, come questo, di forte risonanza mediatica. Non ha nessuna rilevanza giudiziaria", è il commento di fonti giudiziarie sulla ricostruzione pubblicata su Repubblica."

La spericolata mossa di Repubblica, giocata poche ore prima dell'arrivo a Roma della delegazione degli inquirenti egiziani per conferire gli sviluppi del caso Regeni, ha il chiaro obbiettivo di scavare un solco incolmabile tra i due Paesi. Ma è sempre e solo il giacimento metanifero Zohr nel mirino? No, perché come abbiamo ripetutamente sottolineato, agli angloamericani preme anche affossare la cooperazione tra Italia ed Egitto sul dossier libico.

All'orizzonte si staglia la Libia…

Man mano che si acquisiscono nuovi elementi, le nostre prime previsioni sulla nascita di un governo d'unità nazionale libico, elaborate pochi giorni dopo l'accordo del 17 dicembre, trovano conferma: Washington e Londra non hanno mai pianificato di riappacificare la Libia e preservarne l'unità ma, piuttosto, attuando quei piani apparsi sulla stampa anglosassone sin dal 2013, puntano alla sua balcanizzazione e suddivisione in tre (Tripolitania, Cirenaica e Fezzan) o più entità (contando anche le città-Stato come Misurata e Derna). Il premier designato Faiez Al-Serraj si incastra in questa strategia: scelto formalmente per riconciliare il Paese e sanare la frattura tra il governo islamista di Tripoli (sostenuto da angloamericani, turchi e qatarioti) e quello nazionalista-laico di Tobruk (l'unico riconosciuto a livello internazionale ed appoggiato da Egitto e Russia), Al-Serraj mostra giorno dopo giorno di essere in grado, al massimo, di ritagliarsi un feudo in Tripolitania, puntellato dalla NATO.

Dopo diversi tentativi di atterrare a Tripoli, puntualmente respinti dalle milizie locali, Faiez Al-Serraj sbarca via mare a Tripoli il 30 marzo, adibendo la base navale a "quartier generale" del governo in attesa di guadagnare la città. Tripoli, si ricordi, è dominata dagli islamisti di Alba della Libia (una variante locale della Fratellanza Mussulmana) che non si liquefano di certo all'arrivo dell'inerme Al-Serraj: le teste calde si trasferiscono a Misurata, gli intransigenti diffidano chiunque dall'intrattenere rapporti con il nuovo governo "illegittimo" e la minoranza più malleabile, ammansita da qualche promessa di facile guadagno, converge verso Al-Serraj.[216]

Seppur appoggiato dagli unici organismi superstiti della vecchia Libia, la banca centrale e l'ente petrolifero nazionale [217] (entrambi strettamente connessi alla finanza anglosassone), il premier designato si trova così in una posizione fragilissima: è ormai chiaro che i celebri 5.000 soldati italiani da inviare a Tripoli, sarebbero incaricati di puntellare il suo modesto potentato, sancendo così la fine dell'integrità del Paese.

Prima che l'Italia si imbarcasse, dietro pressione angloamericana, nell'avventura del governo d'unità nazionale, le nostre fortune erano però riposte nel generale Khalifa Haftar e nel governo laico di Tobruk, a sua volta sponsorizzato dal presidente egiziano Abd Al-Sisi: "Renzi in Egitto, patto con Al Sisi sulla Libia: fermiamo l'Isis prima che dilaghi" titolava la Stampa il 13 marzo 2015.[218]

In questi giorni Haftar, completata la riconquista di Bengasi, ha spostato i combattimenti a Sirte,[219] attuale roccaforte dell'ISIS, dando nuova linfa alle supposizioni di chi lo vorrebbe pronto ad avanzare sino a Tripoli ed a riconquistare la capitale, in accordo con le principali tribù del Paese. Haftar così, lungi dall'essere il "principale ostacolo" al governo d'unità nazionale di Faiez Al-Serraj, privo di qualsiasi forza militare e prestigio politico, si imporrebbe come il solo uomo capace di garantire l'integrità e la laicità della Libia, con la benedizione egiziana.

Rientra ancora una volta in campo l'omicidio di Giulio Regeni: sabotare il patto tra Roma ed Il Cairo sulla Libia fa comodo a quelle potenze che premono per la balcanizzazione della ex-colonia italiana e vedono nell'evanescente esecutivo di Faiez Al-Serraj il primo passo verso la sua spartizione.

Omicidio Regeni, tre mesi dopo: il conto (salato) pagato in Libia

Il barometro dell'eurocrisi segna tempesta, alimentando i dubbi sulle capacità di sopravvivenza dell'Unione Europea: consumatasi l'implosione, il baricentro geopolitico dell'Italia scenderebbe nuovamente verso il Mediterraneo. Ecco perché il comportamento del governo Renzi suscita sgomento ed allarme: dal caso Regeni al dossier libico, l'esecutivo è incapace di attuare un'agenda a difesa degli interessi nazionali nell'area, dimostrandosi completamente prono alla volontà delle cancellerie straniere che, nell'attuale contesto internazionale, curano solo il proprio tornaconto. Nella partita senza esclusione di colpi per il futuro della Libia, aver abbandonato l'asse Haftar-Al-Sisi, rischia di costarci molto caro, lasciando carta bianca a Parigi: pensieri che non angustiano di certo l'ex-ambasciatore italiano al Cairo, promosso a Bruxelles dopo il caso Regeni.

Promozione per l'ambasciatore a Il Cairo che gestì l'affare Regeni...

Segna bassa pressione il barometro dell'eurocrisi e le notizie che si susseguono in queste settimane confermano la formazione di minacciosi cumulonembi sopra l'Europa, forieri di tempesta: spinte deflazionistiche in aumento, produzione industriale in calo, referendum sul Brexit in avvicinamento, Francia in ebollizione per le riforme del mercato del lavoro, etc. etc. Abituati ad un approccio "economicistico" all'Unione Europea, si è a lungo trascurata la sua natura geopolitica, ossia quella di "gabbia atlantica" del Vecchio Continente, corrispettivo economico/politico della NATO. Quali sarebbero le conseguenze geopolitiche di una sua dissoluzione, in particolar modo per l'Italia? Bé, lo sciogliersi dei legacci che l'hanno finora vincolata a Bruxelles, implicherebbe una discesa del baricentro del Paese, sinora artificialmente collocato tra Germania, Francia e Regno Unito, verso il Mediterraneo. Si tratterebbe, a dire il vero, di un ritorno, perché il Mediterraneo, il Medio Oriente ed i Balcani, compreso il bacino del Danubio, sono le aree dove l'Italia proietta storicamente la sua influenza economica e politica.

Se i governi italiani si dimenticano spesso delle potenzialità offerte dalla posizione strategica della penisola (quando non fa di peggio, come dimostra il sostegno allo smantellamento della Jugoslavia ed all'intervento militare in Libia del 2011), perlomeno le poche grandi imprese sopravvissute tengono alta la bandiera: tipico, a questo proposito, è la scoperta dell'ENI dell‘enorme giacimento metanifero al largo delle coste egiziane, annunciata nell'estate 2015. Una condotta assennata consiglierebbe a qualsiasi esecutivo di non ostacolare l'attività di supplenza svolta dalle aziende italiane in politica estera, tanto più se svolta in un'area, il Mediterraneo, decisiva per il futuro dell'Italia. Incredibilmente, i governi italiani, sia per l'intrinseca debolezza sia per i criteri con cui sono scelte le più alte cariche dello Stato, adottano invece comportamenti masochistici, sabotando persino le conquiste strappate con il duro lavoro delle aziende: ci riferiamo, ovviamente, al caso Regeni ed al dramma seguente.

Sull'argomento abbiamo scritto a più riprese: prima evidenziando come il rapimento e l'uccisione del giovane ricercatore italiano presentassero tutte le caratteristiche dell'operazione clandestina, poi indagando su quali interessi si nascondessero dietro Amnesty International e gli ex-Lotta Continua fautori della linea dura contro l'Egitto, infine soffermandoci sugli eccessi di certa stampa blasonata che, pur di infangare il presidente Al-Sisi, ha rasentato il ridicolo. Era talmente martellante il battage per congelare (se non tagliare tout court, come invocava il gruppo editoriale di Carlo De Benedetti) i rapporti con l'Egitto, e talmente forte la pressione esercitata da quelle stesse cancellerie (Washington e Londra in primis) responsabili della morte di Regeni, che il governo italiano ha, alla fine, capitolato. L'8 aprile, dopo "l'inconcludente" vertice a Roma tra gli inquirenti italiani e gli omologhi egiziani, l'esecutivo ha richiamato l'ambasciatore al Cairo per consultazioni, sigillando la rottura diplomatica tra i due Paesi. Il premier Matteo Renzi, non pago, si è esibito anche nell'immancabile "cinguettio", sulla scia della campagna di Amnesty International.

Grande soddisfazione, ovviamente, nelle cancellerie atlantiche ed europee: si sminuisce così il recente successo dell'ENI che aveva rilanciato in grande stile il ruolo dell'Italia nel Mediterraneo orientale, si consente ai rivali commerciali di appropriarsi di una fetta dell'interscambio italo-egiziano (perché il caso Regeni non impedisce né al presidente François Hollande,[220] né al vice-cancelliere tedesco Sigmar Gabriel [221] di recarsi in pellegrinaggio al Cairo per siglare succulenti affari) e, dulcis in fundo, si compromette la collaborazione tra i due Paesi sullo scottante ed attualissimo dossier libico.

Trascorre qualche settimana ed il ministro Federica Guidi (che il 3 febbraio guidava la delegazione di imprenditori al Cairo, subito cancellata alla notizia del ritrovamento del cadavere di Regeni) è costretta alle dimissioni sull'onda dello scandalo Tempa Rossa; il 9 maggio è annunciato il suo sostituto: Carlo Calenda che, nella veste di ambasciatore dell'Italia presso l'Unione Europea, è stato per nemmeno due mesi (marzo-maggio) l'uomo "fidato" di Matteo Renzi a Bruxelles negli attuali, difficili, frangenti. Adesso, quindi, è vacante una prestigiosa poltrona europea, occupata sino a quel momento da un "renziano doc" come Calenda: a chi assegnarla?

Ennesimo capitolo del dramma Regeni: come massimo rappresentante presso la UE è chiamato nientemeno che l'ambasciatore al Cairo, ora richiamato in Italia "per consultazioni", Maurizio Massari, a sua volta sostituito da Giampaolo Cantini. Si noti che l'avvicendamento tra Massari e Cantini non è seguito dal reinsediamento in Egitto dell'ambasciatore ("non è ancora stato deciso quando Cantini potrà prendere possesso dell'ambasciata al Cairo: la crisi con il regime di al-Sisi al momento rimane aperta" scrive il Corriere).[222]

Sorge spontaneo l'interrogativo, la promozione di Maurizio Massari, che in Egitto ha seguito lo scoppio ed il precipitare dell'affaire Regeni, è fortuita, oppure Massari è stato ricompensato con la poltrona di ambasciatore presso la UE per i suoi "servigi"? E, nel caso in cui la seconda ipotesi fosse quella giusta, chi ha caldeggiato presso Renzi la nomina a Bruxelles?

Cominciamo dal curriculum vitae [223] di Maurizio Massari, una feluca di provata fede atlantica (come, peraltro, tutto il nostro costosissimo e raccomandatissimo corpo diplomatico). Laurea in scienze politiche a Napoli, specializzazione alla John's Hopkins University di Washington, assegnato all'ambasciata di Mosca come responsabile per la stampa tra il 1986 ed il 1990, Massari trasloca a Londra (1991-1994) dopo la fine della Guerra Fredda, occupandosi di "settore economico-commerciale e politiche europee"; quindi si trasferisce a Washington (1998-2001) come "consigliere politico durante il secondo mandato dell'amministrazione Clinton".

È grande la sensazione che Massari sia riconducibile agli ambienti liberal che occupano la Casa Bianca con Bill Clinton, per poi reinsediarsi nel 2009 con Barack Obama presidente ed Hillary Clinton Segretario di Stato: senza dubbio tra Massari e l'amministrazione Obama c'è sintonia di vedute sul Medio Oriente, come dimostra il fatto che, a distanza di un anno dalla destabilizzazione angloamericana del Nord Africa e del Levante, nota come Primavera Araba, "l'ex-consigliere politico a Washington" contribuisce al libro [224] intitolato "Le rivoluzioni della dignità. 18 mesi di proteste, di repressione e di rivoluzioni che hanno cambiato il mondo arabo", dove si saluta con favore la caduta dei regimi laici ed il risveglio dell'islam politico, Fratellanza Mussulmana in testa.[225] Pochi mesi dopo la pubblicazione del volume e, nel gennaio 2013, Maurizio Massari è nominato ambasciatore al Cairo: non ha nemmeno il tempo di disfare i bagagli, che il feldmaresciallo Abd Al-Sisi rovescia con un colpo di Stato (luglio 2013), il disastroso governo della Fratellanza Mussulmana, tanto cara a Londra e Washington.

Da allora, gli angloamericani si prodigano senza sosta per rovesciare il presidente Al-Sisi: la penisola del Sinai è trasformata in un avamposto del terrorismo islamico, si moltiplicano gli assalti islamisti all'esercito ed alla polizia e la strategica industria turistica è portata al collasso.

Se l'Italia ha ovviamente tutto l'interesse che il governo di Al-Sisi si consolidi, consentendo il ritorno alla normalità di un Paese dove gli investimenti tricolori abbondano (da Intesa SanPaolo all'ENI), c'è il sospetto che qualche pezzo dell'apparato diplomatico remi contro, prestandosi magari all'operazione ai danni di Giulio Regeni, maturata nell'autunno 2015 dopo il suo arrivo al Cairo.

Scrive il Corriere della Sera l'11 febbraio, ricostruendo la scomparsa del giovane ricercatore friulano:[226]

La tempistica è documentata. Gennaro Gervasio, l'amico che aveva un appuntamento con Giulio, al quale il ricercatore non è mai arrivato, perde le sue tracce intorno alle 20.30 del 25. Tre ore dopo, alle 23.30 chiama sul telefonino l'ambasciatore Massari, che conosce, e lancia l'allarme, fornendo dati e numero di telefono di Giulio. Pochi minuti dopo la segnalazione, l'ambasciata avverte i responsabili dei nostri servizi sul posto. E li sollecita nuovamente la mattina successiva. I canali dell'intelligence fanno sapere di aver compiuto verifiche. E di aver ricevuto comunicazione dalle controparti che non hanno trovato notizie di Giulio. Alle 15 del 26 gennaio, quando mancano ancora 9 ore al tempo richiesto dalla legge per poter denunciare una scomparsa, l'ambasciata manda una nota ufficiale al ministero degli Esteri egiziano (e in copia a quello dell'Interno e all'intelligence) chiedendo ogni investigazione necessaria a rintracciarlo. Intorno a mezzanotte un funzionario dell'ambasciata, assieme a Gennaro Gervasio, sporge formale denuncia al commissariato di Dokki.

Il 25 gennaio, data oculatamente scelta perché anniversario della rivoluzione di Piazza Tahir ed utile ad avvalorare la pista dell'omicidio politico, Gennaro Gervasio invita Giulio Regeni ad un appuntamento cui il giovane friulano non si presenterà mai.

Gervasio non è "un amico" qualsiasi di Regeni, bensì è docente alla British University del Cairo [227] e suo "tutor",[228] ossia il suo supporto nell'attività didattica: ricordiamo che Regeni, ex-collaboratore della Oxford Analytica, studia infatti alla Cambridge University, sotto l'ala protettrice di professori piuttosto politicizzati, come Anne Alexander, immortalata mentre inveisce contro il presidente Abd Al-Sisi, davanti alle bandiere sventolanti della Fratellanza Mussulmana.[229]

Dopo tre squilli a vuoto tra le 20.18 e le 20.25 [230] il telefono di Regeni diventa muto e Gennaro Gervasio, considerata la "situazione tesa" in città, attende appena tre ore prima di avvertire l'ambasciatore Maurizio Massari, di cui, ovviamente, ha il numero di telefono (ore 23.30). Lascia basiti la reazione di Massari: un giovane italiano è telefonicamente irraggiungibile da poco tempo e, sebbene sia quasi notte, l'ambasciatore avverte immediatamente i servizi segreti italiani sul posto, per poi incalzarli la mattina successiva. Non pago, quando mancano ancora nove ore per poter denunciare la scomparsa di Regeni, Massari invia una nota ufficiale al Ministero degli Esteri egiziano, premurandosi di inviarne una copia anche al nostro Ministero degli Interni ed ai servizi segreti a Roma.

Complimenti, Massari, per lo zelo!

Sorge però spontaneo il dubbio se l'ambasciatore avrebbe agito allo stesso modo anche con un semplice turista, oppure se fosse in qualche modo al corrente, come Gennaro Gervasio, di quanto stesse realmente accadendo a Regeni: il suo zelo, in questo caso, sarebbe finalizzato a gonfiare da subito il caso del giovane ricercatore, primo passo dell'iter che culminerà con la rottura diplomatica. Sicuramente Maurizio Massari non risparmia energie per fare precipitare la situazione: quando il corpo del giovane ricercatore è rinvenuto il 3 febbraio, in coincidenza con la visita al Cairo del ministro Federica Guidi e di una nutrita delegazione economica, è ancora lui che si prodiga per sospendere la missione, come da lui stesso affermato: [231]

"Avevamo appena iniziato il ricevimento per 250 businessman italiani e egiziani all'ambasciata quando verso le 20.15, un alto funzionario del ministero degli Esteri mi ha dato informalmente la notizia del ritrovamento del corpo di Giulio . Allora abbiamo deciso di sospendere tutto, il ricevimento e la visita del ministro Guidi, per rispetto nei confronti di Giulio e della sua famiglia"

Trascorreranno ancora due mesi e, dietro pressioni angloamericane, si arriverà l'8 aprile al richiamo "per consultazioni" di Maurizio Massari, sancendo la definitiva rottura tra Italia ed Egitto, tanto auspicata da Washinton, Londra &Co. Ne trascorrerà ancora un altro e Maurizio Massari (su pressione degli stessi centri d'interesse?) sarà promosso il 10 maggio ad ambasciatore italiano presso la UE.

È Maurizio Massari, addetto agli affari economici a Londra tra il 1991 ed il 1994, consigliere politico a Washington durante il secondo mandato di Bill Clinton, contributore del libro sulla Primavera Araba "Le rivoluzioni della dignità", in qualche modo coinvolto nell'operazione clandestina che ha portato al rapimento ed all'uccisione di Giulio Regeni? È la sua nomina ad ambasciatore presso la UE al posto di Carlo Calenda, una ricompensa per i suoi "servigi"?

Diceva il divo Giulio, che di macchinazioni e machiavellismi se ne intendeva assai: "a pensar male degli altri si fa peccato, ma spesso ci si indovina".

L'Italia molla Al-Sisi ed Haftar, la Francia gode

Abbiamo sottolineato come uno dei molteplici obbiettivi prefissati dagli angloamericani nel "sacrificare" Giulio Regeni sull'altare della realpolitik più cruda, fosse quello di sabotare la collaborazione italo-egiziana in Libia, così da facilitare il processo di balcanizzazione del Paese, recentemente culminato con la nascita del "governo d'unità nazionale" installato a Tripoli e patrocinato dagli USA , contrapposto al governo "legittimo e riconosciuto a livello internazionale" (almeno questa era la definizione sino a pochi mesi fa) di Tobruk.

Ripercorriamo velocemente i fatti e vediamo come si incastra l'omicidio Regeni in questa strategia.

Nell'estate 2014 le forze islamiste di Alba della Libia, una variante locale della Fratellanza Mussulmana, occupano con un colpo di mano il Parlamento: sono spalleggiate dai soliti Qatar e Turchia, gli stessi attori regionali con cui Londra e Washington hanno messo a ferro e fuoco anche la Siria, e non c'è alcun dubbio che l'instaurarsi di un regime islamista in Tripolitania abbia il placet atlantico. La sostanziale accondiscendenza verso Alba della Libia è testimoniata dal fatto che il governo "legittimo", quello nazionalista-laico presieduto da Abdullah al-Thani e rifugiatosi a Tobruk, non riceve alcun aiuto nel ristabilire il controllo sul Paese: quando il generale Khalifa Haftar lancia l'operazione Dignità per "liberare" il Paese dagli islamisti, Washington si guarda bene dal sostenerlo militarmente, ignorando le insistenti richieste di revocare l'embargo sulle armi (inducendo così Al-Thani ed Haftar a riallacciare i rapporti con Mosca).

In questa fase il governo di Tobruk ed il generale Haftar, sponsorizzato dall'Egitto di Abd Al-Sisi e dagli Emirati Arabi Uniti, possono ancora contare sull'appoggio di Francia e Italia, che forniscono il loro supporto a livello di servizi segreti. C'è quindi il rischio che il governo nazionalista-laico riesca, presto o tardi, a riconquistare la Tripolitania, vanificando gli sforzi angloamericani tesi alla spartizione del Paese in due o tre entità. Che fare? Nel gennaio 2015 si materializza l'ISIS che, con grande avvedutezza strategica, prende d'assalto i campi petroliferi, mettendo in ginocchio l'economia del Paese.

Parte quindi la manovra mediatico-diplomatica con cui gli angloamericani provano a spingere l'Italia verso l'intervento militare in Libia: si tratta ovviamente di una trappola, mirata a ripetere l'esperienza della Somalia, dove la missione internazionale, anziché sedare la guerra civile, alimenta le spinte centrifughe, favorisce la radicalizzazione e getta benzina sul fuoco del terrorismo. In questa fase Matteo Renzi, ancora relativamente forte sul piano interno, fiuta la trappola, rigetta l'opzione militare e stringe ulteriormente l'alleanza con l'Egitto per risolvere il rebus libico: è il momento di massima sintonia tra Roma ed Il Cairo, culminato con la partecipazione di Renzi al Forum economico di Sharm El Sheik del marzo 2015, durante cui il premier afferma: [232]

"Apprezziamo la leadership di Al Sisi. Questo vale anche per la crisi libica e siriana (…) Sosteniamo la sua visione, la sua lotta alla corruzione e il suo lavoro per la stabilità. L'Egitto può andare avanti in un processo di consolidamento istituzionale. L'Egitto affronta le crescenti minacce del terrorismo, rimanendo attaccati al rispetto della libertà. La stabilità dell'Egitto è la nostra stabilità, non soltanto per questa area del mondo".

Che le crescenti sinergie tra Italia ed Egitto, in campo economico come politico, diano molto fastidio, è testimoniato dall'autobomba che sventra il nostro consolato al Cairo l'11 luglio 2015.

È quindi più impellente che mai sabotare la triangolazione Roma-il Cairo-Tobruk, per impedire che la Libia sia riunificata all'insegna di un regime laico-nazionalista. Ne segue una manovra diplomatica, tanto subdola quanto efficace: al governo "legittimo" di Tobruk è affiancato il governo "d'unità nazionale" di Fayez al-Sarraj, nato al vertice marocchino del 17 dicembre 2015 ed innestato a Tripoli su quello islamista . In questo modo si delegittima il governo laico-nazionalista di Abdullah al-Thani e si riconosce la spaccatura de facto della Libia tra Tripolitania e Cirenaica. Washington esercita tutta la sua influenza su Matteo Renzi e sul Ministro degli Esteri Gentiloni affinché Roma si svincoli quindi dall'alleanza con Al-Sisi ed Haftar e si imbarchi nell'avventura di Fayez al-Sarraj: ad aiutare l'operazione diplomatica interviene, provvidenzialmente, il rapimento e l'uccisione di Giulio Regeni.

Ecco cosa scrive il 24 febbraio Gianluca Di Feo su la Repubblica: [233]

"Ed ecco materializzarsi il "piano B": l'ipotesi che sta rapidamente prendendo piede tra Roma e Washington è quella di abbandonare il parlamento di Tobruk e l'armata del generale Haftar – che stanno soffocando anche il secondo tentativo dell'Onu – per puntare sull'altra compagine, quella di Tripoli. Al momento è una sorta di "ultima minaccia", per cercare di sbloccare le resistenze di Tobruk ma potrebbe trasformarsi in fretta in un'opzione concreta. Con un ribaltamento di fronti: mentre a Tripoli il potere è in mano a formazioni islamiche più o meno moderate, il governo rivale aveva ispirazione laica e supporto occidentale. E con la prospettiva di dividere il paese in tre entità principali, che ricalcano l'antica organizzazione amministrativa ottomana: Tripolitania, Cirenaica e Fezzan. Una soluzione che potrebbe placare anche le potenze regionali, come Egitto, Turchia, Qatar ed Emirati."

Nei primi mesi del 2016 torna così a materializzarsi nuovamente l'ISIS che prende ancora di mira gli impianti petroliferi, portando al collasso l'economia del Paese. Parallelamente si intensifica la pressione angloamericana sull'Italia affinché invii i famosi 5.000 militari a sostegno del governo d'unità nazionale: "All'Italia la guida in Libia. Ci aspettiamo 5 mila uomini"[234] titola l'intervista, pubblicata il 4 marzo sul Corriere della Sera, all'ambasciatore statunitense John Phillips. È la riproposizione della trappola apparecchiata già un anno prima: inviare un contingente di soldati a sostegno dell'evanescente Fayez al-Sarraj, anziché riappacificare e ricomporre la Libia, è sinonimo di propagazione del terrorismo e di definitiva secessione della Cirenaica dalla Libia. Anche in quest'occasione, l'istinto di sopravvivenza di Matteo Renzi gli sconsiglia di avventurarsi in campagne militari, foriere di un possibile colpo di grazia al suo già traballante potere.

C'è un però: come abbiamo detto infatti, a sostenere il generale Khalifa Haftar ed il suo mentore egiziano Abd Al-Sisi, erano inizialmente Italia e Francia. Ebbene Parigi, da sempre molto più attenta e zelante nel curare i suoi interessi in politica estera, si guarda bene dall'abbandonare la rodata e funzionante alleanza con Tobruk ed il Cairo, per imbarcarsi nell'effimero esperimento del "governo d'unità nazionale". I francesi, quindi, rimangono fedeli al generale Haftar e ne sostengono attivamente la lotta contro le milizie islamiste, attraverso i commando che scelgono come base l'aeroporto di Benina.[235] È grazie ai corpi speciali transalpini se Haftar completa ad aprile la riconquista di Bengasi, come è grazie al sostegno di Parigi, unito alla fornitura di oltre 1.000 blindati sovvenzionati dall'Arabia Saudita, se Haftar sta avanzando verso Sirte, sinora roccaforte dell'ISIS. La conquista della città aprirebbe la strada verso Misurata e Tripoli.

Per frenare le ambizioni di Haftar e neutralizzarne gli sforzi di riunificare manu militari la Libia, a Washington non rimane quindi che la soluzione di revocare l'embargo sulle armi a beneficio del governo d'unità nazionale, strada imboccata alla recente conferenza a Vienna organizzata da USA ed Italia, così da consentire non a Fayez Al-Sarraj, privo di qualsiasi forza militare, ma alle milizie islamiste di Tripoli, di difendersi dalla sempre più probabile avanzata di Haftar (la scusa di facciata per la fornitura d'armi è, ovviamente, la lotta all'ISIS).

In questo contesto, la condotta adottata da Matteo Renzi e Paolo Gentiloni non può che creare allarme e sgomento.

Congelati i rapporti diplomatici con l'Egitto dopo l'omicidio Regeni ed abbandonata l'alleanza con Haftar, da un lato l'Italia assiste impotente all'attivismo di Parigi che sta allargando la sua sfera d'influenza man mano che l'esercito nazionale libico avanza verso ovest, dall'altro lato è vincolata al governo d'unità nazionale patrocinato da Washington, le cui uniche possibilità di sopravvivenza sono legate ad un accordo in pianta stabile con le milizie islamiste e la Fratellanza Mussulmana. Troppo tardi, Paolo Gentiloni è tornato sui suoi passi, chiedendo che anche Haftar fosse coinvolto nel processo di riappacificazione nazionale,[236] quando è ormai chiaro che i nodi saranno sciolti sul campo di battaglia.

Il caso Regeni, il seguente congelamento dei rapporti col Cairo e la politica estera del governo Renzi, completamente prona agli interessi atlantici, rischiano così di costare carissimo all'Italia: proprio in un momento in cui la probabilità sempre più alta di un collasso dell'Unione Europea rende il Mediterraneo di nuovo centrale per il futuro del Paese.

Verità per Giulio Regeni. Richiamare l'ambasciatore a Londra? È il minimo

A distanza di quattro mesi dalla morte di Giulio Regeni, la procura di Roma aveva finalmente imboccato il filone inglese delle indagini, concentrandosi sull'attività svolta dal dottorando italiano per conto dell'Università di Cambridge: la rogatoria internazionale si è però infranta contro l'omertà dell'ateneo, che ha classificato le ricerche di Regeni al Cairo come "confidenziali". La pista inglese è molto solida, come testimonia il traffico delle celle telefoniche concomitante alla scomparsa ed al ritrovamento del cadavere di Regeni: sempre più elementi avvalorano l'ipotesi dell'operazione sporca per sabotare i rapporti italo-egiziani. Di fronte all'omertà ed ai tentativi di depistaggio inglesi, urgono azioni drastiche e tempestive: richiamare l'ambasciatore a Londra? È il minimo.

Dagli amici mi guardi Iddio...

La lentezza è una delle principali accuse rinfacciate alla giustizia italiana, insieme a quella di svolgere le indagini con un tempismo spesso sospetto: rallentando o velocizzando un'inchiesta, scegliendo con cura quando inviare avvisi di garanzia e mandati di comparazione, la magistratura è sovente accusata di imprimere un connotato tutto politico al suo lavoro. Anche nelle indagini sull'omicidio di Giulio Regeni, è lecito porsi qualche interrogativo sull'azione degli inquirenti: non vogliamo accusare i pubblici ministeri, sia ben chiaro. Diciamo soltanto che la Procura di Roma, cui è spettato d'ufficio il caso Regeni, potrebbe aver ricevuto pressioni ad agire in un determinato momento, anziché in un altro.

Sono infatti trascorsi già ben quattro mesi dal ritrovamento del corpo di Regeni, più volte gli inquirenti si sono consultati con gli omologhi egiziani e si è consumata una gravissima crisi diplomatica tra Roma ed Il Cairo, a causa di presunti depistaggi e reticenze egiziane. Solo dopo quattro mesi dal ritrovamento del cadavere del giovane dottorando, quando l'ambasciata italiana in Egitto era ormai vacante da 60 giorni, i pubblici ministeri scelsero di seguire la "pista inglese" dell'omicidio Regeni. Secondo la versione ufficiale, la scintilla che avrebbe illuminato i magistrati sarebbe l'analisi del computer del giovane dottorando, su cui è stato trovato materiale sufficiente per avanzare una rogatoria internazionale così da poter "ascoltare"[237] (i media evitano con cura i termini grevi come "interrogare", quando si tratta di potenti) i docenti dell'Università di Cambridge che "coordinavano" le ricerche di Regeni al Cairo.

Eppure, eppure.

Eppure di materiale ce n'era in quantità per imboccare da subito la pista inglese, quella che porta dritto all'operazione sporca dei servizi britannici ed americani, senza dover aspettare l'analisi del computer di Regeni e, soprattutto, la grave crisi diplomatica consumatasi tra Roma ed Il Cairo. Più elementi emergono, più avanzano le indagini, più l'ipotesi dell'operazione clandestina si rafforza, sino alle ultimissime analisi dei tabulati telefonici effettuate dalla polizia egiziana, analisi che potrebbero avvalorare definitivamente la tesi del delitto politico, perpetrato dagli angloamericani per sabotare i rapporti italo-egiziani.

Vediamo quindi perché qualsiasi investigatore, senza ricorrere a paragoni con Sherlock Holmes, quanto mai fuori luogo visto il tenore dell'articolo, avrebbe dovuto gettarsi a capofitto sul filone delle indagini che portano dritto all'università di Cambridge, dove la ricerca vive in simbiosi con i servizi segreti e la sovversione politica.

Il prestigioso ateneo, al centro di intrighi spionistici dai tempi dei "Magnifici Cinque", ha pubblicato una breve biografia [238] del giovane ricercatore, da cui attingiamo le seguenti informazioni: Giulio Regeni, classe 1988, si laurea in "Arabic and Politics" all'università di Leeds, nel 2011 entra all'università di Cambridge per un master in "Development Studies", consegue ottimi risultati negli studi che gli aprono le porte di un'esperienza lavorativa al Cairo, presso le Nazioni Unite. Quindi la biografia di Regeni offerta dall'ateneo, presenta una prima, significativa, differenza rispetto a febbraio: dopo le rivelazioni italiane, anche l'università ammette che il giovane friulano ha lavorato per 12 mesi presso l'Oxford Analyitica, società privata che ruota nella galassia dei servizi segreti angloamericani. L'informazione era stata accuratamente taciuta, perché la sua divulgazione cambia drasticamente il profilo di Regeni e dà un altro connotato alle sue ricerche. Con l'obiettivo di conseguire un dottorato, Regeni torna a Cambridge nel 2014 e, "attratto dal funzionamento dei sindacati in Egitto", decide di trascorrere l'anno accademico 2015-2016 al Cairo, come "visiting scholar" presso l'università americana.

Nel settembre 2015 Giulio Regeni, dottorando presso l'ateneo inglese ma cittadino italiano, sbarca così in Egitto: è lo stesso Egitto su cui Matteo Renzi ha puntato tutto per risolvere la crisi libica, dove l'11 luglio è esplosa un'autobomba davanti al consolato italiano del Cairo con palesi intenti intimidatori e dove l'ENI ha annunciato a fine agosto la scoperta dell'enorme giacimento metanifero di Zohr. È un Egitto, insomma, dove l'Italia è molto attiva, suscitando l'ira di qualche "alleato".

L'università americana del Cairo (da cui è passato anche Giuseppe Acconcia, la firma de Il Manifesto che svelerà come Regeni fosse con un collaboratore del giornale, rigorosamente anonimo perché "aveva paura per la sua incolumità")[239] è, come Cambridge, un'istituzione attiva in settori che esulano dall'attività scientifica e sconfinano nella politica, collocandosi in quella zona grigia tra ricerca, sovversione e rivoluzioni colorate.

L'università americana è accusata di aver tramato nel 2011 per la caduta di Hosni Mubarack e la salita al potere della Fratellanza Mussulmana: accusa non peregrina, considerate le pubbliche esternazioni dei suoi docenti a favore dell'islam politico.[240] C'è una forte affinità di vedute, quindi, tra l'università americana al Cairo ed i docenti inglesi del giovane friulano. Si prenda ad esempio Anne Alexandre, "una delle persone più vicine dal punto di vista accademico a Giulio Regeni all'interno dell'università britannica":[241] in un video è immortalata mentre aizza la folla, tra cui sventolano le bandiere dei Fratelli Mussulmani, contro il presidente Al-Sisi in visita a Londra.[242] Oppure Maha Abdelrahman, la tutor di Regeni: è considerata anch'essa un'aperta oppositrice di Al-Sisi e, come il sullodato Giuseppe Acconcia, collabora con la OpenDemocracy di George Soros,[243] un'organizzazione non tenera nei confronti del "regime egiziano".

Il soggiorno di Regeni al Cairo è finalizzato a continuare gli studi di Maha Abdelrahman sui movimenti d'opposizione in Egitto, ai quali la docente ha già dedicato il libro "Egypt's Long Revolution: Protest Movements and Uprisings".[244] È comunque un dottorato, quello del giovane italiano, piuttosto originale. La definizione che ne danno gli anglosassoni è PAR (Participatory action research) e prevede che la persona che studia un fenomeno sociale, non sia un soggetto passivo bensì attivo, ed interagisca con i movimenti presi in esame: non a caso, Regeni non si limita ad osservare le formazioni all'opposizione, ma entra in contatto diretto con il capo di uno di essi, Mohamed Abdallah, leader del sindacato degli ambulanti, e gli promette un finanziamento di 10.000 sterline attraverso la Fondazione britannica Antipode, impegnata, come la OpenDemocracy, a costruire una "new and better society".[245]

Si ripropone quindi l'interrogativo: Regeni era o non era una spia?

Il suo possibile inquadramento nei servizi segreti inglesi rimarrà per sempre sconosciuto. Quel che è certo, specie dopo la sua esperienza all'Oxford Analytica, è che Regeni era troppo intelligente per non sapere di essere coinvolto in attività riconducibili allo spionaggio ed alla sovversione politica. Mai, comunque, avrebbe immaginato che lo stesso ambiente cui consegnava i suoi rapporti sull'opposizione egiziana decretasse anche la sua morte: perché non c'è alcun dubbio che l'ordine di uccidere Regeni sia partito dall'Inghilterra, non certo dall'Egitto che, anziché innescare una drammatica crisi diplomatica, avrebbe potuto semplicemente espellere il dottorando se ritenuto pericoloso. La tesi della faida dentro le forze di sicurezza egiziane è un banale depistaggio per tenere concentrata l'attenzione sul Cairo, anziché seguire la pista che porta dritto a Londra.

Veniamo così al rapimento ed all'uccisione di Regeni, arricchiti in questi ultimi giorni di nuovi particolari, il traffico delle celle telefoniche in corrispondenza dei luoghi dove l'italiano sparisce e viene ritrovato, particolari che confermano ancora la pista inglese.

Il 25 gennaio è il giorno in cui scatta l'operazione: la data scelta, l'anniversario della rivoluzione di Piazza Tahrir, è tutto fuorché casuale, perché offre l'occasione di sfruttare le manifestazioni ed il massiccio dispiegamento di polizia per rapire indisturbati Regeni ed avvalorare la tesi della repressione contro i dissidenti politici.

Alle 19.40 il giovane friulano contatta Gennaro Gervasio, definito "amico" o "tutor" di Regeni,[246] dicendogli che sarebbe uscito di casa verso le 20, per raggiungere la fermata della metropolitana di Dokki, scendere alla fermata Mohamed Naguib e raggiungere a piedi il ristorante dove hanno appuntamento. Gervasio è docente presso la British University in Cairo e, come gli insegnanti inglesi di Regeni, studioso di movimenti d'opposizione ("Social and Subaltern Movements in the Arab World").[247]

Il dottorando esce di casa e viene rapito, secondo alcune testimonianze anonime,[248] da uomini che indossano divise della polizia. Dall'analisi dei tabulati telefonici forniti dagli inquirenti egiziani, sappiamo oggi che tra le 19.30 e le 20.30, partono da un telefono inglese tre sms verso altrettanti cellulari egiziani, agganciati alle celle telefoniche attraversate da Regeni [249] in quel momento.

Nonostante il Cairo sia una metropoli di sette milioni di abitanti ed il 25 gennaio la situazione sia ancora più congestionata per l'anniversario della rivoluzione di Piazza Tahrir, Gennaro Gervasio, quando alle 20.18 non vede comparire Regeni, si impensierisce e tenta per la prima volta di contattarlo al telefono. Seguono a ruota altre due chiamate (20.23 e 20.25), quindi, il docente della British University lascia passare due ore e, tra le 22.30 e le 23, contatta direttamente l'ambasciatore al Cairo, Maurizio Massari.

Il rappresentante italiano in Egitto ha, stranamente, un profilo molto simile agli altri personaggi comparsi sinora nel racconto: assegnato all'ambasciata a Londra dal 1991 al1994, consigliere politico a Washington sotto il secondo mandato Clinton (1998-2001), curatore di un libro ("Le rivoluzioni della dignità. 18 mesi di proteste, di repressione e di rivoluzioni che hanno cambiato il mondo arabo")[250] dove, ovviamente, si benedice l'avvento della Fratellanza Mussulmana, "la forza politica meglio organizzata in tutto il mondo arabo", Massari sbarca al Cairo nel gennaio 2013, quando il governo egiziano è ancora retto da Mohamed Morsi.

Anche la reazione dell'ambasciatore, come quella di Gervasio, è anomala e del tutto sproporzionata rispetto alle informazioni che avrebbe dovuto avere a disposizione: pochi minuti dopo la telefonata di Gervasio, Massari avverte i responsabili dei nostri servizi segreti sul posto, per poi sollecitarli la mattina successiva. "Alle 15 del 26 gennaio, quando mancano ancora 9 ore al tempo richiesto dalla legge per poter denunciare una scomparsa",[251] l'ambasciatore manda una nota ufficiale al ministero degli Esteri egiziano (e in copia a quello dell'Interno ed ai servizi segreti) sollecitando ogni sforzo necessario per rintracciare Regeni. Non sono trascorse neppure 24 ore dalla scomparsa di Regeni ed il caso, grazie a Massari, è già una questione di Stato.

Ora, chi è l'esecutore del rapimento, delle sevizie e dell'uccisione di Regeni? Nulla vieta che i responsabili materiali dell'omicidio, da tenere ben distinti dai mandanti, siano effettivamente i cinque criminali specializzati in sequestri di stranieri e rimasti uccisi in un conflitto a fuoco con la polizia a fine marzo.[252] La banda agiva d'abitudine con divise della polizia e nella loro abitazione sono stati ritrovati i documenti di Giulio Regeni: si tratterebbe in questo caso di criminalità comune, assoldata in loco dai servizi angloamericani per il lavoro sporco, un copione che in Italia conosciamo molto bene.

Trascorrono nove giorni ed il 3 febbraio il cadavere del dottorando viene ritrovato ai margini della città, su un cavalcavia dell'autostrada Cairo-Alessandria: grazie ai tabulati telefonici forniti dagli inquirenti egiziani, oggi sappiamo che all'1.45 del 3 febbraio, un'altra utenza inglese invia un sms ad un cellulare egiziano, agganciato alla cella telefonica dello stesso quartiere dove a distanza di poche ore è rinvenuto il corpo.[253]

Quello stesso giorno è previsto un incontro tra la delegazione economica guidata dal ministro Federica Guidi e le massime autorità egiziane, prontamente cancellata dallo zelante Maurizio Massari appena viene divulgata la notizia del ritrovamento del corpo ("per rispetto nei confronti di Giulio e la sua famiglia").

"Brutal murder threatens relations between Egypt and Italy" scrive con preveggenza il britannico Financial Times il 9 febbraio, evidenziando come la morte di Regeni rischi di compromettere i rapporti commerciali tra i due Paesi, appena rafforzatisi con la scoperta del giacimento Zohr effettuata dall'ENI, e la collaborazione in Libia, dove il generale Khalifa Haftar, sostenuto dal Cairo e a lungo anche da Roma, è tenacemente osteggiato dagli angloamericani.

Il Financial Times, ovviamente, non sbaglia.

Benché il filone delle indagini che porta dritto a Londra sia più che robusto, gli inquirenti italiani l'ignorano per mesi, subordinandolo all'analisi del computer di Regeni, e si concentrano unicamente sugli sviluppi dell'inchiesta in Egitto.

Una martellante campagna politico-mediatica, guidata da Amnesty International e da vecchi esponenti di Lotta Continua, emette già ai primi di marzo il suo verdetto, stabilendo che il responsabile dell'omicidio è il "regime di Al-Sisi". Per obbligare le reticenti autorità egiziane a collaborare, è opportuno richiamare l'ambasciatore o, meglio ancora, convincere i "principali investitori italiani"[254] (leggi ENI) a rivedere le loro attività nel Paese. Il primo aprile Renzi discute del caso Regeni con Barack Obama, a margine del summit sulla sicurezza nucleare a Washinton. L'8 aprile la Farnesina richiama Maurizio Massari per consultazioni, sancendo la crisi diplomatica tra i due Paesi dopo il "sostanziale fallimento" del vertice tra gli inquirenti italiani e gli omologhi egiziani, accusati di non aver consegnato i dati sul traffico telefonico.

Non c'è però rischio che Maurizio Massari rimanga disoccupato perché, quando a Bruxelles si libera la posizione di ambasciatore italiano presso la UE, lasciata vacante da Carlo Calenda, lo zelante diplomatico è prontamente promosso grazie, probabilmente, ai servigi resi in Egitto.

Passeranno altri due mesi prima che, finalmente, sia disponibile l'analisi del computer di Regeni e gli inquirenti, appuratone il contenuto, decidano di imboccare il filone inglese del delitto: avanzano quindi una rogatoria internazionale per "ascoltare" i docenti ed i colleghi con cui il dottorando italiano è venuto in contatto all'università di Cambridge.

Finalmente, qualcuno potrebbe pensare, dopo i depistaggi, le reticenze ed i sotterfugi del "regime egiziano", gli investigatori italiani lavoreranno in ambiente disponibile, trasparente e collaborativo: dopotutto non è partita proprio dall'ateneo inglese la lettera aperta "Egypt must look into all reports of torture, not just the death of Giulio Regeni" per chiedere chiarezza sull'omicidio? Non figurano proprio Anne Alexande e Maha Abdelrahman, i due docenti di Regeni a Cambridge, tra i firmatari?

Ed invece, no!

Il presunto muro d'omertà innalzato dalle autorità egiziane, si trasforma in una fortezza inespugnabile in Inghilterra: Maha Abdelrahman, la studiosa dei sindacati indipendenti e dei movimenti di protesta egiziani, il docente che coordinava la ricerca (o meglio, la participatory action research) di Regeni al Cairo, rifiuta di rilasciare dichiarazioni agli inquirenti italiani, seguendo i consigli legali dell'Ateneo. A nulla serve lo struggente appello dei genitori ai professori affinché "collaborino attivamente per dare una risposta alla crudeltà gratuita che ha sottratto Giulio agli affetti e alla comunità scientifica",[255] né serve la disponibilità dei nostri investigatori ad attendere più giorni Maha Abdelrahman negli uffici della polizia di Cambridge, dopo averle inviato in anticipo le domande (non è contro il famoso fair play inglese?).

Maha Abdelrahman non collabora. Di più. Gli inquirenti italiani non possono neanche consultare lo studio di Regeni sui sindacati indipendenti, perché "confidenziale",[256] come se fossero documenti scambiati all'interno di un servizio segreto o di un corpo diplomatico.

Qual è il motivo di questa segretezza? Bé, quasi sicuramente, i nostri inquirenti, sfogliando il lavoro commissionato a Regeni da Maha Abdelrahman, avrebbero scoperto come le ricerche dell'ateneo inglese sconfinino nell'eversione politica.

Aver scelto Giulio Regeni come vittima di questa operazione sporca, implica infatti che tutte le sue attività sul versante inglese debbano rimanere gelosamente nascoste: d'altra parte, come giustificare il rapimento e la brutale tortura da parte del "regime egiziano" di un turista italiano qualsiasi?

Resta il dilemma della condotta che l'Italia dovrebbe assumere di fronte all'omertà inglese: a rigor di logica, dovrebbe richiamare l'ambasciatore a Londra per consultazioni.

La Farnesina richiami l'ambasciatore a Londra
Quali sono le parole chiave della campagna mediatica con cui Amnesty International, un nutrito stuolo di ex-Lotta Continua (Luigi Manconi, Paolo Hutter, Adriano Sofri, etc.), diversi politici espressione dei poteri atlantici (Felice Casson, Laura Boldrini, Francesco Boccia, Pier Ferdinando Casini, etc. etc.) e la Repubblica di Carlo De Benedetti, hanno prima invocato e poi ottenuto la rottura dei rapporti diplomatici con l'Egitto?

Le espressioni più ricorrenti sono: difesa della dignità nazionale, necessità di appurare la verità per rispetto nei confronti di Giulio Regeni e della sua famiglia, l'accusa di omertà e di depistaggio contro il governo egiziano.

Prendiamo ad esempio Luigi Manconi, il senatore del Partito Democratico, già responsabile del servizio di sicurezza di Lotta Continua negli anni di piombo e intimo (come buona parte dei suoi colleghi) dei servizi atlantici. Manconi è stato la punta di diamante del battage mediatico contro l'Egitto, riuscendo a coinvolgere nelle sue manovre anche i famigliari di Regeni. Scrive l'ex "sbirro" di Lotta Continua nell'articolo "Caso Regeni, richiamare l'ambasciatore? È il minimo", pubblicato il 2 marzo sull'Huffington Post:

"E, poi, un'altra condizione: la piena libertà di accesso a tutta, ma proprio tutta, la documentazione relativa alla morte di Giulio Regeni, finora acquisita e in qualche modo occultata dalle autorità giudiziarie e di polizia egiziane. Ovvero testimonianze, interrogatori, intercettazioni, perizie e risultati delle indagini. Ma anche per questo forse è già troppo tardi. Ora servono azioni tempestive e iniziative drastiche. Ancora, dunque, richiamare l'ambasciatore italiano in Egitto e pretendere dall'ambasciatore egiziano in Italia un atteggiamento di cooperazione che finora non c'è stato in alcun modo."

La consegna di tutta, ma proprio tutta, la documentazione relativa alla morte di Regeni è considerata la conditio sine qua non per evitare la rottura diplomatica. Cosa ne pensa il senatore Luigi Manconi del rifiuto dell'università di Cambridge di mostrare agli inquirenti italiani le ricerche di Regeni, perché "confidenziali"? Finora non sono pervenute reazioni da parte di Manconi per l'oltraggioso rifiuto inglese di condividere le informazioni e, purtroppo, c'è il forte sospetto non perverranno mai, perché Manconi non può certo schierarsi contro i suoi mentori della NATO.

Passiamo ad Amnesty International, un'organizzazione talmente "non governativa" che i vertici americani sono occupati da ex-personale del Dipartimento di Stato. Amnesty International è stato il principale strumento della guerra psicologica con cui Washington e Londra hanno martellato l'opinione pubblica e la politica italiane, sino ad ottenere l'auspicata crisi diplomatica tra Roma ed Il Cairo. Ha protestato davanti l'ambasciata egiziana, ha avuto, grazie a Luigi Manconi, il privilegio di discettare in Senato sulle "gravi violazioni dei diritti umani" nel "regime di Al-Sisi",[257] ha appeso sulla facciata di buona parte degli edifici pubblici italiani lo striscione giallo e nero "Verità per Giulio Regeni". Il presidente di Amnesty International, Antonio Marchesi, ha dichiarato il 24 marzo:

"La richiesta di ‘Verità per Giulio Regeni' è stata fatta propria da tutta la società italiana, che non accetterà versioni di comodo, né permetterà che cali il silenzio sulla vicenda".[258]

Che ne pensa Antonio Marchesi, oppure Riccardo Noury, portavoce italiano di Amnesty International, dell'omertoso silenzio di Anne Alexande e Maha Abdelrahman, le due docenti che seguivano le ricerche in Egitto di Giulio Regeni e si rifiutano oggi di rilasciare dichiarazioni agli investigatori italiani? Protesterà Amnesty International davanti all'ambasciata britannica a Roma (Via XX Settembre, 80, per chi fosse interessato…) per impedire che cali il silenzio sulla vicenda? Chiederà questa volta che "il Governo vada oltre l'iniziativa diplomatica e valuti l'uso di tutti gli altri strumenti possibili", "se non ci saranno al più presto progressi verso la verità"?

Altamente improbabile: già, perché la sede centrale di Amnesty International è a Londra, Regno Unito.

Veniamo ora a la Repubblica di Carlo De Benedetti, che in questi mesi è stato il megafono della campagna mediatica contro l'Egitto di Al-Sisi. Il giornale sarà forse fazioso, ma è sicuramente molto ben informato: il giornalista Fabio Scuto è stato il primo (6 febbraio) a chiedere di congelare i contratti tra l'ENI ed il Cairo allora in fase di perfezionamento, quando la notizia circolava solo tra gli addetti ai lavori ("l'Italia attraverso l'Eni firmerà con l'Egitto la prossima settimana un accordo per lo sfruttamento di un giacimento di gas nel Mediterraneo. Un contratto che vale solo per i primi 3 anni 7 miliardi di dollari. Congelarlo, fino ad una chiara identificazione e punizione degli assassini di Giulio, potrebbe essere una buona arma (diplomatica) di pressione").

Scrive la Repubblica l'8 aprile, in occasione della rottura diplomatica tra Roma ed Il Cairo:[259]

"Si è rivelato un sostanziale fallimento il vertice tra Italia ed Egitto sul caso Regeni. È quanto si è appreso in ambienti giudiziari della Capitale. Dal comunicato diramato dalla Procura di Roma emerge la forte delusione di inquirenti e investigatori che non hanno viste soddisfatte le richieste avanzate per rogatoria l'8 febbraio scorso. Di fatto la collaborazione con le autorità giudiziaria egiziane è interrotta. L'Italia ha richiamato l'ambasciatore al Cairo, Maurizio Massari."

Perché Repubblica ha sostanzialmente taciuto il rifiuto dell'Università di Cambridge, un ente pubblico a tutti gli effetti e quindi riconducibile a Westminster, di collaborare con gli inquirenti italiani, trincerandosi dietro un omertoso silenzio? Cosa ne pensa Repubblica del fallimento della rogatoria internazionale in Inghilterra, persino più umiliante di quello in Egitto, dove perlomeno le autorità hanno fornito qualche straccio di informazione? Perché Repubblica, anziché mettere in primo piano il vergognoso rifiuto inglese di collaborare con la procura di Roma, ha pubblicato il 9 giugno l'ennesimo dossier anonimo sul caso Regeni ("Caso Regeni, la faida tra Servizi dietro la fine di Giulio. Accanto al corpo una coperta militare")[260] che ha tutto il sapore del depistaggio?

E dove sono oggi Giuseppe Acconcia, Felice Casson, Francesco Boccia, Paolo Hutter, Adriano Sofri, Laura Boldrini e tutta l'allegra comitiva del #veritàpergiulio?

Perché nessuno parla dell'umiliazione inflittaci dal Regno Unito? Perché nessuno alza la voce contro il silenzio di Anne Alexande e Maha Abdelrahman, che boicottano deliberatamente le indagini della Procura di Roma?

Poco importa se siamo in pochi: lanciamo comunque un appello al Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ed al Ministro degli Esteri, Enzo Moavero Milanesi, affinché difendano la dignità dell'Italia ed il dovere di far luce sul caso Regeni, intraprendendo azioni drastiche e tempestive contro il Regno Unito ed utilizzando tutte le risorse capaci di esercitare un'adeguata pressione su Londra, anche attraverso un'azione concertata con i principali investitori italiani in quel Paese.

Non possiamo accettare versioni di comodo da parte del Regno Unito e dell'Università di Cambridge, né permettere che cali il silenzio sulla vicenda.

Richiamare l'ambasciatore a Londra? È il minimo.


Quotidiani Della Metropolitana


I quotidiani come Metro, City o, in Italia, Leggo, distribuiti gratuitamente presso le aree di sosta dei mezzi pubblici o nelle stazioni metropolitane delle grandi città di almeno ventitre Paesi rappresentano il tema principale della carta chiamata "Quotidiani della metropolitana". Tali quotidiani sono venuti in soccorso dei giornali che sopravvivono con i fondi pubblici e che stanno affrontando una crisi editoriale senza precedenti, per traghettare l'opinione pubblica verso lidi più sicuri. Tra i tanti, vi è un giornale che, più di ogni altro, sta affrontando uno sfacelo da cui difficilmente riuscirà a riprendersi: stiamo parlando de La Repubblica.

La Repubblica in crisi: breve storia (non ortodossa) del giornale-partito "liberal"

Il secondo quotidiano italiano, La Repubblica, attraversa una profonda crisi, certificata dall'inarrestabile emorragia di copie: le tensioni, latenti sin dall'avvicendamento alla direzione di Ezio Mauro e Mario Calabresi, sono recentemente esplose con la diatriba che ha pubblicamente contrapposto Eugenio Scalfari, "il fondatore", a Carlo De Benedetti, "l'editore". Circola addirittura la voce che l'Ingegnere voglia liberarsi del giornale. Le disgrazie di Repubblica sono da collegare alla crisi dell'area politica di riferimento, quella sinistra "liberal" di cui il quotidiano romano è stato il padre nobile. Il progetto "La Repubblica" nasce, infatti, negli ambienti atlantici, per traghettare la sinistra dall'ideologia sovietico-marxista a quella atlantico-liberale: breve storia non ortodossa, dal "gruppo del Mondo" all'attuale crisi.

I "liberals" sono in crisi. Il loro giornale-partito, anche

Il crepuscolo della Seconda Repubblica avanza minaccioso e non è certo casuale che sia accompagnato dalla crisi del quotidiano che, senza dubbio, ha dominato questo periodo della storia italiana, La Repubblica. Il quotidiano romano nasce, infatti, nel 1976 (vedremo, nel proseguo di questa sezione, in quali particolari "circostanze") per affiancare L'Unità, quotidiano ufficiale del Partito Comunista e sensibilizzare Botteghe Oscure sulle tematiche "liberali"; cavalca nei primi anni ‘80 il caso P2; assiste l'assalto giudiziario che nel 1992-93 demolisce la Prima Repubblica; assume la funzione di mentore della sinistra post-comunista, traghettandola nella metamorfosi PCI-PDS-DS-PD; detta l'agenda al governo, se la sinistra vince le elezioni, guida l'opposizione antiberlusconiana, se la sinistra le perde. Assumendo la funzione di giornale-partito, Repubblica segue così le fortune dell'area politica di riferimento: patisce il governo Monti, si smarrisce con quello Letta, affonda, svelato il bluff iniziale, con l'esecutivo Renzi e si sfalda con quello Gentiloni.

La diffusione "cartaceo+digitale", che nel 2011 si attesta ancora attorno alle 425.000 copie, cala così alle 315.000 dell'autunno 2015, quando Ezio Mauro, direttore sin dal 1996, cede la poltrona a Mario Calabresi, in arrivo da La Stampa. L'avvicendamento, prodromo del matrimonio tra L'Espresso ed un altro gruppo editoriale "liberal" per eccellenza, l'Itedi degli Agnelli-Elkann, non porta fortuna: la diffusione subisce un nuovo tracollo, calando sino alle 210.000 copie dello scorso autunno: in redazione sono forti i malumori nei confronti del neo-direttore, forse non a ragione, considerato che Calabresi ha l'ingrato compito di "coprire" gli impopolari esecutivi Renzi e Gentiloni. Le tensioni accumulatesi dentro il quotidiano debordano in pubblico nel gennaio 2018, con il velenoso confronto a distanza tra "il Fondatore", Eugenio Scalfari, e "l'Editore", Carlo De Benedetti: una considerazione politica del primo ("Preferisco Berlusconi a Di Maio") incendia le polveri, spingendo il secondo ad una velenosissima replica ("Scalfari? Un signore molto anziano che non è più in grado di sostenere domande e risposte"). Il Fondatore mena l'ultimo fendente: "Credo che quell'accusa di avere speculato grazie alle informazioni riservate ottenute da Renzi abbia avuto un ruolo importante nel suo cattivo umore. (…) De Benedetti ama Repubblica, ma vuole liberarsene". [137]

Imputare l'emorragia di copie al direttore Calabresi, oppure alle più generalizzate difficoltà dell'editoria e della carta stampata, come fatto da Scalfari, o alla "perdita d'identità" di cui parla De Benedetti, è superficiale. Il Corriere della Sera, concorrente per eccellenza, ha superato più brillantemente gli ultimi anni, perdendo solo un terzo della diffusione totale (dalle 470.000 copie del 2011 alle 310.000 dello scorso anno). La Repubblica vive una crisi strutturale perché la sua funzione storica, quella di essere il giornale-partito che inspira e guida la sinistra "liberal", è esaurita, causa collasso della sinistra stessa: le prossime elezioni, infatti, certificheranno la caduta ai minimi storici del PD, incapace ormai di intercettare due categorie chiave dell'elettorato di sinistra, "giovani e lavoratori", disperse tra Movimento 5 Stelle, astensionismo e partiti di destra. L'Ingegnere, cui non manca il senso per gli affari, ha probabilmente fiutato che il destino di Repubblica è segnato e perciò medita, nell'intimo, di sbarazzarsene.

Le rotative della Repubblica sono in funzione dal 1976: hanno egregiamente adempiuto al loro compito, forse sarà presto ora di spegnerle.

Ma come è nato questo giornale-partito che, affiancando l'Unità, ha progressivamente acquistato la guida della sinistra, spostandola dai valori marxisti a quelli liberali? Chi è Eugenio Scalfari, ormai considerato da tutti soltanto un vegliardo che ama vantare le sue conoscenze con papa Jorge Mario Bergoglio e col direttore della BCE, Mario Draghi? Chi ha messo i soldi per l'avvio del settimanale L'Espresso e poi de La Repubblica? Perché, alla fine degli anni ‘80, è entrato nell'azionariato del quotidiano il finanziere De Benedetti, che ha giocato un ruolo di primo piano nel saccheggio dell'economia nazionale? Perché, infine, La Repubblica è sempre stata la punta di lancia di tutte le operazioni euro-atlantiche contro il nostro Paese, da Tangentopoli agli attacchi all'ENI, dal Rubygate al caso Regeni? Per rispondere a questa domanda, bisogna scrivere una breve, ma puntuale, storia del quotidiano romano: una storia, ovviamente, non ortodossa. Per fare ciò, ci serviremo di una preziosa fonte di informazioni: "La sera andavamo in Via Veneto. Storia di un gruppo dal Mondo alla Repubblica", scritto dallo stesso Scalfari e edito da Mondadori nel 1986. È un libro che spiega "tutto", purché si abbia la giusta chiave per decifrarlo.

La semi-autobiografia di Scalfari racconta le gesta, lunghe un quarantennio, del gruppo di "liberals", alias "liberali", alias "radicali" che, nell'immediato dopoguerra, si fa rappresentante degli interessi dell'establishment atlantico, quello basato sull'asse Londra-New York. All'indomani delle elezioni del 1948 l'Italia, infatti, è dominata dal bipolarismo DC-PCI: la fedeltà del Partito Comunista a Mosca obbliga l'establishment atlantico a sostenere la Democrazia Cristiana, ma è un'alleanza forzata. Questo partito cattolico di massa, un po' terzomondista e molto statalista, non è certo in sintonia con l'oligarchia atlantica: ebraica o protestante, ovviamente atlantista, convinta sostenitrice del libero mercato e delle libertà individuali (divorzio, aborto, droghe, etc.). Il grande disegno dell'establishment liberal è quindi di insinuarsi nella sinistra italiana, fagocitare progressivamente il PCI e, una volta conquistato, spostarlo su valori "atlantici e liberali": l'operazione, che parte nel 1955 con la nascita del Partito Radicale, si conclude con pieno successo nel 1991, con la nascita del Partito Democratico di Sinistra. In questa manovra, gioca un ruolo decisivo Eugenio Scalfari ed il suo gruppo di "liberals": a loro va imputata la paternità del Partito Radicale, del settimanale l'Espresso, del quotidiano La Repubblica.

Chi sono quindi questi liberals, "spesso longilinei, spesso benestanti", come li definisce Scalfari? Sono gli esponenti di quel milieu economico-finanziario-culturale, di chiara matrice massonica, che, soffocato o perlomeno domato sotto il regime fascista, rifiorisce con la conquista della penisola da parte degli alleati. Quelli del Partito d'Azione: Ferruccio Parri, Ugo La Malfa, Oronzo Reale, Bruno Visentini, Mario Paggi e Altiero Spinelli, etc. Quelli dell'alta finanza internazionale, in contatto con i Rothschild, i Rockefeller ed i Lazard: Raffaele Mattioli, Enrico Cuccia, Donato Menichella, Guido Carli, etc. Quelli del "grande capitale": Vittorio Valletta, Adriano Olivetti, Cesare Merzegora, etc. Quelli del "Congresso per la libertà della cultura", ossia, detta brutalmente, gli intellettuali al soldo della CIA-MI6: Mario Pannunzio, Benedetto Croce, Ignazio Silone, Nicola Chiaromonte, Alberto Moravia, Nicolò Carandini, etc. Il giovane Eugenio Scalfari, dimenticati i suoi esordi giovanili su "Roma fascista", è, ovviamente, in contatto con tutti i membri del gruppo, assolvendo spesso alla funzione di cerniera tra il nucleo di Roma e quello di Milano. Perché proprio Scalfari? Perché rampollo di una benestante famiglia che frequenta da generazioni quell'ambiente (nel 1950, Scalfari sposa Simonetta De Benedetti, figlia di Giulio, storico direttore de La Stampa).

La scalata alla sinistra italiana da parte dei "liberals" prevede, fin dal principio, la creazione di un giornale che possa evolversi in movimento politico: il 19 febbraio 1949, esce così il primo numero del settimanale "Mondo", "laico ed anticlericale", diretto da Mario Pannunzio. Scrive Scalfari: "Il Mondo lanciò quella che sarebbe stata l'idea guida ed il programma politico del gruppo per 18 anni: la formazione di una terza forza politica che bilanciasse i due super-partiti DC e PCI". Nel 1955, germoglia dal seme del Mondo il Partito Radicale che, non a caso, è dominato dalle stesse personalità "laiche ed anglofile" del settimanale: Pannunzio, Scalfari e Paggi. Scopo del Partito Radicale italiano (in Francia si ripete l'esperimento con Pierre Mendès France) è quello di erodere lo spazio a sinistra occupato dal Partito Comunista, fedele a Mosca, facendo leva, più che sui diritti del lavoro, sui "diritti della persona", tanto cari al pensiero massonico. Il 1955, però, è soprattutto l'anno in cui al progetto del Mondo, troppo elitario e autoreferenziale per avere un impatto sulla politica, è affiancato un esperimento editoriale destinato ad avere ben altro successo: il settimanale l'Espresso.

Con la benevolenza del potente Raffaele Mattioli, allora direttore della Comit e massimo rappresentante in Italia della "finanza laica" connessa alle grandi piazze internazionali, Eugenio Scalfari e Arrigo Benedetti (già direttore de L'Europeo) ideano un settimanale (che in origine avrebbe dovuto essere un quotidiano) che non si rivolga più soltanto ai salotti degli intellettuali, ma al grande pubblico, sensibilizzandolo sulle tematiche "libertarie, progressiste, libertine" care ai liberals. Un settimanale nazionale, poi, che faccia molti "scoop" comodi ai poteri atlantici, colpendo ora la DC, ora l'ENI, ora qualche fazione avversa, ora lo Stato-imprenditore, ora pungolando il PCI.

Il progetto editoriale comporta però ingenti investimenti: a quale porta Mattioli consiglia loro di bussare? Don Raffaele indirizza Scalfari e Benedetti dal magnate di Ivrea, Adriano Olivetti. Nel capitolo "A Ivrea incontrammo Adriano il Mago", leggiamo: "L'incontro tra noi e Adriano Olivetti fu uno di quei fatti del tutto occasionali, assolutamente non prevedibili nell'economia d'un destino di gruppo, eppure determinanti come pochi altri incontri sono stati nei 35 anni di questa vicenda. Se non fosse avvenuto in quel momento e in quelle circostanze, probabilmente l'Espresso non sarebbe mai nato e il viaggio dei liberali nel frastagliato arcipelago della vita italiana avrebbe dovuto inventarsi altri vascelli e forse seguire un diverso itinerario".

Perché proprio Adriano Olivetti, "il mago"? La risposta a questa domanda va cercata nella poliedrica figura dell'imprenditore eporediese: in stretto contatto con i servizi segreti inglesi già durante la guerra (nome in codice “Brown”), vicino ad esponenti del Partito d’Azione come Ferruccio Parri, sostenitore delle idee euro-federaliste di Altiero Spinelli, Olivetti è pienamente ascrivibile a quel milieu dell’alta borghesia “laica” (cioè iniziata alla massoneria) ed anglofila. Di più. Scalfari lo definisce “il mago”, perché Olivetti, come Mattioli, appartiene a quel mondo occulto-esoterico (messianesimo ebraico, divinità femminili, astrologia, dottrine di George Gurdjieff e Carl Jung, etc.) che conta tra le sue fila i massimi rappresentanti dell’establishment italiano “laico e liberale”. Il Movimento 5 Stelle, attraverso Gianroberto Casaleggio, è sotto quest'aspetto l'ultimo prodotto dell'agente "Brown", Adriano Olivetti.

La permanenza di Olivetti nell'azionariato dell'Espresso, dove ha investito l'ingente cifra di 125 milioni di lire, controllando così il 70% del capitale, è però breve. Trascorre a malapena un anno ed Olivetti decide di spossessarsi delle azioni a titolo gratuito, regalandone il 60% de L'Espresso a Carlo Caracciolo, il 5% ad Arrigo Benedetti ed il 5% ad Eugenio Scalfari. Sorge, a questo punto, un legittimo interrogativo: i 125 milioni erano effettivamente di Olivetti o questi è stato soltanto il prestanome di poteri "liberal" occulti, come la finanza internazionale o i servizi atlantici? Resta il fatto che, nel 1956, il principale azionista de l'Espresso è ora il principe Carlo Caracciolo. Scrive Scalfari: "Da quel momento l'azionista di maggioranza fu Carlo Caracciolo, un bel giovane biondo di trent'anni, di nobile famiglia napoletana, figlio di Filippo Caracciolo di Castagneto (diplomatico e amicissimo di La Malfa e di Parri con i quali aveva lavorato intensamente durante la Resistenza), cognato di Gianni Agnelli, che aveva sposato sua sorella Marella. Carlo era stato anche lui nella Resistenza e a 17 anni aveva combattuto in Val d'Ossola nelle brigate di Giustizia e Libertà". Un aristocratico, il principe Carlo Caracciolo, nelle cui vene scorre il miglior sangue dell'alta società anglofila e liberal.

Subentrano gli anni ‘60 e l'Espresso conduce, ovviamente, battaglie dal marcato sapore atlantico: contro l'ENI di Enrico Mattei ("Avversò costantemente i liberali ed i repubblicani, in quanto partiti da lui considerati padronali e filoamericani", "L'inquinamento dei partiti comincia da lui") e di Eugenio Cefis ("il nostro gruppo cercò di fermare o quantomeno di rallentare la marcia verso il potere di Eugenio Cefis e del vasto sistema di alleanze che a lui facevano capo"), contro "il circuito perverso DC-aziende di Stato-governo", contro Aldo Moro ("noi liberals vivemmo Moro, per tutti gli anni del centro-sinistra, dal ‘63 al ‘70 e anche oltre, come un avversario, il grande saponificatore"). I meriti de L'Espresso sono riconosciuti dall'establishment atlantico e, nel 1962, il settimanale può organizzare un convegno all'Eur, tema "la partnership atlantica", potendo contare nientemeno che sulla partecipazione de The Economist: "Fu per noi un'occasione importante, perché l'Economist godeva del prestigio che si sa, e il fatto che il suo direttore e l'intera redazione fossero venuti a confrontarsi con noi dette la misura della stima di cui l'Espresso ormai godeva da parte del miglior giornalismo europeo".

Il successo dell'Espresso, che cavalca l'inarrestabile laicizzazione della società (divorzio, aborto, obiezione di coscienza, femminismo), è indiscutibile. Affinché, però, i "liberals" possano scalare la sinistra italiana, ancora occupata dal monolitico e filo-sovietico PCI, occorre fare il grande salto, dal settimanale al quotidiano: solo con un simile strumento, sarà possibile insidiare l'Unità e traghettare progressivamente Botteghe Oscure da Mosca verso Washington.

Scrive sempre Scalfari: "I simpatizzanti o addirittura i militanti del PCI avevano il loro giornale di partito, ma i mutamenti in corso nella società e di riflesso nel partito rendevano quella sola lettura sempre più insufficiente e insoddisfacente. Infatti, la gente comunista non se ne accontentava e risultava chiaro dai sondaggi d'opinione che molti di loro erano disponibili ad acquistare un secondo giornale, oltre all'Unità". Dove trovare i fondi per lanciare il quotidiano, 5 miliardi di lire, di cui l'Espresso può metterne al massimo la metà? Scalfari e Caracciolo trovano un socio della Mondadori di Mario Formenton, proprietaria del settimanale, anch'esso "progressista" a suo modo, Panorama: il 14 gennaio 1976 nasce così La Repubblica. Particolare degno di nota: alla neonata redazione si unisce, di lì a un anno, Pier Leone Mignanego, in arte Piero Ottone. Collaboratore dell'angloamericana Psychological Warfare Division (PWB) nel 1945, corrispondente da Londra per la Gazzetta del Popolo, corrispondente per il Corriere della Sera dalla Germania Occidentale e poi dall'URSS, Ottone, esponente come Scalfari e Pannunzio del giornalismo "anglofilo", è chiamato alla direzione di Piazza Solferino nel 1972, quando Giulia Maria Crespi decide di rendere lo storico quotidiano milanese "meno conservatore e più liberale".

Scalfari, poco prima del lancio di Repubblica, nel settembre 1975, incontra personalmente Enrico Berlinguer, illustrandogli i suoi piani verso il PCI: "nessun pregiudizio ideologico, rifiuto di ogni ghettizzazione e discriminazione, nostra propensione per un'ipotesi di alternativa di sinistra rispetto al suo programma di compromesso storico". La Repubblica, insomma, deve allontanare il PCI sia dalla Democrazia Cristiana che da Mosca, per avvicinarlo a Washington: l'omicidio Moro (che avrebbe voluto pilotare l'ingresso dei comunisti al governo, sedendo al Quirinale) ed il quasi concomitante viaggio di Giorgio Napolitano negli Stati Uniti (primavera dl 1978), completano la manovra. "A partire dal 1979, si può dire che il segretario del PCI avesse scelto Repubblica quale sede privilegiata per esporre il suo pensiero, a parte ovviamente l'ufficialità del giornale del PCI." Eliminato Moro dalla corsa verso il Quirinale, rimane però ancora l'insidia di Giulio Andreotti: il caso Gelli-P2, ampiamente cavalcato dal Gruppo l'Espresso, spegne definitivamente i sogni presidenziali del Divo Giulio.

Nonostante la tiratura di Repubblica aumenti, i conti faticano a tornare, tanto che a metà degli anni '80 il Gruppo l'Espresso è in una situazione tecnica di fallimento: entra così in scena Carlo De Benedetti, destinato, dopo la "guerra di Segrate" e la spartizione della Mondadori con Silvio Berlusconi, a diventare l'azionista di riferimento del gruppo, "l'Editore". Perché interviene proprio De Benedetti a soccorrere il quotidiano dell'establishment liberal ed anglofilo? Semplice: l'Ingegnere (cui si deve, ad esempio, la distruzione del settore informatica dell'Olivetti) è il rappresentante di quella finanza internazionale che, attraverso Don Raffaele Mattioli, aveva già patrocinato la nascita del settimanale Espresso.

Gli anni ‘80 sono dominati dalla figura di Bettino Craxi: socialista, filo-arabo, attento agli interessi nazionali e, perciò, "fascista" se non "nazional-socialista" tout court, La Repubblica, ovviamente, guida l'opposizione al segretario del PSI. È significativo quanto scrive Scalfari: "I socialisti del nuovo corso hanno coniato una definizione curiosa: noi saremmo la nuova destra, insieme ad alcuni esponenti dell'imprenditoria (leggi De Benedetti), ad alcuni grandi borghesi (leggi Bruno Visentini), e all'ala berlingueriana del PCI. Una nuova destra tecnocratica, giacobina, illuminata, che però non disdegna gli affari corsari e vagheggia governi presidenziali di tipo (pensate un po'!) badogliano". La definizione data dal PSI di Bettino Craxi e Rino Formica non potrebbe descrivere meglio "i liberals" che fanno capo al Gruppo l'Espresso.

Tangentopoli spazza via il Pentapartito: l'establishment euro-atlantico ha deciso che sarà la sinistra a guidare la stagione delle privatizzazioni e l'ingresso dell'Italia "in Europa". La Repubblica ha dato il proprio determinante contributo al risultato, fagocitando progressivamente il PCI, ora PDS, sino a dettarne la linea. L'ingresso in politica di Silvio Berlusconi scatena, nel 1994, una guerra destinata a durare 25 anni: la Repubblica è il campione dell'antiberlusconismo e, di conseguenza, il campione della sinistra. La scalata al campo progressista, iniziata nel lontano 1976, ha ottenuto un tale successo che l'editore del giornale-partito, Carlo De Benedetti, è anche la "tessera numero 1" del Partito Democratico che nasce nel 2007: si tratta, proprio come sognato da Scalfari trent'anni prima, di un grande "partito radicale" che, accantonati i diritti del lavoro, difende soltanto "le libertà personali" (femminismo, omosessualità, droga, aborto, immigrazione etc..).

La simbiosi tra il Gruppo l'Espresso ed il Partito Democratico è tale che le sfortune del secondo si ripercuotono anche sul primo: La Repubblica, sostenendo prima l'esecutivo Monti, poi quello Renzi ed infine quello Gentiloni, perde lettori allo stesso ritmo con cui la sinistra perde consensi. Giovani (ormai demograficamente marginali) e "lavoratori", due colonne portanti della sinistra e del pubblico di Repubblica, non votano più PD, né leggono una rivista del Gruppo l'Espresso: l'enorme massa del disagio sociale si rifugia nell'astensionismo, nei partiti di destra o nel Movimento 5 Stelle, creato ad hoc dagli stessi poteri che nel 1955 avevano incoraggiato la nascita del settimanale l'Espresso. I valori "liberali", inoltre, hanno talmente impregnato la società che persino il modernista Jorge Mario Bergoglio, intima conoscenza di Eugenio Scalfari, li promulga da San Pietro.

Non ha torto, l'Ingegnere De Benedetti, a volersi disfare della Repubblica: la sua funzione storica è, oggettivamente, esaurita.


Camion Esplosivo


La carta "Camion Esplosivo" si riferisce alla strage di Nizza, avvenuta il 14 luglio 2016. Benché per compiere l'attentato terroristico non siano state usate cariche esplosive, il numero di morti causati dalla strage è paragonabile a quello che si sarebbe ottenuto se si fosse ricorso ad ordigni di questo tipo.

Strage a Nizza: qualcuno salvi la Francia da Hollande!

La strage di Nizza del 14 luglio 2016, un'ottantina di morti ed un centinaio di feriti sul lungomare della città, porta a quasi 250 il numero delle vittime mietute nell'arco di 18 mesi dal terrorismo "islamico": è il pesantissimo bollettino dello stragismo di Stato con cui i socialisti di François Hollande, con il tacito assenso dei repubblicani di Nicolas Sarkozy, tentano di domare un elettorato in aperta ribellione, tra disoccupazione record, manifestazioni sindacali sempre più agguerrite e partiti anti-europeisti alla ribalta. Il divorzio tra Londra e Bruxelles, che procede al contrario senza intoppi, è sintomo di una crescente divergenza tra le logge massoniche inglesi e francesi sul destino dell'Unione Europea.

À chacun ses années de plomb

La rapida decadenza della Francia, la preoccupante involuzione delle sue istituzioni, la maleodorante decomposizione della Quinta Repubblica, è testimoniata dalla lunga stagione del terrorismo di Stato che sta insanguinando il Paese dall'ormai lontana strage di Charlie Hebdo (gennaio 2015): la Francia, per 18 interminabili mesi, non ha smesso di tremare, sotto l'urto di attentati che registrano saltuari picchi (la strage parigina del 13/11), per poi disperdersi in un costante sciame sismico di attentati minori (da ultimo l'uccisione di due poliziotti per mano di un "miliziano" dell'ISIS avvenuta il 14 giugno 2016).

Il 14 luglio il sismografo è di nuovo impazzito: sul lungomare di Nizza, la celebre Promenade des Anglais, un camion da 18 tonnellate, preso a noleggio due giorni prima, ha falciato la folla assiepata per lo spettacolo pirotecnico in occasione della festa nazionale per la presa della Bastiglia, mietendo almeno 85 vittime ed un centinaio di feriti. Il conducente, un franco-tunisino di 31 anni i cui documenti sono stati ritrovati nell'abitacolo, avrebbe anche aperto il fuoco con una pistola durante la macabra corsa, prima di essere ucciso dalla polizia dopo due chilometri percorsi zigzagando tra la folla ad alta velocità. Secondo l'Agence France-Presse sarebbero state rinvenute sul mezzo anche "une grenade inopérante et des armes longues factices", una granata ed armi finte.[306]

La pista del terrorismo è imboccata sin dalle prime ore: il presidente François Hollande coglie la palla al balzo per prolungare di altri tre mesi lo stato d'emergenza in vigore dallo scorso novembre (in scadenza il 26 luglio), annuncia la mobilitazione dei riservisti per fronteggiare l'emergenza e promette un rinnovato impegno francese in Siria ed Iraq contro l'ISIS (quasi smantellato grazie alla coordinazione tra Mosca, Damasco, Baghdad e Teheran). L'immancabile SITE Intelligence Group, diretto dall'israeliana Rita Katz, si è affrettato, infatti, ad attribuire la paternità della mattanza allo Stato Islamico, paradossalmente sempre più letale man mano che i suoi domini mediorientali si dissolvono. L'attentato, secondo la ricostruzione del SITE, sarebbe una rappresaglia del Califfato per la recente uccisione a Mosul del comandante Abu Omar al Shishani, detto il "ceceno", addestrato in Georgia, per inciso, dalle forze armate americane una decina di anni fa:


È più realistico ipotizzare che l'attentato sia stato pianificato tempo prima, fissando come obbiettivo le celebrazioni del 14 luglio, e che la presunta morte di al Shishani, già più volte annunciata, sia soltanto funzionale a ricondurre la strage di Nizza alla narrazione del terrorismo islamico.

Perché, oltretutto, non colpire il Regno Unito, gli Stati Uniti o la Germania, tutti più o meno impegnati nella "lotta" contro il Califfato? Perché infierire sempre sulla Francia?

Si torna così al discorso della decadenza della Francia che, da base del terrorismo internazionale proiettato verso l'esterno, si è trasformata in obbiettivo del medesimo, con il placet dei socialisti al governo e dei repubblicani di Nicolas Sarkozy all'opposizione.

Negli anni '70 e '80, con la presidenza del fervente europeista Valéry Giscard d'Estaing e poi del socialista François Mitterrand, accomunati dallo stesso retroterra massonico, la Francia diventa il porto sicuro per il terrorismo "rosso" e "palestinese" che insanguina l'Italia e la Repubblica Federale Tedesca: sono i tempi del centro culturale parigino Hyperion, frequentato dal brigatista in forte odore di servizi segreti, Corrado Simioni, e dal fondatore di Potere Operario, Toni Negri, sono i tempi del giornalista Jean Luis Baudet, buona conoscenza del brigatista Giovanni Senzani, che, scoperto in possesso di un arsenale, chiede di poter telefonare all'Eliseo per chiarire l'equivoco,[307] sono i tempi dei servizi segreti d'Oltralpe che progettano il rapimento di Cesare Romiti per destabilizzare la Fiat,[308] sono i tempi delle RAF che abbandonano indisturbate a Mulhouse, nord della Francia, il cadavere del presidente della Confindustria tedesca, Hanns-Martin Schleyer.

Trascorrono trent'anni e l'introduzione dell'euro, anziché fornire l'assist per la fondazione dei massonici Stati Uniti d'Europa, scava un fossato sempre più profondo tra la Germania e la Francia: l'Esagono, incapace di reggere un cambio fisso con i vicini al di là del Reno, è vittima di un'esplosione del debito pubblico, di un incancrenirsi della disoccupazione e di un'impennata delle tensioni sindacali. Parigi assurge a principale minaccia nel medio periodo per la tenuta della moneta unica, tanto più che qualsiasi sforzo di applicare al Paese le classiche ricette di svalutazione interna care alla Troika, provoca un'esplosione della rabbia sociale e la massiccia mobilitazione dei sindacati.

È questo il contesto in cui la Francia indirizza il terrorismo di Stato, che un tempo proiettava verso l'esterno, contro se stessa.

Nel tentativo di facilitare la rielezione di Nicolas Sarkozy all'Eliseo (presidenziali del 2012) si ha il primo assaggio della strategia della tensione: sono gli attentati di Tolosa e Montauban, compiuti da un collaboratore dei servizi segreti francesi, Mohamed Merah. Nonostante Sarkozy cavalchi l'onda delle stragi, promettendo un giro di vite in materia di sicurezza ed immigrazione, il crescente malcontento per l'andamento dell'economia disarciona il presidente e spalanca le porte dell'Eliseo allo scialbo François Hollande, scelto come sfidante unicamente per la sua provata fede europeista e le sue ottime entrature nella massoneria.[309] Secondo due settimanali, Le Nouvel Observateur e Le Point,[310] grazie all'investitura di Hollande il Grande Oriente di Francia riconquista un potere che non conosceva dai tempi di Mitterand, quando, ricordiamo, l'Esagono era una centrale del terrorismo internazionale, rosso o "palestinese".

Le speranze che Hollande rappresenti un cambio di passo per la Francia e l'Europa sono presto disilluse: in politica estera, come nel campo economico, Hollande si pone in sostanziale continuità col predecessore, seguendone la stessa parabola. Già nel corso del 2014 il suo indice di gradimento sprofonda a livelli di guardia.

L'incarico di Manuel Valls a premier (marzo 2014) è il prodromo del terrorismo di Stato che farà la sua comparsa sul palcoscenico nel gennaio successivo, con la strage a Charlie Hebdo. La definizione "terrorismo di Stato", forse ancora azzardata nel gennaio 2015, acquista tristemente solidità mese dopo mese: i terroristi, piccoli criminali passati per il carcere e poi spediti in Siria, presentano il classico profilo dei collaboratori della DGSE, identico a quello di Mohamed Merah; nonostante lo stato d'allerta permanente gli attentatori si insinuano in brecce dell'apparato di sicurezza troppo gravi per non destare sospetti; da più parti piovono accuse di immobilismo o complicità delle forze dell'ordine (da ultimo la lettera-accusa inviata dai gendarmi parigini al quotidiano Le Parisien, dove si rinfacciano ai comandanti di aver ritardato per ore l'irruzione al Bataclan [311]), etc. etc.

Un particolare ruolo nella strategia della tensione, è svolto dai servizi segreti israeliani, cui è stata appaltata, almeno in parte, l'esecuzione delle stragi in virtù della loro esperienza in materia di terrorismo "islamico", risalente ai tempi del Fronte per la Liberazione della Palestina: è chiara la convenienza di Tel Aviv a collaborare con i servizi segreti francesi diretti da Bernard Bajolet, creando un'empatia tra Israele e l'Europa di fronte alla comune "minaccia araba".

Non può che saltare all'occhio la differenza tra la relativa tranquillità con cui è stata accolta la Brexit nel Regno Unito (eccezion fatta per l'omicidio Cox, riconducibile, attraverso al Southern Poverty Law Center, anch'esso ad ambienti israeliani) ed il dramma permanente che accompagna in Francia l'inarrestabile decadenza di Hollande e l'impetuosa avanzata delle forze populiste, ossia del Front National.

Dato l'attuale contesto europeo, la dinamica interna alle logge massoniche è imprescindibile per cercare una spiegazione al fenomeno. È possibile (ma non certo, a meno che non si accetti come verità le indiscrezioni del The Sun, subito smentite da Buckingham Palace,[312] secondo cui la corona sarebbe stata favorevole ad un'uscita dall'Unione Europea) che le logge inglesi, tradizionalmente più conservatrici, abbiano ormai accettato, volenti o nolenti, il collasso delle istituzioni di Bruxelles, mentre quelle francesi, ed il Grande Oriente di Francia in particolare, tradizionalmente più europeiste e progressiste, siano disposte a lottare fino in fondo per la salvaguardia dell'Unione Europea, anche a costo di pesantissimi attentati come la strage di Nizza.

Non c'è dubbio, infatti, che la paralisi economica della Francia dovuta alle montanti proteste di piazza per la riforma del mercato del lavoro o la vittoria del Front National alle presidenziali del 2017 implicherebbe la fine della moneta unica e, di conseguenza, la disgregazione dell'Unione Europea: scenario, quest'ultimo, più volte esorcizzato dal Grande Oriente di Francia, da cui sono partiti duri attacchi di Marine Le Pen ed i partiti populisti europei ("La République est en danger. (…) La République reste un combat. Ce n'est pas un régime acquis définitivement. Si tout le monde baisse les bras, je le dis: la République est en danger" [313]). È forte il rischio che sino al dissolvimento della moneta unica la Francia continui ad essere insanguinata da attacchi terroristi poggianti, come ai tempi di Mitterand, sul connubio tra massoneria e servizi segreti: stragi come quelle di Nizza distolgono l'opinione pubblica dalle criticità dell'economia e generano una domanda di sicurezza e d'ordine a tutto vantaggio dei partiti pro-establishment.

Tra Italia e Francia non è mai esistito, né probabilmente mai esisterà, nessun sincero legame d'amicizia e l'affinità tra "sorelle latine" è una semplice trovata letteraria che non ha alcun corrispettivo nella realtà: non può che rammaricare, tuttavia, che un nostro vicino, l'amabile Paese al di là delle Alpi, sia insanguinato quasi mensilmente da uno stragismo di Stato che ha mietuto in meno di due anni gli stessi morti causati in Italia da 20 anni di strategia della tensione.

Verrebbe da gridare: qualcuno salvi la Francia da Hollande!



E se a Nizza non ci fosse stato nessuno al volante del camion?

Si è assistito ad una vera e propria esplosione del terrorismo dopo la strage di Nizza del 14 luglio: cinque attentati tra Germania e Francia nell'arco di una decina di giorni, tutti formalmente di matrice "islamista" e partoriti dalla stessa regia. Il nesso tra i diversi attentati è  fisicamente incarnato dal giornalista tedesco Richard Gutjahr, autore di uno dei rari video girati sulla Promenade des Anglais e, a distanza di otto giorni, testimone della sparatoria a Monaco. Il susseguirsi di attacchi terroristici senza soluzione di continuità si propone, tra i vari obbiettivi, anche quello di impedire all'opinione pubblica di metabolizzare gli avvenimenti, così da non lasciare neppure il tempo per interrogativi e riflessioni. Ecco perché, nonostante tutto, approfondiamo la strage di Nizza, avanzando un'ipotesi: e se al volante del camion, a fianco del cadavere di Bouhlel, non ci fosse stato nessuno la notte del 14 luglio?

Attentati, attentati, attentati. Sì, ma Nizza?

La strage di Nizza, costata la vita a 84 persone, è stata sostanzialmente già archiviata dopo una settimana: si attendeva solo il prossimo attentato per parlare d'altro. "Pauvre France!" rieccheggiava nelle nostre menti mentre ci cimentavamo nella ricostruzione della strage di Nizza.

Non potevamo chiosare in maniera migliore, perché da allora è stato un susseguirsi quasi giornaliero di attentati "islamisti": 21 luglio, Monaco di Baviera, nove morti più l'attentatore suicida; 24 luglio, Reutlingen, una donna uccisa; 25 luglio, Ansbach, un kamikaze si fa esplodere ferendo dodici persone; 26 luglio, Rouen, due terroristi sono uccisi dalla polizia dopo aver sgozzato il parroco che celebrava la messa. L'effetto, come avevamo facilmente immaginato, è stato quello di seppellire sotto una montagna di nuovi titoli allarmistici i recentissimi avvenimenti di Nizza: in pochi giorni, la strage alla Promenade des Anglais è così scivolata in fondo alle pagine dei giornali, per poi scomparire. La carneficina costata la vita a 84 persone, che in altri tempi avrebbe monopolizzato l'attenzione dei media per mesi, è stata così già archiviata, in meno di due settimane.

Imputato: Mohamed Lahouaiej Bouhlel, 31enne tunisino. Verdetto: colpevole. Movente: non pervenuto. Rivendicazione: assente, a meno che non si prenda per buona quella scovata dal Site Intelligent Group.

Gli ultimi attentati (cui va aggiunto anche l'afgano ucciso dalla polizia a Wurzburg il 18 luglio, dopo aver ferito alcuni passeggeri su un treno regionale) meriteranno di essere analizzati a fondo, anche perché rappresentano un netto cambiamento di strategia: per la prima volta il terrorismo "islamico" è sbarcato in Germania, quello stesso Paese destabilizzato nel corso del 2015 coll'ingresso indiscriminato di immigrati patrocinato da Angela Merkel. L'esenzione dagli attacchi del Califfato era stata finora una conditio sine qua non per sperare in un quarto mandato della cancelliera e l'improvvisa ondata di attacchi, un vero e proprio fulmine a ciel sereno, è sintomo di un cambio di strategia: perfino la riconferma della Merkel, garante sinora dell'integrità dell'eurozona, passa in secondo piano rispetto ad una strategia della tensione di scala europea.

Ora ci preme soffermarci sull'effetto "diversivo" di questi attentati, sulla loro capacità, cioè, di attirare l'attenzione dell'opinione pubblica su fatti sempre nuovi, cosicché sia impossibile metabolizzare quelli precedenti e qualsiasi dubbio sia soffocato sul nascere, stroncato da nuovi immagini di violenza, nuovi titoli allarmistici e nuove minacce incombenti: chi ha tempo di meditare sulla dinamica di Nizza, quando un estremista uccide la gente che mangia un hamburger, viaggia in treno o ascolta un concerto? Chi ha tempo di approfondire i fatti del 14 luglio, quando la grancassa mediatica è concentrata sul barbaro assassinio di un sacerdote sgozzato?

La paura e il disorientamento sono il migliore sedativo contro il senso critico, che necessita, al contrario, di un periodo di riflessione e quiete, per ordinare i pensieri e discernere il vero dal falso. La stessa regia che ha ordito la carneficina di Nizza si è quindi interessata anche del "dopo", ossia di una lunga serie di attentati che attirasse l'attenzione altrove, prima che fossero avanzati scomodi interrogativi sulle molte, moltissime, debolezze della ricostruzione ufficiale.

Il nesso tra la carneficina di Nizza e la campagna terroristica d'accompagnamento è incarnato dal giornalista e blogger tedesco Richard Gutjahr, che il 14 luglio filma da una balconata la folle corsa dell'autocarro sulla Promenade des Anglais (uno dei primissimi video immessi nei circuiti internazionali) ed il 21 luglio è nei pressi dei centro commerciale Olympia di Monaco, testimone oculare ("I took shelter in a nearby flat, about 200 metres away from the shopping centre" è la sua ricostruzione offerta alla BBC inglese [294]) della sparatoria sui clienti di un McDonald's.

Le probabilità che il giornalista Gutjahr, sposato con l'ex-deputata israeliana Einat Wilf,[295] fosse accidentalmente su due luoghi di un attentato, a distanza di una settimana, rasentano lo zero: quasi sicuro, invece, è che sia stato ingaggiato per documentare la stessa campagna del terrore, iniziata a Nizza e poi proseguita con Monaco, Reutlingen, Ansbach e Rouen.


Soffermarci sui fatti di Nizza, cercando una ricostruzione il più possibile fedele alla realtà, è quindi un'ennesima sfida alle strategie del Potere, che ci vorrebbe già concentrati sulla sparatoria di Monaco o sul barbaro assassinio di Rouen: episodi, senza dubbio, fonte di minor inquietudine per i servizi segreti e le centrali di comando, grazie ad una dinamica molto più semplice rispetto alla strage di Nizza (il ricorso a squilibrati mentali, la violenza e, infine, la liquidazione tout court dell'attentatore).

L'attacco nizzardo, per la sua spettacolarità e complessità (perché occorre lavorare duro affinché tutti gli ingranaggi scorrano fluidi ed il colpevole finale risulti essere il tunisino Bouhlel, un disgraziato qualsiasi, sperso tra alcool, sesso e violenze), è al contrario frutto di un'organizzazione poderosa, talmente poderosa che è impossibile occultarla completamente. Qualche dettaglio sfugge sempre e nel tentativo di insabbiare le prove, spesso ci si tradisce. Partiamo alla ricerca della verità.

Il nostro impianto analitico si basa sul fatto che Bouhlel, che "negli ultimi tempi" godeva di un discreto benessere, tanto da inviare qualche centinaio di euro ai famigliari in Tunisia, fosse coinvolto in una qualche esercitazione, propostagli dalle forze dell'ordine per testare la sicurezza della città: siamo giunti a questa conclusione, in base ai suoi "sopralluoghi" (del tutto inutili) effettuati tra il 12 ed il 13 luglio alla Promenade des Anglais, usando il camion su cui viaggiavano (è una nostra ipotesi) le armi finte poi ritrovate la notte del 14 luglio.

L'ipotesi è sostanzialmente valida ed aggiungiamo che già nei giorni precedenti alla strage, il lavoro di Bouhlel era stato in qualche modo assecondato dalle forze dell'ordine: la circolazione dei mezzi pesanti è vietata nel centro di Nizza (salvo casi eccezionali, come traslochi e consegne). In ogni caso l'autocarro non avrebbe potuto viaggiare in un giorno festivo come il 14 luglio [296] e la notizia che Bouhlel abbia potuto spostarsi dicendo di consegnare gelati è destituita di qualsiasi fondamento, dato che il veicolo in questione è un comune Renault Midlum da trasporto, sprovvisto di cella frigorifera. Nella foto sottostante è ben visibile l'autocarro: è un furgonato qualsiasi, dove Bouhlel colloca con diligenza la sua bici prima che la folle corsa abbia inizio, convinto, quasi certamente, di adoperarla al termine della serata.


Veniamo ora ai "complici" di Bouhlel, le figure che, secondo gli investigatori, avrebbero aiutato l'autotrasportatore 31enne a perpetrare la strage. Il profilo degli arrestati dovrebbe, se la nostra ricostruzione è corretta, coincidere non con quello di estremisti sunniti, bensì corrispondere, come nel caso del franco-tunisino, a quello di piccoli criminali,facilmente manipolabili con la promessa di qualche soldo facile.

Non a caso, troviamo: Artan H., 38 anni, e Enkeledgia Z., 42 anni, due albanesi sospettati di aver fornito la pistola 7.65 con cui Bouhlel avrebbe fatto fuoco su tre poliziotti [297] al termine della corsa (non risultano né morti, né feriti in questo senso); Ramzy A., franco-tunisino 21enne con un passato da criminale comune, accusato di aver fatto da intermediario tra gli albanesi e Bouhlel; Mohamed Whalid G., franco-tunisino di 40 anni, incensurato e vecchia conoscenza di Bouhlel con cui è in frequente contatto telefonico; Choukri C., tunisino 37enne, accusato di essere coinvolto nel traffico d'armi gestito da Ramzy e Bouhlel. A questi sarebbero da aggiungere due persone, di cui non sia ancora il nome, immortalate in una foto con Bouhlel davanti al camion utilizzato per la strage.[298]

Dato il tenore degli ultimi sms scambiati tra Bouhlel ed i suoi complici nel pomeriggio del 14 luglio ("Chokri et ses amis sont prêts pour le mois prochain, maintenant ils sont chez Walid","Je voulais te dire que le pistolet que tu m'as ramené hier, c'était très bien, alors on ramène 5 de chez ton copain. C'est pour Chokri et ses amis")[299] si evince che il franco-tunisino non avesse alcuna intenzione di immolarsi quella notte e fosse piuttosto convinto di condurre qualche traffico dove le armi, vere e finte, erano centrali. Sfugge poi il motivo per cui un attentatore, prossimo alla morte, bruci il resto della rete inviando sms dove fa nome e cognome dei fiancheggiatori: non sapeva che gli inquirenti avrebbero passato a setaccio i suoi tabulati telefonici?

In alternativa all'esercitazione, si può avanzare l'ipotesi della rapina ai due casinò della Promenade des Anglais: ciò spiegherebbe i sopralluoghi, le armi finte, la volontà di testare la sicurezza del lungomare e gli ordini dati in vista di una prossima, misteriosa, occasione. In questo scenario, la banda di Bouhlet sarebbe stata infiltrata ed adoperata per fini a loro del tutto sconosciuti. Significativamente,  le prove addotte per dimostrare la premeditazione della strage ("des photographies de feux d'artifice, les 14 et 17 juillet 2015, avec des zooms sur la foule ; un article du quotidien Nice-Matin intitulé « Il fonce sur la terrasse d'un restaurant », et encore un article du 9 janvier 2016 relatif aux faits commis à Paris dans le commissariat du 18e arrondissement")[300] sono del tutto risibili.

Veniamo ora alla fatidica notte del 14 luglio: tutto avviene su due chilometri di distanza ed in una manciata di minuti. L'azione è quindi estremamente compressa e concitata ed il caos è scientemente ricercato affinché la squadra dei servizi segreti in azione, un vero e proprio commando, possa agire indisturbata. Nell'analisi alcuni ricercatori hanno commesso un errore: si sono fidati della disinformazione israeliana (vedi il sito Debka), asserendo che il vetro del camion fosse blindato.

Il vetro, infatti, non è blindato, come è ben visibile in questa foto che mostra i raggi del sole penetrare nei fori delle pallottole e proiettarsi sui sedili.


È anche ipotizzabile una variante alla nostra analisi, che prevede che al volante del camion, al momento della strage, sedesse un secondo uomo, un agente dei servizi: è un punto che desterà sicuramente sconcerto, ma al volante del camion, a fianco del cadavere di Bouhlel, avrebbe potuto trovarsi non un misterioso agente, bensì... nessuno. Non abbiate paura: non siamo impazziti e forniremo solide argomentazioni a sostegno della nostra tesi.

Cominciamo dal principio di quella tragica serata. L'apparato di sicurezza francese, sinora dimostratosi molto benevolo nei confronti di Bouhlel e del suo camion da 19 tonnellate che circola in zone e giorni vietati, dà ancora prova di un interessato lassismo. A presidiare il lungomare durante lo spettacolo pirotecnico, c'è una sola auto della polizia municipale8, facilmente raggirata dall'autocarro entrano nelle corsie pedonali. Per nascondere l'incredibile assenza delle forze dell'ordine, il ministero dell'Interno effettuerà a posteriori forti pressioni sulla responsabile della videosorveglianza di Nizza, la poliziotta Sandra Bertin,[301] affinché compili un rapporto in cui risulti anche la presenza della polizia nazionale, del tutto assente nel punto dove il lungomare è chiuso al traffico.

Il camion, ora, è in movimento e si dirige verso la folla.

Disponiamo per analizzare i successivi minuti di quattro principali fonti: le riprese del sullodato Richard Gutjahr [302] che mostrano il camion in movimento e tre filmati,[303] dove l'autocarro è già fermo (ha finito il carburante?), in attesa che le forze dell'ordine intervengano per "neutralizzare" Bouhlel. Il giornalista tedesco ha la duplice fortuna di avere in mano un apparecchio elettronico per filmare e di trovarsi su un balcone che affaccia sulla Promenade: i fotogrammi in cui la cabina del camion è quasi perpendicolare a Gutjahr, grossomodo quando un motociclista tenta di entrare nell'abitacolo, sono i più preziosi. Distinguere il conducente è quasi impossibile, tanto che nessuno potrebbe confutarlo se dicesse che al volante non c'è nessuno.

Ora passiamo ai tre successivi filmati: il primo, in ordine cronologico, è quello del turista italiano con l'accento meridionale, poi vengono, quasi simultanei, quello del turista egiziano Nader El-Shafei e quello del turista israeliano anonimo, apparso sul sito in lingua ebraica Ynet.[304]

L'italiano riprende il camion fermo, con attorno una presenza ancora sparuta di poliziotti: un uomo si avvicina di buon passo alla cabina e, saltando, cerca di vedere all'interno, quasi per appurare se ci sia ancora qualcuno all'interno. L'italiano commenta in dialetto: "cioè, chistu, mo', sta chiusu indu camion e nun scende?". L'attentatore starebbe chiuso, immobile, nella cabina. Forse perché già morto, tanto che qualcuno osa avvicinarsi per sbirciare nell'abitacolo?

Ora è la volta del filmato del turista egiziano Nader El-Shafei e dell'anonimo israeliano: i due riprendono quasi la stessa scena, l'assalto finale della polizia nazionale dove Bouhlel sarebbe ucciso, con alcune significative differenze. Alta qualità, lato mare, vista diretta sulla cabina del camion ed in particolare sul posto del passeggero per l'egiziano; bassa qualità, lato città, nessuna vista diretta sulla cabina per l'anonimo israeliano.

L'egiziano Nader El-Shafei è un "intruso" nel copione del 14 luglio 2016, mentre l'anonimo di Tel Aviv è quasi certamente un collega del tedesco Richard Gutjahr. Nel video dell'egiziano vediamo la polizia nazionale far fuoco verso la cabina da cui non proviene nessun movimento, quasi che l'occupante fosse già morto: Nader El-Shafei prende coraggio, si avvicina e con lo zoom ingrandisce la ripresa sull'abitacolo. Scrive le Monde: "peu après, on aperçoit la tête d'un homme inerte, d'un homme à l'avant du véhicule, côté passager", poco dopo si vede la testa inerte di un uomo, lato passeggero.

Il video israeliano, in parte manipolato, è prezioso non per quello che ci fa vedere, ma per quello che non ci fa vedere e che, di conseguenza, si vuole occultare.

Una provvidenziale palma copre infatti la cabina e l'operatore, a differenza di Nader El-Shafei, non ha alcun interesse nello spostarsi per riprendere quanto sta accadendo. L'israeliano gira intorno a quanto sta avvenendo, quasi che il cordone di poliziotti attorno al camion fosse più interessante del blitz in corso. Il video è, di conseguenza, un assegno in bianco alla versione ufficiale, costruibile a piacimento dalle autorità.

Ecco, quindi, come sarebbe avvenuta la "neutralizzazione di Bouhlel": una "brigade spécialisée de terrain", corpo della Police Nationale specializzato ad operare in contesti critici, si materializza sul posto, forte di due uomini ed una donna. Un passante cerca di entrare nella cabina (ma Bouhlel non avrebbe dovuto sparare con la 7.65?) ed è allontanato dalla polizia. Il terrorista, a quel punto, brandisce la pistola. Parte il conflitto a fuoco, l'autista si china, ricompare sul lato passeggero, punta ancora la pistola verso i poliziotti ed è infine ucciso [305] sul sedile a fianco del conducente. Ciò spiega la concentrazione dei proiettili sul lato destro del parabrezza: i poliziotti avrebbero sparato dove era collocata la sagoma.


Posto però che Bouhlel è quasi certamente già morto all'inizio della corsa ed il suo cadavere giace dove è stato lasciato (sul lato passeggero), chi può aver guidato il camion?

L'ipotesi del secondo uomo, l'agente dei servizi al volante, rimane valida, ma è possibile avanzare anche una seconda, leggera variante: ossia che l'autocarro fosse teleguidato, senza che nessuno cioè sedesse fisicamente al sedile del conducente, grazie ad una tecnologia ormai ampiamente collaudata da anni [14].

La sconcertante richiesta avanzata dal governo francese al comune di Nizza di distruggere i video delle telecamere di sorveglianza, tra le ore 22.30 del 14 luglio e le ore 18 del 15 luglio, accampando come pretesto la necessità d'impedire la "diffusione non controllata di immagini" [15], indica che qualche verità deve essere sepolta ad ogni costo: ed è, con la quasi assoluta certezza, che Mohamed Lahouaiej Bouhlel, la sera del 14 luglio, non guidava il Renault Midlum.

Per vedere un esempio di auto guidata da remoto, si guardi il filmato raggiungibile dalla nota [306].


Ponte Che Non Conduce Da Nessuna Parte


La carta "Ponte Che Non Conduce Da Nessuna Parte" si riferisce al disastroso crollo del viadotto Polcevera di Genova che, nell'estate del 2018, ha provocato 43 vittime. L'ipotesi del professore ed ingegnere, con esperienza ventennale, Enzo Siviero consiste nella possibilità che il ponte sia stato demolito intenzionalmente. Tale ipotesi è stata però definita delirante dal procuratore Francesco Cozzi.
Dunque ricapitoliamo:
- sembra che AXA sia entrata in quote di Autostrade S.p.A. poche settimane prima del 14 agosto, (come fece il compratore delle Torri Gemelle);
- che abbiano fatto assicurazioni per eventuali crolli dei viadotti per coprirsi (per la successiva riassegnazione della concessione?); (come fece il compratore delle Torri Gemelle);
- che casualmente sia venuto giù proprio uno dei ponti più importanti e video sorvegliati d'Italia terrorizzando psicologicamente tutti gli italiani, ma di cui non ci fanno vedere nulla, perché secondo il PM dell'inchiesta non ci sono riprese video che testimoniano quanto è accaduto (come è successo nell'inchiesta dell'attentato al Pentagono dell'11 settembre 2001);
- che sia collassato in modo insolito, stando al parere degli ingegneri strutturali (come successe per le Torri Gemelle);
- che Atlantia attraverso qualche suo dirigente abbia pure scommesso sulla caduta de titolo a borse chiuse....(come successe per le Torri Gemelle);
- che sembra stiano pure insabbiando tutto senza nemmeno un sequestro, un indagato, NULLA dopo ben due settimane.
(come successe per le Torri Gemelle);
Beh......ci arrivate da soli credo, anzi spero.
E le 43 famiglie distrutte...? Eh...ditegli che questa è solo una vecchia storiella inventata (come viene raccontato a tutti coloro che chiedono la verità sulle Torri Gemelle).
Ditemi quante probabilità ci sono che venga fatto un murales che raffigura parti che si troveranno poi in un attentato nella stessa città pochi mesi dopo?
Quante probabilità ci sono che venga poi raffigurata sempre in quel murales una Rosa Rossa?
Esiste un ordine massonico esoterico nero, il cui nome è Ordine della Rosa Rossa e della Croce d'Oro, a cui sono stati attribuiti omicidi e attentati.
Quante probabilità ci sono che la figlia del proprietario della ditta Basko sia stata arrestata per terrorismo?
Mi limito solo a ricordare che sotto il dominio della “Rosa Rossa” rientrano stragi di Stato, attentati, delitti efferati, Governi dal potere assoluto, ma è anche vero che è sempre necessario un responsabile discernimento prima di decretare che un evento sia firmato “Rosa Rossa”.
Tuttavia ripeto, quante probabilità ci sono che tutto venga raffigurato, in un solo murales, pochi mesi prima?







Fuoriuscita di Petrolio


Lo sversamento di petrolio più memorabile ha coinvolto la piattaforma petrolifera Deepwater Horizon, nel Golfo del Messico, il 20 aprile 2010. Il disastro ha causato la morte di undici persone.


Incidente Nucleare e Maremoto


Le carte "Incidente nucleare" e "Maremoto" si riferiscono all'evento sismico verificatosi in Giappone il 3 novembre 2011. Il maremoto ha provocato lo tsunami abbattutosi contro la centrale nucleare di Fukushima, causando il noto disastro a cui, ancora oggi, non si è posto rimedio. Non si tratta dell'unico caso in cui due o più carte si riferiscono ad un unico evento. Si prenda in considerazione, per esempio, la carta che raffigura l'ex-presidente degli Stati Uniti, Bill Clinton, che indossa un guinzaglio al collo e la carta che ritrae sua moglie Hillary Clinton mentre impugna l'estremità opposta del medesimo guinzaglio o quella dell'attentato terroristico avvenuto nel complesso del WTC, correlata alla carta che descrive l'attacco al Pentagono e alla carta "Agente sul posto".


Un altro esempio è rappresentato dalla carta "Jihad", riferita alla Jihad islamica abbattutasi in Medio Oriente, in Asia ed in Europa, correlata alla carta "13 sfortunato".


Riscrivere La Storia


L'oligarchia al potere comprese che l'istruzione pubblica obbligava gli alunni a consultare testi che proponevano argomenti che spaziavano in tutti i campi dello scibile umano. Questi studenti, generalmente, diffidavano dei governi che perseguono il liberalismo e delle autorità governative. Chiaramente, i padroni del vapore dovettero ottenere il controllo del sistema scolastico pubblico, dalla sua fondazione in poi, per realizzare il progetto di un governo mondiale, i cui sudditi sarebbero stati docili ed accondiscendenti. Già nel 1911, tali oligarchi cominciarono ad acquistare le case editrici dei libri, ottenendone il pieno controllo alla fine della prima guerra mondiale. Una volta ottenuto il controllo dei testi scolastici, a poco a poco, cominciarono a riscrivere la storia (carta "Rewriting History"). A partire dalla seconda guerra mondiale in poi, gli studenti hanno ricevuto un'istruzione sempre più scadente e, successivamente, è stato introdotto il concetto del sei politico che ha depauperato ulteriormente la qualità degli studi nelle strutture pubbliche. L'esistenza stessa della carta "Rewriting History" implica che la revisione della storia sia un fenomeno in fase di attuazione anche ai nostri giorni.


Generatore di Scosse Telluriche


Gli eventi tellurici possono essere provocati da esplosioni nucleari o in ogni modo da esplosivi di grande potenza. E attraverso meccanismi oggi conosciuti unicamente alle “elite” possono essere generati anche a distanza (carta ”earthquake projector”).

Se l’ipocentro (il vero punto in cui vi è la liberazione di energia) di un sisma è superficiale, esso è strumentalmente indistinguibile da una scossa provocata da un ordigno sistemato in una caverna in profondità, o anfratto naturale o una ex miniera. Bisognerebbe porre qualche interrogativo al misterioso “Giuliani”, il “tecnico” che afferma di avere previsto un terremoto; forse il tecnico ricopre solennemente il ruolo di “supervisore”, per conto dei poteri immondi. Certo, un’ipotesi, ma tutto è da ritenersi ammissibile nell’intento diabolico di spostare il G8 in una città che porta un nome pagano, simbolo dell’Impero Romano ma anche dell’”attuale” impero USA.


Riduzione della Popolazione



La scena raffigura una moderna metropoli occidentale che, a causa dell'inquinamento pervasivo, fa deteriorare, in modo più o meno silente, la qualità dell'aria e delle falde acquifere del conglomerato urbano, logorando la salute dei suoi cittadini. Si noti che il fumo è modellato a forma di faccia di demone.

Il depopolamento di alcune regioni del pianeta viene inoltre perseguito attraverso le “missioni di pace”, in verità beffardamente prefissate per seminare morte e distruzione mediante l’odio etnico e rancore indelebile (si ricordi a tal proposito il caso della Serbia-Kossovo).


Epidemia


Nella didascalia della carta "Epidemia" è scritto "Disastro! Questo è un attacco per distruggere qualsiasi luogo. Non necessita di un’azione. La sua potenza è di 14. Questo non è un attacco immediato. Se l’attacco ha successo, l’obiettivo è distrutto". La particolarità sta nel fatto che l’attacco di questa carta non è immediato; ciò implica che l’attacco si manifesta in silenzio, con la gente che si ammala in tempi diversi dopo l’attacco.

Virus devastanti come Hiv, Ebola e molti altri sono stati diffusi per conseguire la riduzione della popolazione. Anche i vaccini hanno provocato moltissime morti o deficienze fisiche. In Italia, nel 2017, con l'approvazione del D. Lgs. incostituzionale del Ministro della Salute Lorenzin è stato portato a 10 il numero di vaccini obbligatori da somministrare ai nascituri. Negli stessi anni, sempre in Europa, in alcuni Paesi, come la Svezia, il numero di vaccini obbligatori è rimasto fermo a 0, a conferma del fatto che non sussisteva alcuna emergenza sanitaria.

A proposito di vaccini obbligatori... Sono furioso! Guardate qua che bella porcata! Non solo si sta cercando di far apparire normale il fatto che un farmaco di un'azienda privata potenzialmente insicuro e contaminato, in assenza di analisi indipendenti complete su prodotto finito che riducano questo rischio, venga testato nella sua efficacia e sicurezza su decine di migliaia di "bambini volontari". Io, a prescindere dal fatto che non può esistere un "bambino volontario" e che solo il sentirlo dire fa accapponare la pelle, mi sono chiesto chi possano mai essere questi bambini. E sapete cosa ho scoperto? Ho scoperto che la Glaxo, nel 2004, le sue belle sperimentazioni le ha fatte su bambini svantaggiati! Orfani! Bambini neri e ispanici senza famiglia che le autorità hanno consegnato nelle loro mani per fare da cavia. A questo punto direi che abbiamo abbondantemente passato il segno!


In Italia per analizzare un liquido della Glaxo bisogna aver vinto almeno quattro premi Nobel. Se sei una ricercatrice laureata in scienze farmaceutiche non basta. Ci ha provato Loretta Bolgan con Corvelva e li hanno fatti a fette. In Nuova Zelanda, per metterlo nel culo alla Glaxo, basta avere quattordici anni. I furbacchioni della Smith Kline, infatti, avevano prodotto un succo di frutta che assicuravano fosse carico di vitamina C. Quattro volte un'arancia! Dicevano. Fantastico come la tuta di un'astronauta! Purtroppo per loro, due studentesse di 14 anni decisero di approfittare di un esperimento di scienze per analizzarne il contenuto. Risultato: vitamina C in quantità trascurabile. Scrissero alla Glaxo. Nessuna risposta. Allora si incazzarono. Grande sputtanamento. La Glaxo ammise la frode. 200.000 dollari di multa. Fine. [136] Si veda la carta "Ho Mentito":


Pensate se queste due ragazzine fossero state italiane! Crocifisse in sala mensa. Professori in sciopero. Politici in subbuglio. Comunità scientifica in rivolta. Intellettuali zitti. E chi avesse dubitato sarebbe stato lapidato ferocemente da orde di sostenitori pro-juice.

Vorrei far notare al Ministro Grillo che, mentre si sta facendo una guerra spietata al morbillo che, povero Cristo, ammazza meno delle api, c'è un'altra patologia gravissima, di cui si disconosce tuttora l'eziologia e a cui non viene data alcuna importanza, l'autismo.
L'autismo è passato da colpire un bambino su 10.000 negli anni 80 a colpirne uno su 100 nel 2008, uno su 88 nel 2012, uno su 68 nel 2016 e uno su 40, ora.
Una calamità.
Perchè nessuno ne parla mai o quasi mai?
Perchè stiamo a menarcelo col morbillo e trascuriamo una patologia in continua progressione che presto potrebbe portare intere società al collasso?
Tra qualche anno un bambino su due sarà autistico.
Questo significa che metà popolazione dovrà prendersi cura dell'altra metà.
Uno sfacelo.
L'autismo non è una malattia esclusivamente genetica come qualcuno vorrebbe far credere.
Studi su gemelli omozigoti mostrano che in almeno il 20% dei casi non si registra questa patologia in entrambi e nessuna patologia genetica presenterebbe mai dati di progressione simili.
È evidente l'importanza di uno o più fattori ambientali.
Quali sono questi fattori ambientali, Ministro Grillo?
Cosa possiamo fare per cercare di fare in modo che l'autismo non diventi una delle cause primarie della drastica riduzione della popolazione mondiale?
Smettiamo di riempirci la bocca di puttanate e cominciamo a fare davvero i Ministri della Salute.
Altrimenti qui tocca andare a casa.

C’è una dittatura invisibile che agisce sotto gli occhi di tutti e di cui Chicco Mentana disconosce l'esistenza.
Si chiama Big Pharma, la lobby più potente d'Oltreoceano.
Più potente di assicurazioni, internet e gas-petrolio.
Il settore farmaceutico non conosce crisi.
I numeri sono da capogiro.
Al top c’è l’americana Johnson and Johnson (71 miliardi).
Seguono i due giganti svizzeri Novartis (58 miliardi) e Roche  (52 miliardi).
In Europa l’Italia è terza dopo Svizzera e Germania, con 25 miliardi di vendite, cioè 19% in più rispetto a sette anni fa.
Le medicine più prescritte sono gli antidolorifici.
Farmaci che creano forte dipendenza. (Michael jackson c'è morto).
Grazie al suo esercito di dottori sparsi per il globo Big Pharma ha trasformato una larga percentuale di persone in farmacodipendenti.
Più di tre quarti dei cittadini americani sopra i 50 anni prende regolarmente farmaci.
Una donna su quattro tra i 40' e i 50' prende antidepressivi.
I medici vengono educati a trattare i loro pazienti con farmaci e vengono incentivati fino a trasformarsi, alcuni, in veri e propri spacciatori; puttane che si vendono per un viaggio alle Hawaii.
Migliaia di dottori in America sono sul libro paga di Big Pharma.
Chi non si allinea rischia la radiazione.
Gli errori medici, inclusa la prescrizione di certi farmaci combinati che creano cocktail letali, sono diventati la terza causa di morte negli Stati Uniti.
La prescrizione smodata di antibiotici ha reso resistenti batteri e parassiti.
Dal 1990 Big Pharma ha scucito almeno 150 milioni di dollari per comprare  politici.
Nel mese di febbraio del 1991 il presidente della  Smith Kline Beechm (Glaxo) ha versato per sua ammissione  600 milioni di vecchie lire all’allora ministro della sanità De Lorenzo per ottenere vari favori.
Un ex manager, John Rengen Virapen, ha recentemente dichiarato: “Ho corrotto il governo svedese per ottenere l’autorizzazione a vendere il Prozac in Svezia.
La Svezia ha il Premio Nobel per la Medicina. E così l’evento è stato un esempio per gli altri paesi. Perché l’ho fatto? Perché la società mi disse che la mia carriera professionale avrebbe potuto dipendere da questo… Alle Case farmaceutiche non importa guarirvi. Voi non siete pazienti, siete consumatori..."
Big Pharma investe in pubblicità più di qualunque altra industria.
Attraverso gli spot parla direttamente al consumatore e lo invita a farsi prescrivere un particolare farmaco dal proprio dottore.
Solo nel 2012 sono stati spesi per questo circa 3.5 bilioni di dollari.
Ora è arrivato il momento dei vaccini.
Secondo uno studio americano boicottato e censurato in ogni maniera, l'arma più micidiale in mano a Big Pharma per garantirsi nuovi clienti attraverso la creazione di malati cronici.
Insomma un bell'investimento a lungo termine.
Apripista è l'Italia.
Un virologo è sceso in campo a far da piazzista.
Il dissenso è stato epurato.
Il Ministro Lorenzin ha spacciato dati falsi.
Il Ministro Grillo, tradendo la fiducia di gran parte dei suoi elettori, ha completato l'opera.
Tv e giornali hanno fatto da megafono.
Un dirigente del ministero della Salute, Ranieri Guerra, già nel CDA della Fondazione Glaxo, ha firmato tutti i provvedimenti.
Sicuramente è stato fatto un buon lavoro.
Infatti Ranieri Guerra è stato subito nominato Assistant Director General per le iniziative speciali nel nuovo gabinetto dell’Oms.
Una volta era mala politica.
Ora c'è in ballo la vita dei nostri figli.
Difendiamoci.

C'era una volta la medicina che curava chi si ammalava, però i malati erano pochi e i sani tanti, e così qualcuno ha pensato: ma quanti soldi faremmo a vender medicine anche ai sani? Il problema era però: come vendi medicine a una persona sana? E la soluzione è semplicissima: medicina preventiva! Non serve che uno si ammali, basta che abbia paura di ammalarsi.
Le malattie vere devono manifestarsi. Insomma, uno deve sentirsi male per accettare di ingurgitare sciroppi schifosi, ingoiare pillole misteriose, acconsentire a ricevere tubi su per il culo e giù per la gola e altre variegate violazioni del suo corpo. Ma se gli vendi un farmaco preventivo, non serve affatto che stia male oggi, basta che tema di stare male domani. Ecco perché i vaccini sono perfetti: non importa niente se quel che tentano di prevenire sia o meno probabile, grave o imminente, basta che le persone ne abbiano paura! E se poi non c'era nessun rischio reale, tanto meglio: chi potrà dire se il rischio non è mai esistito o se invece è stato il vaccino a proteggerci? Ecco perché la chiave di volta essenziale consiste nei media: suina, SARS, aviaria, Ebola, qualsiasi cosa, anche il morbillo va bene. Non importa se si parla di una mortalità inferiore a quella dei colpiti dai fulmini, se parliamo di rischi sotto lo zero virgola zeroniente percento, basta fare titoloni con scritto EMERGENZA e tutti corrono a vaccinarsi. E se non corrono, obblighiamoli direttamente, e raccontiamogli pure che è per il loro bene. La logica fa acqua da ogni parte? Chissenefrega: se in TV dicono che la scienza dice che è necessario, è necessario e basta.
Dite che sto esagerando? Li state leggendo i titoli sulla TREMENDA influenza in arrivo? Ogni anno è “la peggiore” che ci sia mai stata. E ogni anno si investono fior di milioni di euro pubblici per campagne per la vaccinazione antinfluenzale. L'avrete vista anche voi la pubblicità col nonno che gira con lo scafandro, oppure quei bei cartelloni con vecchietti e bambini in costume da supereroi con tanto di maschera e mantellina? Qualche bel milione di euro pubblici in pubblicità, per convincervi che dovete davvero vaccinarvi contro l'influenza.
Peccato che i vaccini antinfluenzali funzionino in meno che l'1% dei casi. Rileggetevelo bene: il 99% di questi vaccini antinfluenzali non fa assolutamente un cazzo di niente. Non lo dico io, lo dice la Cochrane del 1 febbraio 2018. Dopo aver analizzato tutti gli studi sui risultati e gli effetti delle vaccinazioni influenzali dagli anni '50 ad oggi, han concluso che il 99% delle vaccinazioni antinfluenzali non hanno protetto i vaccinati dall'influenza. Efficacia inferiore all'1% dei casi. Tanto vale mangiarsi un'arancia. Anzi, l'arancia protegge di più. Ma questo in televisione non ve lo raccontano, e giustamente voi vi metterete in fila per farvi iniettare un vaccino che non serve a un bel niente, e tutto il carrozzone della propaganda continuerà imperterrito.
Qualsiasi cosa sia possibile farvi temere, può avere un vaccino. Vaccino per la carie, vaccino per il mal di testa, vaccino per la depressione, vaccino per l'acne, vaccino “per chi mangia troppo grasso”. Qualsiasi cosa vi possa fare paura, o anche solo dare fastidio, avrà il suo bel vaccino. In piccolo, nel bugiardino, ci sarà scritto che la durata della protezione è limitata nel tempo e che il vaccino non garantisce l'effetto su ogni soggetto. E quando vi beccherete le stesse identiche cose che in teoria il vaccino doveva evitarvi, sarete così satolli di propaganda che esclamerete: “grazie al cielo ho fatto il vaccino, altrimenti chissà quanto sarebbe andata peggio!”
Mettetelo a fuoco: prima vi creano l'ansia, poi arriva il vaccino che serve a curare l'ansia. Le malattie e la salute non c'entrano più niente, son roba superata.
Evviva LaScienzah.

Dinamiche geopolitiche del 2021

Il 2020 è stato e rimarrà indissolubilmente legato all’epidemia di Covid-19: il semplice fatto che quest’evento "imprevedibile" si inserisca nelle direttrici geopolitiche già visibili all’inizio dell’anno e anzi le esasperi, lascia pochi dubbi sull’origine dolosa del virus. Lo scacchiere internazionale si sta frantumando secondo linee sempre più precise ed è possibile, dall’Estremo Oriente all’Europa,  formulare precise previsioni sui prossimi sviluppi mondiali, in un contesto solo apparentemente dominato dal caos: la dialettica terra-mare è sempre più evidente.

Tante conferme e poche sorprese

Giunti alla fine del 2020 è il momento di formulare l’analisi geopolitica, verificarne la validità ed estenderla in prospettiva al nuovo anno. Procediamo con ordine. Il primo passo consiste nel ricordare la "matrice" sottostante al sistema internazionale, che consente di spiegare fenomeni apparentemente casuali, metterli in relazione tra loro e prevedere con una buona approssimazione cosa riservi il futuro: tale matrice geopolitica è, ovviamente, basata sull’antichissima dialettica terra-mare. La Cina, sempre più lanciata verso il primato economico mondiale, sta "organizzando" quella che Mackinder definì nel 1919 l’Isola-mondo, ossia la massa afro-euro-asiatica, con una serie di infrastrutture e accordi economici che fanno di Pechino il fulcro del nuovo sistema internazionale in nuce. Russia, Turchia, Iran e Germania sono i principali attori euro-asiatici che, pur conservando una precisa identità ed una loro agenda politica, si possono definire complementari al grande disegno geopolitico cinese. Sul versante opposto, si collocano invece le potenze marittime anglosassoni, il cosiddetto Five Eyes (più Israele), il cui obiettivo primario è, come sempre, evitare che una potenza continentale organizzi a suo favore l’Isola Mondo, spostando definitivamente il baricentro della politica mondiale dal Mare alla Terra (col maiuscolo si intendono le rispettive "Weltanschauung" delle due diverse tipologie di potenze). Francia, Arabia Saudita, Giappone e sopratutto l’India sono le potenze che, secondo una consolidata prassi geopolitica, si prestano maggiormente ad essere cooptate dagli anglosassoni in funzione anti-continentale. Questa era la matrice alla base dell’analisi predittiva del 2020 e tale rimane per gli anni a venire.

Ad inizio 2020 non potevamo certamente prevedere che il 2020 sarebbe stato segnato dall’epidemia di Covid-19, che ha stravolto la vita di tutte le nazioni: il semplice fatto però che l’epidemia si "incastri" alla perfezione nell’analisi, corrobora la nostra tesi che si tratti di un’arma batteriologica impiegata all’interno di una cosiddetta "guerra ibrida". Epicentro dell’epidemia è stata, nelle prime battute della crisi, la Cina, la cui destabilizzazione era ed è il principale obiettivo delle potenze marittime; l’epidemia ha favorito il tentativo angloamericano di affossare l’economia globalizzata (volume del commercio mondiale in netta contrazione, sospensione dei voli aerei, netto calo dei trasporti marittimi, etc) considerata ormai un moltiplicatore della potenza cinese; l’epidemia ha messo a durissima prova l’Unione Europea e l’eurozona, aumentando le divergenze tra le aree periferiche (più colpite anche in termini di epidemia, si vedano Spagna e Italia) ed il nocciolo costituito dalla Germania: tutte dinamiche già visibili a inizio anno e soltanto accentuate dal virus. Al termine del 2020 si può affermare che la Cina abbia superato egregiamente la prova del Covid-19 e, forte delle sue prestazioni economiche (Pechino sarà l’unica grande economia a registrare una crescita del PIL anche nel 2020) il Dragone si stia prodigando per tenere in vita la globalizzazione, esercitando un’azione contraria a quella delle potenze anglosassoni: a novembre, la Cina è riuscita infatti a mettere a segno un importantissimo risultato con la firma del Partenariato Economico Globale Regionale (RCEP) che crea un’area di libero scambio estesa a Cina, Giappone, Sud-est asiatico e persino ad Australia e Nuova Zelanda. Si attende inoltre tra la fine del 2020 e l’inizio del 2021 la firma di un analogo accordo commerciale tra Cina ed Unione Europea (Comprehensive Agreement on Investment- CAI) che dovrebbe confermare la capacità di Pechino di difendere il libero scambio, perlomeno di basi continentali o trans-continentali, sventando la manovra statunitense di erigere dazi e barriere per obiettivi politici.

Nell’analisi di fine 2019, avevamo preconizzato una "No deal Brexit" che avrebbe dovuto innescare una nuova fase dell’eurocrisi, colpendo sopratutto l’Italia in quanto anello debole dell’eurozona. La No deal Brexit sarebbe stata senza dubbio la scelta preferita da Londra, se non fosse che le disastrose prestazioni economiche dell’Inghilterra (PIL a -11% per il 2020) hanno reso troppo costoso ricorrere "all’opzione nucleare". L’Inghilterra ha quindi abbandonato l’Unione Europea con un accordo strappato negli ultimi giorni dell’anno, sancendo la fine di un "matrimonio" che risale al 1973: la scommessa di Londra, che insieme a Washington è sempre stata il regista occulto dietro il processo federativo europeo, è che l’Unione Europea non sopravviva a lungo al suo addio e che, al contrario, il suo esempio serva ad accelerare la dissoluzione della stessa. Le ragioni di tale "voltafaccia" anglosassone nei confronti della UE, ben visibile anche nella politica estera statunitense, è dovuta alla convinzione che il progetto europeo si stia ormai rivelando dannoso per l’asse anglo-americano, a causa della connaturata tendenza della Germania a convergere verso Russia e Cina. Il 2020 ha infatti sancito il definitivo decollo delle linee ferroviarie transcontinentali che uniscono la Germania alla Cina, via Russia, e la ferma volontà tedesca di portare a termine il Nord Stream 2, nonostante le minacce americane ed i colpi bassi come il caso Navalny, non ha fatto che confermare la scarsa affidabilità "atlantica" di Berlino. Quanto all’Unione Europea, se è vero che è sopravvissuta all’acuta crisi politica legata al piano di rilancio economico e alimentata dall’Inghilterra attraverso i suoi clienti, resta da vedere se sarà in grado di superare anche i prossimi choc economici: Italia e Spagna appaiono infatti sempre più come il "ventre molle" dell’eurozona, ulteriormente indebolite dall’epidemia che ha causato una violentissima contrazione dell’economia ed una parallela esplosione del debito pubblico (PIL italiano a -9% nel 2020 e debito pubblico/PIL ormai superiore al 160%). Il default dell’Italia rimane la migliore opzione della finanza angloamericana per scardinare l’eurozona e la UE.

Altrettanta attenzione meritano i rapporti franco-tedeschi perché, al di sotto dell’intesa di facciata tra Macron e Merkel, Germania e Francia sono ormai due cavalli che tirano il carro in direzione opposta. Se le simpatie sino-russe della Germania sono evidenti, la Francia sembra sempre più  incline a collaborare con la strategia "anti-continentale" delle potenze marittime anglosassoni, con un focus particolare al Mediterraneo. La Francia non ha nascosto il suo fastidio per il Nord Stream 2; i legami militari tra Francia ed India si sono intensificati nel corso del 2020 con la vendita di moderni armamenti; Parigi ha anche scatenato le ire cinesi siglando un contratto per la vendita di armi a Taiwan. È però sopratutto nel ristretto bacino mediterraneo che le mosse francesi lasciano intendere una sempre più marcata convergenza francese verso gli USA e l’Inghilterra che, ricordiamo, costituisce il principale alleato militare europeo di Parigi in virtù dei trattati di Lancaster House siglati nel 2010. Nel Mediterraneo, la Francia sta infatti emergendo come il capofila della coalizione marittima (estesa a Grecia, Egitto, Israele ed Arabia saudita) per contenere la crescente potenza della Turchia, formalmente membro NATO, sempre più legata però a Cina e Russia attraverso accordi di cooperazione militare ed economica. Il 2020 è infatti stato anche l’anno del primo convoglio ferroviario Turchia-Cina, via Caucaso, ed è stato altresì l’anno delle sanzioni americane ad Ankara per l’acquisto del sistema missilistico difensivo russo S-400. La Turchia, storicamente legata da forti legami economici e culturali con la Germania, costituisce un’altra insidiosa frattura nelle relazioni franco-tedesche e rappresenta senza alcun dubbio un dossier di rilevanza continentale. Si noti, en passant, che sul finire del 2020 Cina, Russia, Germania e Turchia sono tutte sotto sanzioni o a rischio di sanzioni americane. UE e NATO sono sempre più scorze vuote, senza alcuna sostanza dietro.

Si è detto del rafforzamento delle relazioni militari tra Francia ed India: New Delhi, secondo la classica geopolitica mackinderiana, sta infatti riemergendo come il pilone asiatico delle potenze marittime anglosassoni in funzione anti-continentale. I tempi dell’impero britannico e delle divisioni anglo-indiane schierate dall’Egitto alla Birmania sono certamente finiti, ma Londra e Washington stanno tentando di "rivalutare" l’India per la loro strategia ricorrendo al nazionalismo hindù e, in particolare, al premier Narendra Modi: USA, Inghilterra e Francia stanno via via rafforzando la cooperazione economica-militare col sub-continente indiano in vista di una centralità sempre maggiore del settore indo-pacifico. Se i legami tra l’India e l’Occidente si intensificano, quelli tra Russia ed India si fanno sempre più rarefatti: non si dimentichi che "la marcia sull’India" era la massima ambizione degli strateghi russi durante il Grande Gioco, quando l’accesso di San Pietroburgo ai mari caldi era ostacolato proprio dagli inglesi installati nel sub-continente indiano. In direzione opposta all’India si sta ovviamente muovendo anche il Pakistan che ha partecipato insieme a Cina, Birmania, Bielorussia ed Armenia alla esercitazioni militari russe svoltesi nel Caucaso nel mese di settembre: un evento da tenere bene a mente, perché quasi certamente costituisce il primo abbozzo di coalizione militare euroasiatica. Grande significato assume anche la presenza  alle esercitazioni della Birmania/Myanmar, già recentemente esposta alla gogna mediatica per la vicenda dei Rohingya: l’ex-dominio britannico ha una rilevanza geopolitica di primo piano, in quanto attraverso il suo territorio la Cina può affacciarsi, costruendo moderne infrastrutture, all’Oceano Indiano, aggirando Singapore e lo Stretto di Malacca che certamente costituiscono una linea di difesa di primaria importanza per le potenze marittime anglosassoni.

Unito da legami economici e militari sempre più stretti con Cina e Russia (si ricordino le esercitazioni navali congiunte del dicembre 2019) è infine l’Iran: le ultime settimane del mandato di Donald Trump sono vissute con grandissima trepidazione in tutto il Medio Oriente, perché è concreto il rischio di una possibile azione militare statunitense contro l’Iran, col pretesto di distruggere i siti nucleari. L’enigmatico rifiuto di Trump di rifiutare l’esito delle elezioni che hanno decretato la vittoria dello sfidante democratico, l’accusa di brogli ed il recentissimo cambio ai vertici della Difesa statunitense potrebbero essere infatti il preludio di un blitz in Medio Oriente, così da compromettere irreparabilmente il mandato del successore. Qualora le prime settimane del 2021 dovessero segnare un’escalation della tensione in Medio Oriente, più che "colpo di testa" di Donald Trump, si dovrebbe però parlare di deliberato e scientifico tentativo angloamericano di destabilizzare l’Iran, in quanto componente sempre più importante del blocco continentale esteso a Russia e Cina. Una guerra contro l’Iran, infatti, non farebbe che esacerbare al massimo le dinamiche sullodate.

Per concludere la trattazione, è infine ormai doveroso soffermarsi anche sul Corno d’Africa che costituisce la saldatura tra Mediterraneo ed Oceano Indiano via Mar Rosso: la Cina vi sta costruendo ferrovie e dispone della base navale di Gibuti, Turchia e Russia stanno rafforzando la loro presenza navale rispettivamente in Somalia e Sudan. Nel pieno dell’epidemia di Covid-19 avevamo ipotizzato una rapida propagazione del virus nella regione data la sua sensibilità strategica: il virus si è diffuso, ma è stato eclissato nelle ultime fasi dell’anno dallo scoppio della guerra civile in Etiopia, che sta gettando il Paese in una spirale di crescente violenza. In merito al Corno d’Africa, nel settore indo-pacifico, ad un arco d’espansionismo euroasiatico "concavo", corrisponde un arco di contenimento "convesso" delle potenze marittime anglosassoni, esteso dalla Réunion francese all’Australia e incentrato sull’India. Fuori dall’Isola Mondo, merita infine un veloce richiamo l’Argentina, l’unico Paese sudamericano che, complice anche la sua geopolitica (la questione della Malvinas/Falkland), si è storicamente dimostrato incline a stringere legami con gli "sfidanti" del sistema internazionale, ossia con gli avversari delle potenze anglosassoni: ebbene, Buenos Aires è mantenuta da decenni in un costante stato di debolezza attraverso la leva finanziaria e la prospettiva di ciclici default. Italia e Spagna dovrebbero studiare con attenzione il "caso argentino", perché con gli stessi strumenti Washington, Londra e Parigi intendono assicurarsi il pieno controllo del Mediterraneo.

In conclusione, il 2021 segnerà un ulteriore salto nel conflitto tra Terra e Mare, con il consolidamento dei blocchi. Dopotutto, il planisfero non è cambiato e le forze in campo sono sempre le stesse.



Italia


Alcune carte rappresentano le nazioni. Esiste la carta chiamata Italia, in cui è raffigurata la Torre di Pisa. Non riconoscere che il termine “Italia” ha definito l’appartenenza a un territorio e alla sua storia ben prima del 1861 è una bestialità storica. Un revisionismo criminale interno a quell'operazione di svuotamento delle identità nazionali a cui assistiamo ininterrottamente dal 09/11/1989. Agli europeisti è sufficiente ricordare la cartografia antica di epoca romana, oppure la celeberrima dicitura “Ytalia” nella Basilica di San Francesco ad Assisi, costruita nel 1228 (600 anni prima). Senza contare Dante Alighieri, che al nostro Paese dedica una terzina del canto IX dell'Inferno, una del canto VI e XXX del Purgatorio ed una prestigiosa menzione nel primo canto dell’Inferno: “di quell’umile Italia fia salute/per cui morì la vergine Cammilla”. È storicamente vero che Leonardo si firmò come “fiorentino”, nulla da obiettare. Tuttavia, dato l'altissimo spessore intellettuale, non si può non credere che non avesse coscienza di quello che il Sommo Poeta avesse scritto su di noi. Era un lettore famelico e nei suoi taccuini sono stati trovati anche appunti che rimandavano all'illustre suo concittadino. Il termine Italia compare anche in diversi versi di alcuni libri dell'Eneide, scritti da Publio Virgilio Marone nel 97 a.C, per esempio nella prima metà dell'undicesimo libro dell'Eneide oppure quando la dolorosa necessità della rinuncia dell'eroe troiano, Enea, incominciata per lui ben prima dall’arrivo a Cartagine, si esprime in frasi inequivocabili: hic amor, haec patria est (v. 347), Italiam non sponte sequor (v. 361).

Il lavaggio del cervello della globalizzazione, negli anni, sta rendendo il termine “italiano” una vergogna. Quasi fosse sinonimo di chissà quali significati nefasti o peccati mortali. Occorre reagire con assoluta fermezza. Il nostro sangue ha radici troppo solide e sacre per essere svenduto a qualche ignobile lustrascarpe di Bruxelles.

L'anti-italianismo sinistrorso nelle istituzioni è il peggio dell’involuzione reazionaria. Occorre sconfiggerlo definitivamente. Con qualsiasi mezzo. Dal 1989 è foriero di una metastasi incurabile che apre a reazioni pericolosissime ed imprevedibili. Da operazioni giudiziarie volte a disintegrare margini di autonomia e creare regimi più "servizievoli" a taluni diktat financo a controffensive, iniziate con l'attentato ad Enrico Mattei, mirate a distruggere gli apparati statali in favore dell'"integrazione europea". Penso allo smantellamento dell'IRI e al ridimensionamento di Finmeccanica, Eni ed Enel ad opera dei loro comari ben piazzati in determinati posti chiave. È lui il vero primo nemico della Nazione. I pruriti immigrazionisti di Roberto Fico oggi e quelli europoidi del Quirinale a cadenza giornaliera lasciano intravedere possibili strategie sottobanco di chi vuole spingersi troppo oltre. Sono incursioni a gamba tesa di chi desidera fermare quel processo di flebile smarcamento dalla subordinazione agli organi sovranazionali, ai loro burattinai oltreoceano e alle loro quinte colonne qui da noi. Un via libera alla liquidazione di un posto in un assetto multipolare per sostituirlo con uno più incatenato alla precedente epoca politica che si aprì con la ignominiosa fine del sistema bipolare.

Occorre isolare politicamente queste schegge impazzite. Ne va delle nostre potenzialità immense. Pena l'eterno limbo della mediocrità riservato alle province, ai satelliti e alle succursali.


Corruzione


La carta "Corruzione" raffigura un paese mediorientale assediato dalle forze di occupazione ed in particolare un veicolo che sfreccia per le strade polverose trasportando merce presumibilmente illegale. Assiste alla scena un cittadino affamato che ripone nell'invasore le sue ultime, flebili, speranze di salvezza. La carta ci suggerisce che i partiti politici favorevoli alle rivoluzioni colorate atte ad "occidentalizzare" gli Stati arabi, che promuovono le missioni di pace nei Paesi mediorientali e l'immigrazione indiscriminata in Europa sono spesso ramificazioni dei centri di potere atlantici.

Più Europa ha preso (ufficialmente) 200.000 € da George Soros e un milione di euro dalla moglie, Tamika Bolton, durante la campagna elettorale di queste elezioni europee. Un altro "filantropo", tale Peter Baldwin legato a Wikimedia Foundation, ha pure contribuito con oltre 500.000 €. Esiste una situazione patrimoniale di questo partito? Quale percentuale delle spese annue è coperta da questi finanziamenti? Dal rendiconto finanziario pubblicato sul sito risulta che "a chiusura dell'esercizio sociale (30 giugno 2018), espone oneri per circa mezzo milione di euro". Sorge automatico pensare, quindi, che, indipendentemente da eventuali sfasamenti temporali fra le ingenti donazioni sbandierate ai quattro venti da Emma Bonino e Benedetto Della Vedova ieri, questa congrega di radicali vive quasi esclusivamente con i soldi della Open Society Foundation.

È troppo dire che sia eterodiretta da interessi ostili al nostro Paese e andrebbe messa al bando in quanto associazione a delinquere?

Tienanmen è stata la prova generale delle "rivoluzioni colorate" e di quella che viene definita "occidentalizzazione". Non si abbocchi al circo mediatico "sulle decine di migliaia di giovani massacrati" che andrà presto in onda sul mainstream. La difficile transizione al mondo multipolare è in costante conflitto e i poteri forti si servono anche di queste strategie subdole per alimentarlo. Pechino fa benissimo a censurare e boicottare. Quel giorno ci fu tutto l’armamentario con cui agisce l'imperialismo USA dal 09/11/1989, anche di più. Vediamo all'opera lo studente, il consueto "simbolo" utilizzato, poi sotto diverse sembianze, per incanalare la retorica dei diritti umani in un'unica direzione e legittimare l'intervento militare. C'è la National Endowment for Democracy, potente "fondazione privata no-profit" USA che con fondi forniti anche dal Congresso finanzia, apertamente o sottobanco, migliaia di ONG in oltre 90 Paesi per "far avanzare la democrazia". Vi è Gene Sharp, il teorico delle "proteste dei sacchi di plastica blu" organizzate da quei provocatori anti-governativi russi nel 2010 ai danni di Vladimir Putin. Quelle direttamente collegate alle attività “pro-dem” dell’USAID. Sono presenti le squadre organizzate dall'ambasciata statunitense per coordinare l’azione violenta degli elementi reazionari, i capitalisti emergenti che tentano di dirottare la protesta e persino le reti mafiose di Hong Kong. Il tutto alimentato attraverso la classica informazione filtrata a cui assistiamo quando ad una Nazione è vietata la libertà di riappropriarsi del proprio destino. Insomma c’è tutto quello che diventerà famoso come il “metodo Belgrado”, visto con Otpor dal 1992 in poi.

A 30 anni di distanza i tempi sono maturi per valutare positivamente l'azione pacificatrice dei carri armati dell'Armata Popolare Cinese. È un dovere morale nei confronti di quei popoli oggi in lotta per la loro sovranità nazionale. Ha evitato la distruzione totale di un Paese millenario creata dall'incoscienza di quattro pruriti borghesi.


Centro per il Controllo delle Malattie


“Come sua azione, il CDC può fornire soccorso ad una posizione devastata … Se il CDC fa un attacco diretto per distruggere un luogo, può utilizzare armi biologiche e ottenere + 15% per il suo attacco”. Non vi sembra interessante il fatto che il gioco preveda la creazione di un CDC per lanciare un attacco biologico su un determinato “Luogo”?


Descrizione del gioco

Lo scopo del gioco è di arrivare ad avere il controllo del pianeta. Ogni giocatore rappresenta uno degli Illuminati. I giocatori dovranno di volta in volta decidere fra le molteplici scelte a disposizione, che vanno dal controllo di alcuni gruppi, alla gestione del denaro, fino allo scontro. Il vincitore sarà il primo che otterrà il controllo di un certo numero di gruppi, oppure il concorrente vincerà quando avrà raggiunto l'obiettivo prefissato inizialmente (un po' come Risiko).

Il concetto fondamentale del gioco è quello di creare una mappa; infatti ciascuna carta Gruppo ha, lungo i bordi, delle frecce che indicano in quale modo possono essere create le connessioni, rendendo particolarmente strategico il piazzamento di nuovi gruppi o il loro spostamento durante il gioco. In pratica bisogna acquisire potere economico con le carte, poiché ognuna ha un valore di attacco/difesa e punti che servono per distruggere le carte altrui, possedute dagli altri giocatori. Contemporaneamente bisogna acquisire punti mentre le varie carte possono essere collegate tipo domino.

Durante il proprio turno, ogni giocatore ha la possibilità di svolgere numerose azioni, a partire dall'incasso del denaro proveniente dai vari gruppi. Ogni gruppo gestisce il proprio denaro in modo autonomo. Ogni giocatore pesca una carta, che può essere giocata in seguito, oppure può essere un nuovo gruppo che viene aggiunto alla struttura di potere.

Altre azioni consentono ai giocatori di controllare nuovi gruppi, interrompere il controllo su altri giocatori o anche distruggere determinati obiettivi. Ogni carta ha dei punti di forza differenti.

Comunque ciò che lascia perplessi, non è il gioco in sè, ma la straordinaria serie di coincidenze, tra fatti avvenuti realmente e immagini disegnate su alcune carte da gioco.


25 PUNTI per GOVERNARE IL MONDO

Amschel Mayer Rothschild, banchiere ebreo tedesco della dinastia finanziaria Rothschild (rinominato dagli ebrei dell’Europa orientale come "il pio Rothschild") nel 1773 riunì 12 influenti banchieri di Francoforte per presentare un piano, in 25 punti, per "dominare le ricchezze, le risorse naturali e la forza lavoro di tutto il mondo" e chiese loro di mettere in comune le loro risorse.

Egli svelò "come la Rivoluzione Inglese (1640-60) fosse stata organizzata e mise in risalto gli errori commessi: il periodo rivoluzionario era stato troppo lungo, l’eliminazione dei reazionari non era stata eseguita con sufficiente rapidità e spietatezza e il programmato "regno del terrore", col quale si doveva ottenere la rapida sottomissione delle masse, non era stato messo in pratica in modo efficace. Malgrado questi errori, i banchieri, che avevano istigato la rivoluzione, avevano stabilito il loro controllo sull’economia e sul debito pubblico inglese".

Rothschild mostrò che questi risultati finanziari non erano da paragonare a quelli che si sarebbero potuti ottenere con la Rivoluzione Francese, a condizione che i 12 presenti si unissero per mettere in pratica il piano rivoluzionario che egli aveva studiato.

Questi 25 punti sono:

1. Usare la violenza e il terrorismo, piuttosto che le discussioni accademiche.

2. Predicare il “Liberalismo” per usurpare il potere politico.

3. Avviare la lotta di classe.

4. I politici devono essere astuti e ingannevoli; qualsiasi codice morale lascia un politico vulnerabile.

5. Smantellare “le esistenti forze dell’ordine e i regolamenti. Ricostruzione di tutte le istituzioni esistenti.”

6. Rimanere invisibili fino al momento in cui si è acquisita una forza tale che nessun’altra forza o astuzia può più minarla.

7. Usare la Psicologia di massa per controllare le folle. “Senza il dispotismo assoluto non si può governare in modo efficiente.”

8. Sostenere l’uso di liquori, droga, corruzione morale e ogni forma di vizio, utilizzati sistematicamente da “agenti” per corrompere la gioventù.

9. Impadronirsi delle proprietà con ogni mezzo per assicurarsi sottomissione e sovranità.

10. Fomentare le guerre e controllare le conferenze di pace in modo che nessuno dei combattenti guadagni terreno, mettendo loro in uno stato di debito ulteriore e quindi in nostro potere.

11. Scegliere i candidati alle cariche pubbliche tra chi sarà “servile e obbediente ai nostri comandi, in modo da poter essere facilmente utilizzabile come pedina nel nostro gioco”.

12. Utilizzare la stampa per la propaganda al fine di controllare tutti i punti di uscita di informazioni al pubblico, pur rimanendo nell’ombra, liberi da colpa.

13. Far si che le masse credano di essere state preda di criminali. Quindi ripristinare l’ordine e apparire come salvatori.

14. Creare panico finanziario. La fame viene usata per controllare e soggiogare le masse.

15. Infiltrare la massoneria per sfruttare le logge del Grande Oriente come mantello alla vera natura del loro lavoro nella filantropia. Diffondere la loro ideologia ateo-materialista tra i “goyim” (gentili=non ebrei).

16. Quando batte l’ora dell’incoronamento per il nostro signore sovrano del Mondo intero, la loro influenza bandirà tutto ciò che potrebbe ostacolare la sua strada.

17. Uso sistematico di inganno, frasi altisonanti e slogan popolari. “Il contrario di quanto è stato promesso si può fare sempre dopo…Questo è senza conseguenze”.

18. Un Regno del Terrore è il modo più economico per portare rapidamente sottomissione.

19. Mascherarsi da politici, consulenti finanziari ed economici per svolgere il nostro mandato con la diplomazia e senza timore di esporre “il potere segreto dietro gli affari nazionali e internazionali.”

20. L’obiettivo è il supremo governo mondiale. Sarà necessario stabilire grandi monopoli, quindi, anche la più grande fortuna dei Goyim dipenderà da noi a tal punto che essi andranno a fondo insieme al credito dei loro governi il giorno dopo la grande bancarotta politica.

21. Usa la guerra economica. Deruba i “Goyim” delle loro proprietà terriere e delle industrie con una combinazione di alte tasse e concorrenza sleale.

22. Fai si che il “Goyim” distrugga ognuno degli altri; così nel mondo sarà lasciato solo il proletariato, con pochi milionari devoti alla nostra causa e polizia e soldati sufficienti per proteggere i loro interessi.

23. Chiamatelo il Nuovo Ordine. Nominate un Dittatore.

24. Istupidire, confondere e corrompere e membri più giovani della società, insegnando loro teorie e principi che sappiamo essere falsi.

25. Piegare le leggi nazionali e internazionali all’interno di una contraddizione che innanzi tutto maschera la legge e dopo la nasconde del tutto. Sostituire l’arbitrato alla legge.

Bibliografia:

Mafia e Droga, Michele Pantaleoni, Einaudi, 1966
Mafia ieri, Mafia oggi, Domenico Novacco, Feltrinelli, 1972
Breve storia della mafia, Rosario Minna, Editori Riuniti, 1984
Il Regno delle Due Sicilie e le Potenze europee, Eugenio Rienzo, Rubbettino, 2012
Atlante delle Mafie, AAVV, Rubbettino, 2013
Italia Oscura, Giovanni Fasanella e Antonella Grippo, Sperling & Kupler, 2016
Il vento della Padania, Guido Passalacqua, Mondadori, 2009
Dalla Liga alla Lega, Francesco Jori, Marsilio, 2009
Come cambiare, Gianfranco Miglio, Mondadori, 1992
Fulvio Martini, Nome in codice Ulsse, BUR, 1999

Note:

[1] https://www.youtube.com/watch?v=fFBAznZwqVg

[2] https://www.youtube.com/watch?v=yIonflXVZa8

[3] https://www.youtube.com/watch?v=Jjt7HpC6w3o4)

[4] https://www.youtube.com/watch?v=pnzZyA3JdFk

[5] https://www.youtube.com/watch?v=eg5zzjdJTU4

[6] http://www.libreidee.org/2018/10/mistero-antartide-unoasi-verde-grande-tre-volte-la-francia/

[7] https://www.youtube.com/watch?v=IFd-ttWUmJ4

[8] https://www.youtube.com/watch?v=7ZO6JPsszrY

[9] https://ncse.com/library-resource/gravity-its-only-theory

[10] https://www.repubblica.it/scienze/2010/07/15/news/gravit_non_esiste-5595002/

[11] https://www.reuters.com/article/us-nasa-tapes/moon-landing-tapes-got-erased-nasa-admits-idUSTRE56F5MK20090720
https://www.youtube.com/watch?v=WSf1byNlkB0

[12] https://vimeo.com/344177483


[13] https://www.youtube.com/watch?v=NzQP7mbrLmM

[14] https://www.youtube.com/watch?v=9ScGZCqEyGM

[15] http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1993/10/15/stragi-sequestri-un-pentito-racconta.html

[16] http://www.lastampa.it/2016/07/13/italia/cronache/omicidio-moro-in-via-fani-cera-il-boss-della-ndrangheta-antonio-nirta-XXptxclKt2nmoxZ0XveAhM/pagina.html

[17] http://www.corriere.it/anniversario-140-anni-corriere-della-sera/notizie/moro-l-ultima-verita-cutolo-4fe4fcac-3bdb-11e6-9ec4-cc8bddb9414f.shtml

[18] http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1994/06/21/fu-di-cristina-sabotare-aereo.html

[19] http://win.svimez.info/cassa/materiali/4.%20Materiali%20sulla%20Cassa%20per%20il%20Mezzogiorno/b.%20Altri%20lavori/2012%20-%20Il%20divario%20Nord-Sud%20dalle%20origini%20ad%20oggi.pdf

[20] https://www.ilmessaggero.it/video/tech/google_lancia_project_loon_palloni_aerostatici_portare_internet_ovunque-122338.html?fbclid=IwAR03rAIG8WXM1b4WEvnAtfsPzViR-UqKSGazqx42QawSRjLVdJitsTuQNkE

[21] http://europa.eu/rapid/press-release_SPEECH-92-81_en.htm

[22] http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1992/02/18/arrestato-per-concussione-il-presidente-del.html?ref=search

[23] https://www.lastampa.it/2012/08/29/italia/cronache/cosi-intervenni-per-spezzare-il-legame-tra-usa-e-mani-pulite-tTSX3uC51vAtqfACDDKGUI/pagina.html

[24] https://www.lastampa.it/2012/08/30/italia/cronache/di-pietro-mi-preannuncio-l-inchiesta-su-craxi-e-la-dc-DOydQU77k6yZcRwHkpJc9I/pagina.html

[25] Il Disubbidiente, Francesco Pazienza, Longanesi, 1999, pag. 441

[26] http://www.italiaoggi.it/giornali/dettaglio_giornali.asp?preview=false&accessMode=FA&id=1617080&codiciTestate=1

[27] http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1992/03/19/un-piano-per-destabilizzare-italia.html?ref=search

[28] http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/02/24/mafia-lettera-di-falange-armata-a-riina-chiudi-quella-maledetta-bocca/892181/

[29] http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1992/05/24/ultimo-ballo-sul-titanic.html?ref=search

[30] http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1989/05/28/europa-unita-contro-narcodollari.html

[31] http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1992/06/03/quella-reggia-sul-mare-romantica-spartana.html?ref=search

[32] http://www.corriere.it/romano/09-06-16/01.spm

[33] http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1992/07/04/battaglia-sulla-lira-ciampi-frena-assalto.html?ref=search

[34] http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1992/07/12/industria-pubblica-chiude-battenti.html?ref=search

[35] http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1992/07/15/reviglio-eni-iri-spa-si-puo.html?ref=search

[36] http://www.pierolaporta.it/dalla-chiesa-torre/

[37] http://www.repubblica.it/2009/07/sezioni/cronaca/mafia-8/bolzoni-viviano/bolzoni-viviano.html

[38] http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2011/11/01/un-uomo-del-sisde-al-castello-utveggio.html

[39] http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1992/09/15/riserve-valutarie-la-grande-emorragia.html?ref=search

[40] http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1992/09/25/vita-da-trader-tanti-miliardi-ma-niente.html?ref=search

[41] http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1992/09/18/vogliono-far-fuori-partiti-craxi-vede.html?ref=search

[42] http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1993/01/19/sono-solo-un-povero-vecchio.html?ref=search

[43] http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1993/03/28/andreotti-lei-indagato.html

[44] http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1992/03/18/andreotti-insiste-dc-nel-mirino.html?ref=search

[45] http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1993/03/31/privatizzazioni-in-frigorifero.html?ref=search

[46] http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1993/03/26/troppi-assalti-alla-nave-italia.html?ref=search

[47] http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1993/05/20/ecco-chi-freno-le-mie-privatizzazioni.html?ref=search

[48] http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1993/04/16/il-bel-paese-dove-il-si-suona.html?ref=search

[49] http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1993/04/21/referendum-anno-zero.html?ref=search

[50] http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1993/04/16/dopo-amato-addio.html?ref=search

[51] http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1993/04/28/ora-fmi-tifa-italia-rivalutate.html?ref=search

[52] http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1993/04/28/ora-fmi-tifa-italia-rivalutate.html?ref=search

[53] http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1993/05/22/craxi-torna-pronostica-verranno-altre-bombe.html?ref=search

[54] http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1993/07/29/per-intera-giornata-decine-di-falsi.html?ref=search

[55] http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1993/06/30/dismissioni-si-accelera.html?ref=search

[56] http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1993/07/01/lo-stato-padrone-vende-davvero.html?ref=search

[57] http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1992/06/03/quella-reggia-sul-mare-romantica-spartana.html?ref=search

[58] http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1993/07/25/lo-stato-vende.html?ref=search

[59] http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1993/05/11/ruini-difende-la-dc-cristiani-siate.html?ref=search

[60] http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1993/07/29/mancino-sempre-lo-stesso-esplosivo.html?ref=search

[61] http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/06/25/trattativa-lex-capo-dei-servizi-fulci-la-falange-chiamava-dalle-sedi-sismi-alcuni-007-usavano-esplosivi/1813429/

[62] http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1993/08/08/granelli-privatizzate-pure-io-faro-tante-interrogazioni.html?ref=search

[63] http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1993/09/16/comit-credit-prodi-spinge-sull-acceleratore.html?ref=search

[64] http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1993/10/06/ciampi-ha-fretta-di-vendere.html?ref=search

[65] http://www.repubblica.it/online/cronaca/olimpico/olimpico/olimpico.html

[66] http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1993/12/30/stato-venditore-primi-conti.html?ref=search

[67] http://www.repubblica.it/politica/2016/11/27/news/lega_bossi_chiede_congresso_base_stufa_salvini-152955314/

[68] http://www.corriere.it/politica/17_marzo_14/bossi-la-lega-nazionale-morira-1392067c-082d-11e7-b69d-139aae957b51.shtml

[69] http://www.ilgiornale.it/news/politica/attacco-frontale-bossi-segretario-secessione-resto-sono-1308152.html

[70] http://www.lastampa.it/2012/08/30/italia/cronache/di-pietro-mi-preannuncio-l-inchiesta-su-craxi-e-la-dc-DOydQU77k6yZcRwHkpJc9I/pagina.html

[71] http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1989/06/01/miglio-ha-una-proposta-dieci-anni-senza.html?ref=search

[72] http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1991/01/30/gli-economisti-di-bossi-credono-nella-thatcher.html?ref=search

[73] http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1992/12/31/ma-se-la-casa-italia-crolla.html?ref=search

[74] http://www1.adnkronos.com/Archivio/AdnAgenzia/1993/10/15/Politica/LEGA-NORD-DAL-18-VISITA-ALLA-NATO-POI-NEGLI-USA_130800.php

[75] http://www.corriere.it/politica/17_marzo_14/bossi-la-lega-nazionale-morira-1392067c-082d-11e7-b69d-139aae957b51.shtml

[76] https://www.nytimes.com/reuters/2018/12/05/business/05reuters-britain-eu-jpmorgan.html

[77] https://www.france24.com/fr/20181109-france-trump-macron-armee-europeenne-otan-defense-chine-russie

[78] https://www.presstv.com/DetailFr/2018/11/23/580903/China-to-resume-imports-of-oil-from-Iran-soon

[79] http://www.lesechos.fr/economie-france/social/021512063207-chomage-tres-fort-rebond-en-octobre-1179023.php

[80] http://www.reuters.com/article/2015/10/13/us-mideast-crisis-iraq-russia-iran-idUSKCN0S71JC20151013#sbbvWCx9Mu1bI2ci.97

[81] http://www.washingtontimes.com/news/2015/nov/25/michael-morell-former-cia-chief-says-environmental/

[82] http://www.milanofinanza.it/news/italia-a-un-passo-dalla-deflazione-201511301134231677

[83] http://www.reuters.com/article/2015/11/29/us-mideast-crisis-germany-idUSKBN0TI0GA20151129#a98FrxLlv3ApabSu.97

[84] http://www.independent.co.uk/news/uk/politics/david-cameron-hails-10000-rapid-strike-brigade-troops-as-helping-britain-shape-world-events-a6745246.html

[85] http://www.theguardian.com/world/2015/nov/22/terrorists-planned-three-bombs-german-stadium-hanover

[86] http://www.ft.com/intl/cms/s/2/201f9a32-8b72-11e5-8be4-3506bf20cc2b.html#axzz3sy5qGNft

[87] http://carnegieeurope.eu/strategiceurope/?fa=62118

[88] https://www.rt.com/news/323431-saved-pilot-turkish-su24/

[89] http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/11/25/siria-turchia-abbatte-caccia-russo-tre-giorni-prima-mosca-aveva-bombardato-il-petrolio-di-isis-con-cui-ankara-fa-affari/2252068/

[90] http://www.nationalia.info/new/10659/russia-ukraine-tension-mounts-again-crimean-tatars-in-the-midst

[91] http://www.reuters.com/article/2015/11/22/us-ukraine-crisis-crimea-electricity-idUSKCN0TB04920151122#lFAgYJPK3g4S7beh.97

[92] http://www.reuters.com/article/2015/11/30/us-ukraine-crisis-crimea-idUSKBN0TJ1KD20151130#SiyAkAURtTu4KQoa.97

[93] http://sputniknews.com/world/20151126/1030796887/turkish-stream-russia.html

[94] http://www.reuters.com/article/2015/11/26/us-mideast-crisis-syria-strikes-idUSKBN0TF1RQ20151126

[95] http://www.todayszaman.com/national_soldier-killed-in-rocket-attack-in-derik-as-curfew-enters-5th-day_405689.html

[96] http://www.politico.com/story/2013/06/syria-no-fly-zone-092766

[97] http://www.debka.com/article/25048/Russian-S-400-missiles-turn-most-of-Syria-into-no-fly-zone-halt-US-air-strikes-

[98] http://www.express.co.uk/news/world/610286/China-preparing-to-team-up-with-Russia-in-Syria-Boost-for-Putin-in-battle-against-ISIS

[99] http://www.channel4.com/news/assad-us-led-airstrikes-in-syria-are-counter-productive

[100] http://www.agi.it/estero/notizie/isis_gelo_usa_iraq_baghdad_collaboriamo_con_russia_iran_siria-201509270319-est-rt10007

[101]
https://en.wikipedia.org/wiki/Bunger_Hills

[102] http://tass.com/politics/1040290

[103] https://www.reuters.com/article/us-germany-usa-russia-pipeline-idUSKCN1P70FR

[104] https://www.aljazeera.com/news/2019/01/rejects-russia-offer-save-key-missile-treaty-190117061720076.html

[105] https://www.lastampa.it/2019/02/02/esteri/trump-sfida-putin-via-dal-trattato-sui-missili-nucleari-nVgJFuztTF1yG9iXMOjGXI/pagina.html

[106] https://www.lastampa.it/2019/01/15/esteri/nato-il-presidente-trump-ha-pensato-di-ritirarsi-dallalleanza-atlantica-IKJ81oGyrECFLLYN9DSb2K/pagina.html

[107] http://www.oliodipalmasostenibile.it/olio-di-palma-ambiente/

[108] https://www.amnesty.it/marchi-usano-olio-palma-beneficiano-del-lavoro-minorile-forzato/

[109] http://www.repubblica.it/ambiente/2018/02/16/news/la_silenziosa_strage_degli_oranghi_100mila_uccisi_in_sedici_anni_-189011820/

[110] https://www.huffingtonpost.it/tag/olio-di-palma/

[111] http://www.greenpeace.org/italy/it/News1/blog/dopo-gli-incendi-ecco-lolio-di-palma/blog/54692/

[112] http://www.wwf.it/news/?4262/insostenibilita-olio-di-palma

[113] http://salute24.ilsole24ore.com/articles/18734

[114] https://www.indexmundi.com/agriculture/?country=eu&commodity=palm-oil&graph=domestic-consumption

[115] https://www.reuters.com/article/malaysia-palmoil-eu/update-1-indonesia-malaysia-condemn-european-move-to-limit-palm-oil-use-idUSL3N1PD2YR

[116] https://www.indonesia-investments.com/business/commodities/palm-oil/item166?

[117] http://cleanmalaysia.com/2015/12/09/just-how-big-is-malaysias-palm-oil-industry/

[118] https://www.reuters.com/article/us-malaysia-palmoil-politics/months-away-from-malaysian-election-eus-move-stirs-discontent-in-palm-groves-idUSKCN1G007R

[119] http://www.businessinsider.com/maps-oil-trade-choke-points-person-gulf-and-east-asia-2017-4?IR=T

[120] https://www.railway-technology.com/features/featurechina-turns-malaysias-east-coast-rail-link-into-reality-5938409/

[121] http://www.abc.net.au/news/2017-07-13/indonesias-ban-on-extremist-organisations-condemned/8703848

[122] https://www.bloomberg.com/news/articles/2018-01-25/indonesia-seeks-to-plug-157-billion-gap-in-nation-building-plan

[123] http://www.repubblica.it/esteri/2016/04/06/news/_ecco_chi_ha_ucciso_giulio_l_accusa_anonima_ai_vertici_che_svela_tre_dettagli_segreti-136996781/http://www.repubblica.it/esteri/2017/01/25/news/regeni_anniversario-156820716/

[124] http://www.repubblica.it/esteri/2016/02/06/news/le_ultime_ore_di_giulio_regeni_preso_in_piazza_dalla_polizia_-132830252/

[125] http://www.agi.it/cronaca/2016/09/08/news/regeni_pm_roma_rinnovano_richiesta_traffico_celle_telefoniche-1064105/

[126] http://www.repubblica.it/esteri/2016/02/18/news/_verita_per_giulio_regeni_uno_striscione-133732696/

[127] http://www5.ansa.it/ansamed/it/notizie/rubriche/energia/2016/12/12/energia-eni-vende-a-rosneft-30-shorouk-per-1125-mld-dlr_24da0db5-ac9e-46f4-936e-0ed694e3efff.html

[128] http://www.gazprom.com/press/news/2011/february/article109011/

[129] http://www.corriere.it/esteri/16_febbraio_09/regeni-clienti-hacking-team-c-era-anche-l-egitto-4bb0c930-cf3f-11e5-a78b-52d074ea1480.shtml

[130] https://www.lastampa.it/2016/04/07/tecnologia/news/lombra-di-hacking-team-sullomicidio-regeni-q3ZPB0DAkoGYvp8lAuO00K/pagina.html

[131] http://www.linkiesta.it/it/article/2015/07/13/hacking-team-tutti-i-numeri-del-colosso-ferito/26668/

[132] https://www.wired.com/2015/07/fbi-spent-775k-hacking-teams-spy-tools-since-2011/

[133] http://www.linkiesta.it/it/article/2015/07/13/hacking-team-tutti-i-numeri-del-colosso-ferito/26668/

[134] https://www.privacyinternational.org/node/147

[135] https://www.focus.it/scienza/spazio/antica-roccia-terrestre-luna-apollo-14#.XG2pK0w8hp4.facebook

[136] https://www.nzherald.co.nz/business/news/article.cfm?c_id=3&objectid=10431119

[137] https://rep.repubblica.it/pwa/generale/2018/01/18/news/scalfari_la_mia_non_e_vanita_e_de_benedetti_non_ha_fondato_questo_giornale_-186788208/

[138] http://www.ilsole24ore.com/art/mondo/2016-02-05/il-mistero-cargo-fantasma-porta-i-terroristi-mediterraneo–172835.shtml?uuid=

[139] http://www.carnegiecouncil.org/publications/articles_papers_reports/0087.html

[140] https://www.ilfattoquotidiano.it/2013/08/18/egitto-pro-morsi-tornano-in-piazza-ue-rivedere-rapporti/685906/

[141] http://knoema.com/atlas/Egypt/topics/Tourism/Travel-and-Tourism-Total-Contribution-to-GDP/Total-Contribution-to-GDP-percent-share

[142] http://www.defensenews.com/story/defense/2015/11/24/egypt-russia-negotiating-missile-sale/76330914/

[143] http://www.reuters.com/article/us-nuclear-russia-egypt-idUSKCN0T81YY20151119

[144] http://www.reuters.com/article/us-egypt-china-idUSKCN0UZ05I

[145] http://www.infomercatiesteri.it/scambi_commerciali.php?id_paesi=101

[146] http://www.lastampa.it/2015/07/12/esteri/con-al-sisi-rapporti-pi-stretti-e-gli-scambi-italiaegitto-volano-fO4miVkMmO4XhTocIQOVkL/pagina.html

[147] http://www.eni.com/it_IT/media/comunicati-stampa/2015/08/Eni-scopre_offshore_egiziano_il_piu_grande_giacimento_gas_mai_rinvenuto_nel_Mediterraneo.shtml

[148] http://www.repubblica.it/esteri/2016/02/04/news/egitto_procura_giza_su_corpo_di_regeni_chiari_segni_di_torture_e_percosse-132694941/

[149] https://www.opendemocracy.net/author/giuseppe-acconcia

[150] Colonia Italia, Mario Cereghino e Giovanni Fasanella, Edizione Chiarelettere, 2015

[151] http://www.ilgiornale.it/news/mondo/i-servizi-segreti-smentiscono-regeni-non-era-agente-1220820.html

[152] http://www.repubblica.it/esteri/2016/02/08/news/giulio_regeni-132942342/

[153] http://www.repubblica.it/esteri/2016/02/06/news/giulio_regeni_la_pista_dei_detective_italiani_ucciso_per_le_sue_idee_-132818256/

[154] http://www.corriere.it/esteri/16_febbraio_08/regeni-l-egitto-polizia-non-coinvolta-non-mai-stato-arrestato-d3d4e7c4-ce86-11e5-8ee6-9deb6cd21d82.shtml

[155] http://www.corriere.it/cronache/16_febbraio_07/regeni-morto-la-torsione-collo-frattura-cervicale-midollo-leso-alfano-fatto-inumano-animalesco-30e2859c-cd8e-11e5-9bb8-c57cba20e8ac.shtml

[156] http://www.ilsecoloxix.it/p/mondo/2016/02/08/ASeQG8UB-arrestato_allusioni_respingiamo.shtml

[157] http://www.agi.it/economia/2016/02/03/news/egitto_al_sisi_incontra_guidi_italia_investa_da_noi_-484308/

[158] http://messaggeroveneto.gelocal.it/udine/cronaca/2016/02/03/news/la-farnesina-probabile-un-tragico-epilogo-per-giulio-regeni-1.12891240

[159] http://www.repubblica.it/esteri/2016/02/06/news/le_ultime_ore_di_giulio_regeni_preso_in_piazza_dalla_polizia_-132830252/

[160] http://www.corriere.it/esteri/16_febbraio_05/italiano-ucciso-egitto-dove-regime-reprime-oppositori-0120d37e-cb8e-11e5-9200-b61ee59246a7.shtml

[161] http://www.ilsole24ore.com/art/mondo/2016-02-07/il-vero-volto-dell-egitto-che-nessuno-vuole-vedere-160435.shtml?uuid=ACFjhYPC

[162] http://www.internazionale.it/notizie/2016/02/08/egitto-italia-affari-regeni

[163] http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/02/07/egitto-le-testimonianze-torture-nelle-carceri-di-al-sisi-elettroschock-e-abusi-sessuali-hrw-peggio-di-mubarak/2440453/

[164] http://www.repubblica.it/esteri/2016/02/08/news/giulio_regeni-132942342/

[165] http://www.repubblica.it/esteri/2016/02/06/news/giulio_regeni_la_pista_dei_detective_italiani_ucciso_per_le_sue_idee_-132818256/

[166] http://ilmanifesto.info/la-famiglia-regeni-con-il-manifesto-caso-chiuso-le-priorita-sono-altre/

[167] http://ilmanifesto.info/in-egitto-la-seconda-vita-dei-sindacati-indipendenti/

[168] http://www.repubblica.it/esteri/2016/02/05/news/caso_regeni_l_appello_degli_attivisti_non_venite_in_egitto_-132776297/

[169] http://www.theguardian.com/world/2016/feb/08/egypt-must-look-into-all-reports-of-torture-not-just-the-death-of-giulio-regeni

[170] http://www.askanews.it/esteri/regeni-obama-a-mattarella-usa-pronti-a-collaborare-per-verita_711729642.htm

[171] http://www.ilgiornale.it/news/mondo/i-servizi-segreti-smentiscono-regeni-non-era-agente-1220820.html

[172] http://www.leeds.ac.uk/arts/coursefinder/21617/BA_Arabic_and_Politics

[173] http://www.polis.cam.ac.uk/about-us/news/giulio-regeni-1988-2016

[174] https://www.lastampa.it/2016/02/16/esteri/regeni-a-londra-lavor-per-unazienda-dintelligence-Ue3kZmmArej9wuMH279t5J/pagina.html

[175] https://dailybrief.oxan.com/Analysis/DB209756/New-de-facto-states-could-reshape-the-Middle-East

[176] http://www.eni.com/it_IT/media/comunicati-stampa/2015/08/Eni-scopre_offshore_egiziano_il_piu_grande_giacimento_gas_mai_rinvenuto_nel_Mediterraneo.shtml

[177] http://www.repubblica.it/esteri/2016/03/03/news/_regime_di_torturatori_ecco_il_libro-denuncia_su_cui_lavorava_regeni-134667533/

[178] http://www.ilgazzettino.it/nordest/udine/ecco_ultimo_articoli_sugli_scioperi_egitto_firmato_da_giulio_regeni-1531964.html

[179] http://www.repubblica.it/esteri/2016/02/11/news/regeni_fu_fotografato_ad_assemblea_era_impaurito-133208385/

[180] http://www.adnkronos.com/fatti/esteri/2016/03/01/regeni-egitto-interrogato-torturato-per-giorni_u9MeDju8CViqUqvGtDfxTI.html

[181] http://www.nytimes.com/2016/02/13/world/middleeast/giulio-regeni-egypt-killing.html?_r=0

[182] http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2016/02/13/giulio-regeni-fonti-egiziane-a-nyt-fu-preso-dalla-polizia_32b2a54f-8acb-40c5-a9c0-9c6c90f23b29.html

[183] http://www.repubblica.it/esteri/2016/02/04/news/egitto_procura_giza_su_corpo_di_regeni_chiari_segni_di_torture_e_percosse-132694941/

[184] http://www.repubblica.it/esteri/2016/02/06/news/le_ultime_ore_di_giulio_regeni_preso_in_piazza_dalla_polizia_-132830252/

[185] http://linkis.com/bit.ly/viCr5

[186] http://www.repubblica.it/esteri/2016/02/18/news/_verita_per_giulio_regeni_uno_striscione-133732696/

[187] http://roma.corriere.it/notizie/cronaca/16_febbraio_25/verita-regeni-mese-sit-davanti-all-ambasciata-d-egitto-de28c30a-dbe5-11e5-b9ca-09e1837d908b.shtml

[188] https://www.amnesty.org/en/latest/news/2015/12/egypt-child-raped-with-wooden-stick-by-police-officers-must-be-released/

[189] http://www.amnesty.it/Omicidio-Regeni-Amnesty-International-scrive-a-Farnesina-ed-Eni

[190] http://www.ilfoglio.it/articoli/2014/05/08/manconi-stai-sereno___1-v-105341-rubriche_c226.htm

[191] http://www.huffingtonpost.it/luigi-manconi/caso-regeni-richiamare-lambasciatore-e-il-minimo_b_9364496.html?utm_hp_ref=italy

[192] http://ilmanifesto.info/giulio-regeni-e-il-dovere-di-denunciare/

[193] http://www.ilfoglio.it/politica/2016/02/19/regeni-caro-renzi-per-risarcire-la-memoria-di-regeni-italia-riconosca-il-reato-di-tortura-lettera-apera-di-adriano-sofri___1-v-138505-rubriche_c424.htm

[194] https://www.youtube.com/watch?v=WMTstuZYzic

[195] http://www.theguardian.com/world/2005/sep/30/russia.chechnya

[196] http://news.sky.com/story/1645573/russia-guilty-of-syria-war-crimes-says-amnesty

[197] http://www.amnestyusa.org/news/press-releases/margaret-huang-named-amnesty-usa-s-deputy-executive-director-of-campaigns-and-programs

[198] http://www.amnestyusa.org/sites/default/files/pdfs/ai_annualreport_with_financials_2010.pdf

[199] http://www.amnestyusa.org/pdfs/ai_annualreport2011.pdf

[200] http://www.fulviogrimaldicontroblog.info/profilo.asp

[201] Il segreto di Piazza Fontana, Paolo Cucchiarelli, Edizione Ponte delle Grazie, 2009, pagina 600

[202] http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1988/09/18/adesso-marino-non-ricorda-forse-pisa.html

[203] Il segreto di Piazza Fontana, Paolo Cucchiarelli, Edizione Ponte delle Grazie, 2009, pagina 613

[204] http://www.theguardian.com/world/2016/feb/08/egypt-must-look-into-all-reports-of-torture-not-just-the-death-of-giulio-regeni

[205] https://www.youtube.com/watch?v=_zMmQfzIt6g

[206] http://www.corriere.it/cronache/16_febbraio_27/casini-senza-risposte-vere-f276b612-dd9a-11e5-8232-4d06db738c6b.shtml

[207] http://www.iltempo.it/adn-kronos/2016/03/29/egitto-boccia-su-regeni-il-cairo-ammetta-errore-e-chieda-scusa-1.1523535?localLinksEnabled=false

[208] http://messaggeroveneto.gelocal.it/udine/cronaca/2016/02/20/news/casson-al-governo-l-italia-pretenda-la-verita-su-regeni-1.12990750

[209] http://www.iltempo.it/esteri/2016/02/21/giulio-regeni-un-segnale-a-renzi-quel-cadavere-tra-eni-e-al-sisi-1.1511297

[210]http://www.repubblica.it/esteri/2016/03/29/news/egitto_omicidio_regeni_conferenza_stampa_dei_genitori_al_senato-136489175/

[211]http://www.repubblica.it/esteri/2016/03/29/news/egitto_omicidio_regeni_conferenza_stampa_dei_genitori_al_senato-136489175/

[212] http://www.repubblica.it/esteri/2016/03/30/news/caso_regeni_l_italia_pensa_a_sanzioni_e_black_list_verso_l_egitto-136523646/

[213] http://www.repubblica.it/esteri/2016/03/01/news/giulio_l_eni_ai_genitori_noi_al_vostro_fianco_per_scoprire_la_verita_-134527018/

[214] http://www.repubblica.it/esteri/2016/04/06/news/_ecco_chi_ha_ucciso_giulio_l_accusa_anonima_ai_vertici_che_svela_tre_dettagli_segreti-136996781/?ref=HREA-1

[215] http://www.huffingtonpost.it/2016/04/06/giulio-regeni-colpevole-khaled-shalaby_n_9621954.html

[216] http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/africa/2016/04/06/-libia-tripoli-lascia-e-cede-potere-a-governo-sarraj-_e1b730d0-ea54-424c-96d1-de6fcf224596.html

[217] http://www.askanews.it/minaccia-isis/libia-dopo-la-noc-anche-la-banca-centrale-da-sostegno-a-serraj_711776052.htm

[218] https://www.lastampa.it/2015/03/13/esteri/renzi-al-forum-economico-di-sharm-el-sheikh-sosteniamo-legitto-nella-lotta-al-terrorismo-b82B0CprtJze5QOWeSoRuO/pagina.html

[219]http://www.agenzianova.com/a/57035c2dcc0507.97894942/1327267/2016-04-05/libia-esercito-haftar-avanza-su-sirte-e-conquista-postazioni-stato-islamico/linked

[220] http://www.affaritaliani.it/esteri/egitto-francia-hollande-al-cairo-firmati-30-accordi-417679.html

[221] https://www.lastampa.it/2016/04/18/esteri/il-vice-della-merkel-in-egitto-elogia-al-sisi-straordinario-ateTeb8MOjR01KO95UnbyJ/pagina.html

[222] http://www.corriere.it/cronache/16_maggio_10/maurizio-massari-nominato-rappresentante-dell-italia-europa-posto-calenda-55f25980-16da-11e6-a3a2-ca09c5452a5d.shtml

[223] http://www.ansamed.info/ansamed/it/notizie/rubriche/ministero/2013/01/23/Italia-Egitto-Maurizio-Massari-nuovo-ambasciatore-Cairo_8124692.html

[224] http://www.ambilcairo.esteri.it/ambasciata_ilcairo/it/ambasciata/ambasciatore/ambasciatore.html

[225] http://www.ediesseonline.it/catalogo/saggi/le-rivoluzioni-della-dignita

[226] http://www.corriere.it/esteri/16_febbraio_11/regeni-l-allarme-servizi-era-partito-notte-sequestro-3e8793ea-d04f-11e5-b46f-b6e34893b4a5.shtml

[227] http://www.mq.edu.au/about_us/faculties_and_departments/faculty_of_arts/mhpir/staff/staff-politics_and_international_relations/professor_stephanie_lawson/gennaro_gervasio/

[228] http://www.blitzquotidiano.it/cronaca-italia/giulio-regeni-gennaro-gervasio-e-i-40-minuti-di-buco-nero-2383135/

[229] https://www.youtube.com/watch?v=_zMmQfzIt6g

[230] http://www.blitzquotidiano.it/cronaca-italia/giulio-regeni-gennaro-gervasio-e-i-40-minuti-di-buco-nero-2383135/

[231] http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/massari-intervento-sisi-smosse-ritrovamento-corpo-giulio-regeni-obitorio-scena-drammatica-credibilita-egitto-5f534f78-e1aa-495e-82cd-e18200a15287.html

[232] http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Forum-economico-Sharm-El-Sheik-renzi-sosteniamo-egitto-in-lotta-a-terrorismo-f7174119-49fb-48dc-b77d-02de6dd680a2.html

[233] http://www.repubblica.it/esteri/2016/02/24/news/l_allarme_la_casa_bianca_agiremo_ogni_volta_che_verra_individuata_una_minaccia_diretta_renzi_roma_fara_la_sua_parte_-134100071/

[234] http://www.corriere.it/esteri/16_marzo_04/a-voi-guida-libia-intervista-ambasciatore-americano-phillips-6ecafa6a-e184-11e5-86bb-b40835b4a5ca.shtml

[235] http://www.repubblica.it/esteri/2016/02/24/news/le_monde_francia_conduce_operazioni_segrete_in_libia_-134124339/

[236] http://www.ansa.it/sito/notizie/topnews/2016/05/16/libia-gentiloni-coinvolgere-haftar_ed2c6545-ee9d-49e0-a919-a205262ae581.html

[237] http://espresso.repubblica.it/inchieste/2016/06/07/news/caso-regeni-anche-la-facolta-di-cambridge-sceglie-di-non-collaborare-1.269973

[238] http://www.devstudies.cam.ac.uk/news/giulio-regeni-1988-2016

[239] http://www.radiopopolare.it/2016/02/giulio-regeni-aveva-paura-per-la-sua-incolumita/

[240] http://www.asianews.it/notizie-it/La-libert%C3%A0-%C3%A8-il-pi%C3%B9-grande-nemico-del-fondamentalismo-islamico-21782.html

[241] http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2016/02/22/giulio-non-era-in-pericolo-per-colpa-nostra15.html

[242] https://www.youtube.com/watch?v=_zMmQfzIt6g

[243] https://www.opendemocracy.net/5050/maha-abdelrahman/egyptian-opposition-from-protestors-to-revolutionaries

[244] http://www.polis.cam.ac.uk/Staff_and_Students/dr-maha-abdelrahman

[245] https://antipodefoundation.org/scholar-activist-project-awards/

[246] http://www.avvenire.it/Cronaca/Pagine/regeni-indagini-funerali.aspx

[247] http://www.mq.edu.au/about_us/faculties_and_departments/faculty_of_arts/mhpir/staff/staff-politics_and_international_relations/professor_stephanie_lawson/gennaro_gervasio/

[248] http://www.askanews.it/esteri/regeni-nyt-fu-prelevato-da-agenti-polizia-lo-ritenevano-spia_711734506.htm

[249] http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/caso-regeni-sms-inediti-delusione-famiglia-atteggiamento-professori-giulio-5473b01c-882c-4f47-9d46-741a2502592c.html?refresh_ce

[250] http://www.ansamed.info/ansamed/it/notizie/rubriche/ministero/2013/01/23/Italia-Egitto-Maurizio-Massari-nuovo-ambasciatore-Cairo_8124692.html

[251] http://www.corriere.it/esteri/16_febbraio_11/regeni-l-allarme-servizi-era-partito-notte-sequestro-3e8793ea-d04f-11e5-b46f-b6e34893b4a5.shtml

[252] http://www.repubblica.it/esteri/2016/03/24/news/egitto_5_uccisi_polizia_legati_a_omicidio_regeni-136219764/

[253] http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/caso-regeni-sms-inediti-delusione-famiglia-atteggiamento-professori-giulio-5473b01c-882c-4f47-9d46-741a2502592c.html?refresh_ce

[254] http://www.huffingtonpost.it/luigi-manconi/caso-regeni-richiamare-lambasciatore-e-il-minimo_b_9364496.html

[255] http://espresso.repubblica.it/attualita/2016/06/06/news/caso-regeni-il-discorso-della-madre-a-cambridge-per-la-commemorazione-di-giulio-1.269774

[256] http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2016-06-08/cambridge-gli-studi-regeni-sono-segreti-063814.shtml?uuid=ADXYmAY

[257] http://www.repubblica.it/esteri/2016/03/16/news/amnesty_regeni-135631279/

[258] http://www.amnesty.it/verita-per-giulio-regeni-marchesi-tante-adesioni-ora-necessario-passo-avanti-da-parte-dell-italia

[259] http://www.repubblica.it/esteri/2016/04/08/news/caso_regeni_incontro_secondo_giorno-137167603/

[260] http://www.repubblica.it/esteri/2016/06/09/news/la_faida_tra_servizi_dietro_la_fine_di_regeni_accanto_al_corpo_una_coperta_militare-141606948/

[261] https://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2017-05-14/gentiloni-cina-l-italia-puo-essere-protagonista-nuova-via-seta-152407.shtml?uuid=AEaKmFMB

[262] https://www.cbsnews.com/news/why-were-un-diplomats-laughing-at-trump/

[263] https://www.handelsblatt.com/today/companies/the-freight-game-how-china-put-duisburg-back-on-the-trade-map/23583018.html?ticket=ST-2521982-jnf7psa5IeR5WyBC7jBQ-ap5

[264] https://www.theguardian.com/world/2019/mar/15/venezuela-no-electricity-medicine-or-hope-despair-rules-in-maracaibos-hospitals

[265] https://www.repubblica.it/esteri/2019/03/14/news/venezuela_blacjout_finito_riprendono_l_attivita_-221497773/

[266] https://www.reuters.com/article/us-venezuela-politics-china/china-offers-help-to-venezuela-to-restore-power-idUSKBN1QU0ZM

[267] https://www.bloomberg.com/news/articles/2019-04-22/sri-lanka-searches-for-answers-after-easter-blasts-kill-hundreds

[268] https://www.reuters.com/article/imf-sri-lanka/update-1-sri-lankan-economy-remains-vulnerable-due-to-high-debt-imf-idUSL4N1QR4UR

[269] https://foreignpolicy.com/2018/03/21/is-abdulla-yameen-handing-over-the-maldives-to-china/

[270] https://www.reuters.com/article/us-sri-lanka-china-port/sri-lanka-to-shift-naval-base-to-china-controlled-port-city-idUSKBN1JS22H

[271] http://www.chinadaily.com.cn/a/201902/06/WS5c5ad0c3a3106c65c34e847a.html

[272] https://economictimes.indiatimes.com/news/defence/sri-lanka-rejects-us-claims-says-no-chinese-military-base-at-port/articleshow/66163389.cms?from=mdr

[273] https://www.bbc.com/news/business-48173020

[274] https://it.reuters.com/article/companyNews/idUKKBN1JI1YF

[275] https://www.france24.com/en/20190409-usa-threatens-tariffs-eu-goods-over-airbus-subsidies

[276] http://www.reuters.com/article/2015/09/18/us-usa-volkswagen-idUSKCN0RI1VK20150918

[277] http://www.vrworld.com/2015/07/16/volkswagen-of-america-reports-june-sales-gaining-5-6-over-2014/

[278] http://www.ansa.it/motori/notizie/rubriche/mobilita/2013/12/11/Usa-consumi-auto-sono-calati-23-6-anni_9759662.html

[279] http://uk.businessinsider.com/credit-suisse-volkswagen-shares-could-fall-another-20-2015-10

[280] http://www.usatoday.com/story/money/cars/2015/10/01/volkswagen-sales-struggle-scandal-affects-customer-perception/73145740/

[281] http://www.wsj.com/articles/bp-agrees-to-pay-18-7-billion-to-settle-deepwater-horizon-oil-spill-claims-1435842739

[282] http://www.reuters.com/article/2014/02/13/us-autos-gm-recall-idUSBREA1C0SJ20140213

[283] http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/04/14/richiamo-general-motors-gia-84-morti-risarcite-per-colpa-molla-56-cent/1590328/

[284] http://www.nbcnews.com/storyline/gm-recall/gm-pay-feds-record-35-million-fine-over-deadly-ignition-n107106

[285] http://www.ft.com/intl/cms/s/0/d0d7ba40-6394-11e5-9846-de406ccb37f2.html#axzz3nV1pF3tZ

[286] http://www.motori24.ilsole24ore.com/Industria-Protagonisti/2015/09/limiti-industria-inutili.php

[287] http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/04/12/kohl-fui-dittatore-ma-referendum-sulleuro-non-sarebbe-mai-passato/558139/

[288] http://www.repubblica.it/economia/2015/03/09/news/la_corte_ue_conferma_lo_stop_alla_fusione_tra_deutsche_boerse_e_wall_street-109101576/

[289] http://www.ft.com/intl/cms/s/0/e2492a3a-3d7a-11e3-9928-00144feab7de.html#axzz3nV1pF3tZ

[290] http://www.ft.com/intl/cms/s/0/e2492a3a-3d7a-11e3-9928-00144feab7de.html#axzz3nV1pF3tZ

[291] http://www.romanoprodi.it/articoli/larroganza-tedesca-il-cambiamento-inglese-la-svolta-usa-russia-e-litalia-che-non-ha-ruolo_11989.html

[292] http://notizie.tiscali.it/ultimora/feeds/15/09/30/t_121_20150930_EST_TN01_0153.html?esteri

[293] http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/ContentItem-8fd6e5ba-84ec-4121-9efa-10773622d930.html

[292] http://www.bbc.com/news/world-europe-36872112

[293] http://www.timesofisrael.com/ex-congresswoman-claims-israel-behind-european-massacres/

[294] http://tempsreel.nouvelobs.com/societe/attaque-de-nice/20160720.OBS4966/attentat-de-nice-les-6-questions-polemiques-apres-l-attaque.html

[295] http://www.lemonde.fr/les-decodeurs/article/2016/07/16/attentat-de-nice-une-video-manipulee-fait-croire-que-le-terroriste-a-ete-capture-vivant_4970688_4355770.html

[296] http://www.bfmtv.com/societe/attentat-de-nice-deux-hommes-places-en-garde-a-vue-lundi-1019594.html

[297] http://www.lemonde.fr/societe/article/2016/07/22/nice-cinq-suspects-mis-en-examen-pour-association-de-malfaiteurs-terroriste-criminelle_4972976_3224.html

[298] http://www.lemonde.fr/societe/article/2016/07/21/attentat-de-nice-mohamed-lahouaiej-bouhlel-semble-avoir-muri-son-projet-criminel-plusieurs-mois-avant-l-attaque_4972918_3224.html

[299] http://www.lemonde.fr/police-justice/article/2016/07/24/nice-cazeneuve-porte-plainte-pour-diffamation-apres-les-accusations-d-une-policiere-municipale_4974023_1653578.html

[300] https://www.youtube.com/watch?v=RAC6TCzxZso

[301] https://www.youtube.com/watch?v=qktht59mQoo&list=FL1szrWAbnvzNAFHGnEaVXyA

[302] http://www.lemonde.fr/les-decodeurs/article/2016/07/16/attentat-de-nice-une-video-manipulee-fait-croire-que-le-terroriste-a-ete-capture-vivant_4970688_4355770.html

[303] http://lci.tf1.fr/france/faits-divers/un-policier-raconte-la-neutralisation-de-mohamed-lahouaiej-8766945.html

[304] https://www.youtube.com/watch?v=lJV-XeGp_Ns

[305] http://www.lefigaro.fr/actualite-france/2016/07/21/01016-20160721ARTFIG00225-attentat-de-nice-quand-la-justice-demande-a-la-mairie-de-detruire-24-heures-d-images.php

[306] https://www.youtube.com/watch?v=lJV-XeGp_Ns

[307] https://www.youtube.com/watch?v=btfah9fgceE

[306] http://www.lefigaro.fr/actualite-france/2016/07/14/01016-20160714LIVWWW00269-attentat-nice-promenade-des-anglais.php

[307] http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1984/08/21/lugaresi-sotto-inchiesta.html

[308] Francesco Pazienza, il Disubbidiente, Longanesi, 1999, pagina 491

[309] https://www.youtube.com/watch?v=gSG-NEf84bM

[310] http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/01/12/francia-massoni-sono-di-ritorno-con-governo-del-socialista-hollande/467655/

[311] http://www.leparisien.fr/attentats-terroristes-paris/attentats-de-paris-des-gendarmes-du-gign-s-en-prennent-a-leur-chef-dans-une-lettre-anonyme-13-07-2016-5962707.php

[312] http://www.bbc.com/news/uk-politics-35762443

[313] http://www.lefigaro.fr/politique/le-scan/citations/2015/10/25/25002-20151025ARTFIG00073-le-front-national-agace-par-la-mise-en-garde-du-grand-orient-de-france.php

[314] http://video.corriere.it/quando-jo-cox-parlamento-inglese-parlava-favore-intervento-siria/ebd68dea-33d1-11e6-b8e9-6b78a4af30ec

[315] http://www.theguardian.com/politics/2016/jun/16/jo-cox-killing-shooting-mp-birstall-west-yorkshire

[316] http://www.panorama.it/news/esteri/chi-e-killer-joe-cox-thomas-mair-il-neonazista/

[317] https://www.splcenter.org/issues/hate-and-extremism

[318] https://www.splcenter.org/hatewatch/2016/06/16/alleged-killer-british-mp-was-longtime-supporter-neo-nazi-national-alliance

[319] https://www.theguardian.com/uk-news/2016/jun/16/suspect-in-mp-killing-described-as-quiet-polite-and-reserved

[320] http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1990/04/26/una-donna-accoltella-lafontaine.html

[321] http://it.reuters.com/article/bondsNews/idITL8N1960PJ

[322] Fulvio Martini, Nome in codice Ulsse, BUR, 1999, pag. 241

[323] https://www.theguardian.com/world/2012/aug/21/dom-mintoff

[324] http://www.aljazeera.com/indepth/opinion/2016/05/russia-emerging-naval-presence-mediterranean-160526074150359.html

[325] http://www.telegraph.co.uk/news/2016/11/12/russian-warships-arrive-off-syrian-coast-ahead-of-final-assault/

[326] https://www.lesechos.fr/12/04/2016/lesechos.fr/021834041369_-panama-papers—-mossack-fonseca-etait-utilise-par-la-cia.htm

[327] https://www.theguardian.com/news/2016/apr/10/protesters-call-for-resignation-of-maltas-prime-minister

[328] http://www.maltatoday.com.mt/news/budget-2017/71031/george_vella_russian_ships_will_not_refuel_in_malta#.WeYsKGi0PIU

[329] http://www.politico.eu/list/politico-28-class-of-2017-ranking/

[330] http://www.adnkronos.com/fatti/esteri/2017/05/29/ombre-russe-sulle-elezioni-malta-cia-avvertono-muscat_JOSz5gUHwGcmGEr3sD6YBK.html?refresh_ce

[331] http://www.politico.eu/article/malta-loves-and-loathes-joseph-muscat-elections-corruption/

[332] http://www.lastampa.it/2017/10/17/esteri/malta-intrigo-internazionale-uccisa-la-reporter-scomoda-fTIHEoJ0dcWi98yil9PaZI/pagina.html

[333] https://rumble.com/vlq1mn-36487103.html